CRONACHE DI CARTA – VIAGGIO NELL’UNIVERSO DELLA SCRITTURA

0

 – Andrea Galgano, “Non vogliono morire questi canneti”

Lorenza Colicigno

Lorenza Colicigno

Non c’è nulla di più intrigante per chi ama scrivere che entrare nel laboratorio di altri scrittori o scrittrici e cercare di capire quali percorsi abbiano attraversato con le loro parole, quali orizzonti ispirativi abbiano indagato e quali soluzioni espressive abbiano cercato, per poi trovare le parole per renderne visibili, prima a se stesso, poi ad altri lettori, i meccanismi linguistici e stilistici, sempre in bilico tra magia e tecnica.

Copertina de “Non vogliono morire questi canneti” di Andrea Galgano

Leggere Andrea Galgano, in particolare il suo lavoro poetico “Non vogliono morire questi canneti” (CAPIRE Edizioni 2019) ha significato per me, da lettrice-poeta, ricollegarmi alle origini della poesia stessa. Mi spiego. A chi, come me, è passato dallo sperimentalismo della metà del Novecento all’esigenza di ricostruire in una dimensione epico-narrativa il tessuto immaginifico e linguistico della poesia, per contrastarne la liquidità contemporanea, la lettura di Andrea Galgano ha significato riandare al momento, questo davvero magico, nel quale la parola è nata come pura manifestazione dello stupore cosmico, quando mare cielo e terra dovettero apparire come fusi in un caos da ordinare, rintracciandone i confini senza forzarli, ricomponendone i profili molteplici e diversissimi senza lacerarli e snaturarli. In quel momento in cui la poesia nacque, come unica forma di comunicazione resistente rispetto alla estemporaneità delle emozioni e alla precarietà delle esperienze, nacque, appunto, come uno straordinario flusso linguistico in cui natura e umanità si specchiavano l’una nell’altra e insieme riscattavano dal tutto incognito e informe il loro divenire e il loro essere e riconoscersi uguali e diversi. Da questo arretramento alle origini, ma con la sapienza propria di un poeta che vive interamente nel Duemila, nascono i versi più interessanti di Galgano. Ha qualcosa a che fare questa scrittura in cui umanità e natura si fondono costantemente con il luogo in cui la poesia di Galgano nasce, la Basilicata, per cercarsi poi altrove e tornarvi arricchita, ma per nulla aliena dalle sue radici? C’è ancora tanto di originario in questa terra, il cielo puro e stellato, ad esempio, e gli orizzonti che si offrono all’osservatore stupito in tutta la loro imprevedibilità, dalle cime dolomitiche alla linea fratta o piatta del mare, dai verdissimi boschi alle scabre gravine, c’è tanto dunque che può ricondurre le parole dello sguardo e dell’ascolto alla loro origine.

Partiamo, per ripercorrere insieme alcune delle vie intraprese dal poeta Galgano, dallo sguardo che azzera l’orizzonte fisico per valorizzare quello immateriale, così Pietroburgo e Maratea o Potenza, ad esempio, mantengono la loro identità passando però attraverso l’annullamento dei confini geografici, reso possibile questo annullamento dall’uso costante, come cifra specifica della scrittura di Galgano, delle figure retoriche connesse alla sensorialità, in particolare visivo-uditiva, come la sinestesia, e quelle di sintesi tra concreto e figurato, come la metafora. Si ha, quindi, leggendo Galgano, l’impressione di un costante altalenare tra definito e indefinito, tra luoghi geografici e dimensione cosmica, tra natura e umanità, e tra voci e sguardi, tra armonie e stridori. Allo stesso modo l’allentamento o l’azzeramento dei legami sintattici scopre la dimensione profonda dell’ispirazione, essa attinge, infatti, prevalentemente al livello coscienziale dell’esperienza, stratificazione di originario e di cultura plurimilleraria, di stupore primordiale, come dicevo, e di raffinatissima tecnica retorica.

Come i canneti, con il loro tenace legame con la terra, sono simbolo di resistenza esistenziale, così il linguaggio e lo stile si pongono a sigillo della resistenza della poesia al rischio di appiattimento, banalizzazione e depotenziamento del linguaggio. Evidente questa relazione in “Oltre il fiume” : “Le colonne porpora/piegate al cielo tiepido/stingono la ghiaia/è vermiglia la linea incisa/dei gabbiani/che strema il tramonto/spoglio sulle correnti/ricordi quando digradava/la nostra mano/non vogliono morire questi canneti/scaldati dai lidi/sul corpo delle pietraie/le nostre isole/sono soffitti/i capanni stipati/come occhi.”. In particolare, ma non solo, proprio in “Oltre il fiume” Galgano gioca anche la carta del legame con la tradizione poetica meridionale, lucana innanzitutto, mostrando come essa non sia per nulla confine e limite, bensì forza generativa e innovativa. Allo stesso modo l’uso delle figure retoriche non genera chiusura nella tradizione letteraria, bensì rinnovamento di essa, inconsuete, infatti, le sinestesie, così come le metafore, che generano nel lettore lo stesso stupore, si immagina, del poeta. Così ci indirizzano i primi due versi della raccolta: “Il saluto delle risaie/rischiara folate albine// […]” (da Via Lilio), mentre un inanellarsi di originali immagini ci conducono su un orizzonte ibrido di colori e umori nei versi […]// avanza così il tremore della taiga,/il passo della fortezza/e l’enfilade di ambre di Caterina//tiene su di sé il giallo arancio di Tsarskoye/e il cristallo mondo del cobalto/dove l’anima rosa annuncia il suo corpo/alla difesa degli angeli// […]” (da La Pietra opaca del Baltico (San Pietroburgo)). La prima parte del libro si chiude con un riferimento importante al pittore e illustratore statunitense Edward Hopper, in “Monopoli (pensando a Edward Hopper)”, infatti, Galgano conferma alcuni caratteri della sua poesia: la tendenza pittorica, una sorta di visibile parlare – per riferirci al maestro di tutti i poeti, Dante -, cui è sottesa la nota dominante della solitudine e, infine, la sintesi tra realismo e simbolismo.  Nella seconda parte del libro “Je suis un autre”, Galgano confronta la sua solitudine con compagni di viaggio che sceglie diversi tanto quanto consente l’ampiezza del campo di gioco della vita, allora la solitudine si fa ansia di dialogo, di reciproco riconoscimento,  ma permangono “gli assoli insonni” (da “a Massimo Troisi”); “le ferite nate/ e mai chiuse” (da “a Enzo Jannacci”); gli addii come unico modo di ritrovarsi: “trovarti/sarà sempre il nostro abbraccio/dal finestrino l’indice/come piega di bocca/la gioia fine della tua loggia di rose (da “Michele”); i paesaggi alludenti alla “luna stremata sulle dune spoglie” (da “a Pino Mango”):; la memoria de “il monosillabo sconnesso/come gesto confuso” (da “a Paolo Villaggio”); i riflessi nei “frantumi del sole/vedo i tuoi specchi/come prisma trafitto.” (da “Vento di cristallo, Arco Magno, 1996”).

La “la battaglia della parola” (da “Mel”) incrocia orizzonti sereni e luminosi con il buio notturno, la quiete del giorno con gli incubi delle notti, la pienezza della parola di Dio con la violenza della umana malvagità: “qual è la mia mano, Signore/che risolleva Maddalena/o quella che Ti colpisce sul legno scuro?” (da “Mel”). Ma è nella chiusa del libro che si scopre in pieno la forza della poesia galganiana: “Il cielo crisalide di novembre/apre la tenebra/e il temporale sui pioppi tremuli//[…] il lungo sorriso/come un damasco di nebbia//fece chinare gli occhi/il tremore di essere due/le mani che principiavano/gli uccelli e le camelie//le nostre uve bionde/e il sigillo delle brine//il taglio del nudo mondo/ci insegue/nei muri spezzati//è grazia/è terra.” Qui la “grazia” e la “terra” compongono un inscindibile legame tra umanità e natura, tra sentimento della tenebra incombente e desiderio di rinascere dalla solitudine nella dualità, necessaria premessa di una nuova possibile coralità.

Andrea Galgano

 Andrea Galgano (1981), poeta, scrittore e critico letterario, è nato e cre­sciuto a Potenza. Collabora con il periodico online “Città del Monte” e per le pagine culturali del quotidiano «Roma – Cronache lucane».

È docente di Letteratura presso la Scuola di Psicoterapia Erich Fromm di Prato-Padova e fondatore e direttore responsabile di “Frontiera_di_pa­gine_ magazine_on_line”. Ha scritto i libri di poesie Argini (Lepisma, 2012) e Downtown (Aracne, 2015), per Aracne i saggi Mosaico (2013), Di là delle siepi. Leopardi e Pascoli tra memoria e nido (2014), Lo splendore inquieto (2018), e con Irene Battaglini i due volumi Frontiera di Pagine (2013, 2017) e Radici di fiume (Polo Psicodinamiche, 2013).

Condividi

Sull' Autore

Nata a Pesaro nel 1943, vive dal 1948 a Potenza. Già collaboratrice Rai e poi docente di Lettere, svolge dal 2000 attività di scrittrice e giornalista. Ha pubblicato quattro sillogi liriche: "Quaestio de Silentio" (Il Salice, Potenza 1992), "Canzone lunga e terribile" per Isabella Morra (Nemapress, Alghero 2004), “Matrie” (Aletti, Roma 2017), “Cotidie” (Manni editore, 2021). E' autrice di saggi letterari, tra cui "Pirandello tra fiction e realtà" (in AA.VV, Letture di finzioni, Il Salice, Potenza 1993), "Percorsi di poesia femminile in Basilicata" (in Poeti e scrittori lucani contemporanei, Humanitas, Potenza, 1995), “Il ruolo delle donne-intellettuali nelle società antiche” (in Leukanikà, XVI, 1-2, 2016). Appassionata dei dialetti e delle tradizioni lucane, è co-autrice dei testi "Non per nostalgia - Etnotesti e canti popolari di Picerno" (Ermes, Potenza 1997) e “Piatti Detti e Fatti della cucina lucana” (Grafiche Metelliane); per la Consigliera di Parità della Provincia di Potenza ha curato il testo “Quel che resta di ciò che è detto”, analisi della condizione della donna nella cultura contadina lucana. Sintesi delle sue lezioni come docente di scrittura creativa sono state pubblicate in volumi curati dalle Istituzioni culturali per le quali ha svolto quest'attività (Scuole, Biblioteche, Archivi di Stato). Con l’Associazione “ScriptavolanT” ha curato numerosi corsi di scrittura creativa, collaborando anche alla redazione del romanzo collettivo “La potenza di Eymerich”, a cura di Keizen. Sue poesie e racconti sono pubblicati in numerose opere collettive. Per Buongiorno Regione, rubrica del TGR Basilicata, ha curato interventi sulle tradizioni popolari lucane, sulla stampa lucana d’epoca e sulle scrittrici lucane. Per il sito www.enciclopediadelledonne.it ha pubblicato i profili di scrittrici lucane, come Laura Battista, Giuliana Brescia, Carolina Rispoli. Come wikipediana, è parte, in particolare, del progetto in progress “Profili di donne lucane”. In Second life ha curato la redazione del romanzo collettivo “La torre di Asian”. In Craft World e in Second life, come presso scuole e altre istituzioni, tiene corsi di scrittura letteraria. Il progetto-laboratorio “La Città delle Donne”, realizzato in Craft World, ospita i profili di 86 poete di tutti i tempi, tra cui alcune Lucane, ed è frequentato da scuole e cultori.

Rispondi