
Lidia Lavecchia
Con un messaggio semplice ma profondo, mons. Benoni Ambarus ha fatto il suo ingresso come nuovo arcivescovo di Matera-Irsina e vescovo di Tricarico. “Sarò banale”, ha detto con umiltà, ma le sue parole, lungi dall’essere scontate, hanno toccato corde profonde della coscienza collettiva. In un’epoca spesso segnata da retorica e individualismi, la sua voce si è distinta per autenticità e chiarezza.
Nel corso della solenne celebrazione eucaristica nella Cattedrale di Matera, il nuovo vescovo ha dato forma a una visione concreta di Chiesa: una comunità che non guarda solo verso l’alto, ma si china verso il basso, verso le periferie esistenziali, con uno sguardo pieno di dignità e rispetto per le persone fragili.
Le parole di mons. Ambarus rivolte alle autorità civili e militari presenti — tra cui il sindaco di Matera, il prefetto, e i primi cittadini dei comuni della diocesi — hanno assunto un peso particolare. Non un ringraziamento formale, ma un appello a una responsabilità condivisa: “Collaboreremo lealmente per il bene comune, con criteri di giustizia e non di elemosina, di uguaglianza e non di prepotenza, di attenzione e non di distrazione, né tantomeno di interessi personali”.
Queste parole non sono semplici dichiarazioni d’intenti, ma una chiamata etica, chiara e diretta, che chiede ai rappresentanti delle istituzioni di uscire dalla logica del privilegio per abbracciare davvero il servizio. In un’Italia dove la distanza tra istituzioni e cittadini è spesso ampia, il vescovo Ambarus ha dato voce a un’esigenza sempre più urgente: la politica come cura dell’altro, soprattutto del più fragile.
La sua prima giornata da pastore materano non è stata segnata da passerelle ufficiali, ma da gesti concreti: la visita alla Casa circondariale, l’incontro con gli anziani della residenza “Mons. Brancaccio”, e poi la tappa alla mensa “don Giovanni Mele”. Non parole, ma gesti. Non privilegi, ma prossimità. Così mons. Ambarus ha incarnato il senso più profondo del suo ministero: uno sguardo che non giudica, ma accoglie. Che non esclude, ma integra.
“Non cediamo alla rassegnazione — ha affermato — ma ancoriamo il cuore nella speranza”. Una speranza che non si limita a rassicurare, ma si fa scelta politica e spirituale insieme. Una speranza che esige il coraggio di dire la verità anche ai potenti, per costruire una società meno diseguale e più umana.
Nel segno della semplicità, della presenza tra la gente e della denuncia pacata ma decisa dell’ingiustizia, mons. Ambarus ha aperto un nuovo capitolo per la diocesi. Una Chiesa che collabora, che ascolta, che non si pone sopra ma accanto. Una Chiesa che riconosce nei fragili non una categoria marginale, ma la misura della propria fedeltà al Vangelo.
Il suo insediamento non è stato solo un evento ecclesiale, ma un forte segnale culturale e civile per l’intera Basilicata. Un invito — rivolto a tutti, soprattutto a chi ha responsabilità pubbliche — a lavorare insieme per una comunità più giusta, dove nessuno venga lasciato indietro.
In un tempo di grandi trasformazioni e disorientamenti, la voce di mons. Ambarus si alza come un segno di profezia e di cura. Un vescovo che parla con chiarezza ai potenti, e con tenerezza ai piccoli.
E che invita tutti a collaborare, davvero, per il bene comune.