di Antonio Lotierzo
L’Adelphi ha pubblicato ora questi saggi di Gershom Scholem sui “Cabbalisti cristiani”, editi a Berlino già nel 1954, con un saggio esplicativo di Saverio Campanini. Tutti i libri di Scholem, che brillano per chiarezza di razionale esposizione, riguardano la storia del pensiero ebraico ed anche della Qabbalah, interpretati come parte del pensiero europeo. Sono giunto a Scholem per i problemi che mi sono ritrovato nello studiare le opere e la vita del vescovo Giuseppe Ciantes (1602-1670) romano e domenicano ma vescovo della diocesi Marsico dal 1640 al 1656. Se Gabriele De Rosa amò e descrisse Angelo Anzani; se Giuseppe Viscardi scelse Andrea Perbenedetti; se Antonio Cestaro illustrò Geronimo Seripando; a me è capitato di studiare Joseph Ciantes (1602-1670), che ha lasciato tracce della sua poliedrica figura. Dopo l’ampia sintesi di Giovanni Colangelo restava da capire la portata di questo operativo e dotto vescovo, cui ho dedicato attenzione nei miei “Marsicensi” (2017) e in “Falsificazioni”, ibrido saggio che tende alla narrativa ( in stampa con et cetera). Leggendo Scholem, che ignora Ciantes, comprendo meglio la distinzione fra gli ebraisti e i cabbalisti cristiani. Per ebraisti si intendono gli studiosi della cultura e della lingua ebraica (ma, come Ciantes, possono essere cattolici ed anche operatori di acculturazione decisa dei gruppi italiani d’ebrei, per integrarli o convertirli al cristianesimo). Per ‘cabalisti cristiani’ Scholem definisce quegli interpreti di “ tesi cabbalistiche nel senso del cristianesimo (cattolico) o anche (quelli che forniscono un’) interpretazione di dogmi cristiani tramite metodi e processi mentali di tipo cabbalistico”(p.13). Questi interpreti si fanno risalire al conte Giovanni Pico della Mirandola, ( autore del De dignitate hominis) che, nel 1486, presentò centinaia di tesi per un “sincretismo di tutte le religioni e di tutte le scienze”, concludendo che “l’ebraismo esoterico non era in fondo altro che il cristianesimo stesso” (p.13). Tesi riscontrabili anche in Nicola Cusano. Scholem ritiene che le tesi di Pico costituissero una variazione d’una concezione del XIII secolo, riferita “al mondo della aggadah talmudica e del midrash da Ramòn Martì nel suo voluminoso compendio intitolato Pugio fidei a beneficio della propaganda cattolica” (p.14). Fatto sta che esistevano degli ebrei critici verso la cabbalà che, da avversari, utilizzavano le tesi dei cabbalisti cristiani, ma per smascherare le tesi non ebraiche che reputavano fossero nascoste nella Qabbalah, come la dottrina cristiana della Trinità. Le consonanti del Nome di Dio sono interpretate in senso trinitario: lo Yod allude al Padre; la Waw al Figlio ed alla sua venuta; la He allo Spirito Santo in quanto alito inviato dai primi due princìpi. (p.26).Qui si entra nel territorio ripercorso dal Ciantes bellarminiano. Notevole è anche la tesi, che si attribuisce a Dattilo, circa la possibilità di redenzione di tutti gli esseri viventi (animantia), esposta da alcuni cabalisti già verso il 1525, che potrebbe mostrare delle analogie con la tesi sugli eterni di Emanuele Severino. Tutti gli esseri viventi possono aspirare alla redenzione. Si noti, però, la contraddizione con la dottrina della Chiesa, in quanto qui non si pone al centro la redenzione come operazione dovuta al Cristo attraverso l’Incarnazione. Eppure, Pico sostenne che nessuna scienza dimostrava la divinità di Cristo quanto la Cabbala e la magia. Volendo trovare dei precedenti di Pico, Scholem scende fino a Abraham Abulafia, nato nel 1240, e non esclude che queste tesi possano essere entrate in contatto con i gioachimiti e gli spirituali, per quanto ciò sia ad oggi indimostrabile. Come ripeterà anche Joseph Gigatilla (intorno al 1300) il simbolismo delle dieci sefirot e degli attributi costituisce una molteplicità della sostanza che è anche unità: i Tre Nomi Io Tu ed Egli sono compresi in Dio ( e vengono evocati nello Shema ‘Ysrael. E’ questa la teoria delle tre luci, che da En sof emanano verso la prima sefiroth che si doveva connettere con la dottrina dell’Incarnazione, circolante verso il 1250, venne introdotta da Hay Gaon e circolava in Spagna al meno trentacinque anni prima di Pico e durerà fino alla espulsione del 1492. In Italia il clima favorevole, per affinità o per conversioni, fu quello della cerchia di Marsilio Ficino, dei platonici che stabilirono altre affinità fra il ‘divino’ e la Cabbala. Poi Scholem pone al centro della rinascita dell’ebraismo Johannes Reuchlin, autore del De verbo mirifico (1494), che si diffonde sui tre nomi divini e sul nome di Gesù, composto dal Tetragramma e dalle lettere JHSUH(dove la H è la lettera greca eta). Per Reuchlin i cabalisti adottano una forma di saggezza, fondata sulla contemplazione, sulla pace dell’animo, sull’amore di Dio e con i loro simboli rafforzano lo slancio della mente verso il mondo divino. La cabbala viene intesa come ricezione di una tradizione su Dio, comunicata o ad Adamo o, anche, ad Abramo; è un sapere paradisiaco, che in fine è stato concesso anche ai patriarchi e a Shim’on ben Yochay, cui si attribuisce lo Zohar. Per fornire una chiarificazione sulle varie concezioni della Cabbala, Scholem ne traccia almeno sei indirizzi: “ 1. La Qabbalah intesa come rivelazione primordiale e tradizione primitiva dell’umanità sin da Adamo” , tesi di Reuchlin e di Agrippa di Nettesheim; 2. La Qabbalah intesa come “prefigurazione occulta del cristianesimo”, tesi falsa ma sostenuta da ebrei convertiti come Pablo de Heredia;3. Ipotesi che i cabbalisti erano cristiani inconsapevoli, in quanto i testi cabbalistici contenevano una “ versione occultata di verità cristiane quali la Trinità, l’ Incarnazione e l’essenza della redenzione”(p.61-62) 4. La Cabbala diventò uno strumento di missione, di persuasione, di propaganda, fra 1520 e 1820. Interessante è l’interpretazione della cabbala come una ‘variante dello spinozismo e del panteismo’. I cabbalisti erano cristiani occulti oppure atei mascherati? 5. Per Johann Buddaeus la cabbala è una dottrina gnostica, originaria o derivata. Come tale essa ebbe un ruolo nella genesi dell’idealismo tedesco, ad esempio attraverso l’opera di Jackob Brucker. 6. Infine, la Cabbala è stata identificata con la teosofia di Jakob Böhme (che ha attratto interpreti come E.Boutroux, Rubina Giorgi , A. Koyré ma anche marxisti). La cabbala si presenta come un figlio illegittimo dell’ebraismo; una concezione distinta che rivela tracce del parsismo, della gnosi e del sufismo. È nel XX secolo che la ricerca sulla cabbala compie una svolta, collegata con la rinascita di Israele che rese possibile una storia ebraica. La Qabbalah non appare un sistema chiuso ma un movimento, che assunse forme diverse, a partire dallo studio dei simboli che discutevano questioni vitali della storia ebraica e di una particolare esperienza religiosa, perché il mistico pensa la divinità sia come trascendenza e sia come immanenza nella vita religiosa, essendo rivelazione di Dio nelle profondità del proprio Sé. Non voglio dimenticare un elemento estraneo a tale discussione ma molto presente: la cabbalà non va connessa con la magia e vanno rimossi i tentativi di legame con il simbolismo alchemico, presente fin dal 1530 nell’opera sincretistica De occulta philosophia di Cornelius Agrippa di Nettesheim, che ebbe vasta influenza fra 1530 e 1720. La cabbala è in contrasto con l’alchimia e con la magia; ad esempio, non è l’oro il metallo prezioso ma, per la cabbala, è l’argento. Qui i legami vanno da Georg von Welling fino al Faust di Goethe; un riscontro sarebbe anche in Shakespeare, ne Il mercante di Venezia, risalendo fino a William Blake ed a F. Schelling che discuteva di momenti di contrazione e concentrazione di Dio in sé stesso che, come il mare prima di uno tsumani, si ritira al suo interno prima di defluire e dispiegarsi nello spazio esterno della creazione . È l’azione del tiqqun ‘olam, il mezzo con cui Dio ripara il mondo e lo perfeziona al fine di evitare il caos primigenio e sociale della ‘genesi’.
Vorrei chiudere in tal modo, ma non posso non rinviare al saggio di Saverio Campanini, che spazia connettendo anche W. Benjamin e E. Bloch, riportando a proposito della fabbrica di falsi, gestita da ebrei in Spagna: “ Testi apparentemente autentici, in realtà non difficili da smascherare, sarebbero stati messi in circolazione da una sorta di atelier di impostori che, animati dalle ‘migliori’intenzioni, avrebbero inondato il mercato con mirabolanti rivelazioni cabbalistiche, basate su fonti lievemente o gravemente deformate, le quali affermavano tutti i principali dogmi del cristianesimo in veste ebraica o, ancor meglio, aramaica. Ci si chiede: chi avrebbe preso per vere queste volgari falsificazioni? Non certo gli ebrei, che infatti non se ne lasciarono irretire. D’altra parte, se è vero che gli stessi testi ‘autentici’ sui quali si fonda la dottrina cabbalistica – il Sefer Yetzirah, il Bahir, ma soprattutto lo Zohar – sono senza eccezioni opere pseudoepigrafiche, ossia attribuite ad autori antichi, che mai si sognarono di scriverle, e assegnate a secoli e talora millenni precedenti la loro effettiva composizione, i ‘ falsari’ denunciati da Scholem non facevano altro che riprodurre, o maliziosamente parodiare, gli stessi meccanismi usati dagli autori ‘legittimi’ che avevano dato origine alla fioritura della letteratura cabbalistica in senso stretto” (p.136-137). Fake news, falsificazioni e filologia storiografica: un confronto eterno in cui siamo coinvolti. Come per i ‘Vaticinia pontificum’ o alcuni patroni, scelti dalle universitates.