DIETRO I GILET GIALLI, UN DISAGIO IGNORATO DALLA POLITICA

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Marco Di Geronimo

Ha fatto scalpore in Francia la protesta dei gilet gialli. Non è la prima volta che i cugini d’Oltralpe si trovano ad avere a che fare con grandi mobilitazioni di massa. La Presidenza di Emmanuel Macron è stata costellata di grandi scioperi contro la sua leadership. Il governo liberista nelle mani del quale è caduta la seconda più importante Nazione d’Europa sta precipitando le condizioni di vita dei cittadini francesi. Popolo che storicamente non è mai stato dei più tranquilli.

La Storia ha sempre fatto un salto a Parigi, ogni volta che doveva approssimarsi a una svolta. Si può anzi dire che sia stato un francese a sancire la vittoria del neoliberismo a sinistra. Si chiamava François Mitterand e ha governato la Francia per quattordici anni. Eletto all’Eliseo con un programma fortemente sociale (aveva fondato lui il PS, affermando che nessuno poteva dirsi socialista senza essere rivoluzionario), capitolò all’agenda economica più austera.

Qualcosa di simile si può dire di François Hollande, il primo socialista a tornare all’Eliseo dal 1995. Noto al mondo per gli scandali sessuali e la sua popolarità sotto i tacchi, Hollande doveva rappresentare una svolta rispetto a Sarkozy. Non andò in quel modo. Per sua stessa ammissione, non fu in grado di contrastare la grande impresa (sua è la loi Travail, cioè il Jobs Act francese). E ripiegò sui diritti civili, condannando il PS all’irrilevanza politica.

Dal fallimento del socialismo francese è nato l’incubo di un bipolarismo effimero tra due grandi destre: l’estremo centro macronista e l’estrema destra lepenista. Al di fuori di questo schema muscolare vegetano i rimasugli di centrodestra e centrosinistra. Si aggiunge un “campo rosso” presidiato da Jean-Luc Melenchon – al momento però in crisi di consensi, per svariate ragioni.

E il quadro politico sconcertante crea una sacca di disagio difficile da scaricare. Se manca la proposta credibile che riesca a incanalarlo, deve smuoversi in qualche modo. Ecco dunque che monta la protesta incendiaria dei gilet gialli, giustamente in rotta col provvedimento di Macron teso a colpire il consumo di carburante. «Ma non dobbiamo essere noi a pagare la transizione ecologica» lamentano i pendolari, già abbastanza corrosi da una vita precaria sempre più incerta per la macelleria sociale che il Presidente porta avanti con le sue politiche.

In Francia come nel resto d’Europa il dissenso contro le politiche di austerity aumenta. Diceva Warren Buffett che la guerra di classe «esiste, e la stiamo vincendo noi». Attenzione: Buffett è un miliardario. E in effetti come descrivere la politica economica dei Governi europei, se non come una gigantesca redistribuzione al contrario delle risorse? Le tasse indirette aumentano, quelle dirette scendono (ma regressivamente). Oltralpe il problema è gravato – lo denuncia da anni Thomas Piketty – dalla pesante imposizione fiscale sul lavoro. Mentre il capitale diventa sempre più sfuggente alle maglie del fisco.

Dietro un dibattito politico sempre più surreale (Macron si immagina come l’anti-Salvini, ma si guadagna accuse pesantissime dai deputati de La France Insoumise sulla gestione politica delle indagini su Melenchon), cresce il nervosismo della classe operaia. I colletti blu e chiunque altro si trovi in una condizione di futuro incerto ha bisogno di risposte politiche. Nessuno le sta fornendo. E mentre qualcuno si interroga sulle prospettive dei gilet gialli (saranno il nuovo Movimento 5 stelle?, come se ai gilet gialli interessasse scimmiottare Grillo), i gilet gialli montano una ghigliottina e danno fuoco agli Champs Elysée. La lotta continua a essere la bussola del popolo francese. Lo sbocco politico verrà. Ma non prima d’aver seminato un po’ di sana apprensione tra gli aristocratici…

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Sull' Autore

Direi di scrivere soltanto questo: "Potentino, classe 1997. Mi sono laureato in giurisprudenza a Pisa".

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