MARGHERITA MARZARIO
Lucania fu, Basilicata è! Terra non solo di briganti ma, come quella umbra, anche di santi, da S. Giovanni da Matera a S. Donato (o Donatello) da Ripacandida (PZ). Terra di passaggi di varie popolazioni e dominazioni e terra di paesaggi variegati. Terreni per cui si è lottato da Montescaglioso (MT) a San Mauro Forte (MT) e ora molti abbandonati. Territorio disastrato da terremoti e tempeste. Terse le acque dei torrenti di una volta in cui le donne lavavano il bucato. Tesori nascosti e tesori dilapidati. Tempi andati e tempi lenti, come quello delle testuggini, una volta comuni nella fauna lucana e ora sempre più rare. Testimonianze della Magna Grecia. Teorema di Pitagora sepolto, forse, in quel che fu Metapontum (MT). Templi pagani, tra cui i resti rinvenuti a Garaguso (MT) e a Vaglio di Basilicata (PZ). Teologia diffusa, dall’abbazia benedettina di Montescaglioso (MT) al convento francescano di Salandra (MT). Teste dure e pensanti i lucani dalla tempra straordinaria perché testimoni di soprusi e abusi, tra cui il più giovane sindaco dell’Italia di allora, in particolare del Mezzogiorno, Rocco Scotellaro il cui motto ispiratore era “terra e libertà”. Tempe disseminate, ma la più famosa è Tempa Rossa (PZ) perché petrolifera e, perciò, perforata. Testi antichi spesso ignorati, dalle bronzee Tavole di Heraclea ritrovate nel torrente Cavone-Salandrella all’“Adamo Caduto” (1647) di padre Serafino da Salandra (e che avrebbe ispirato il “Paradiso perduto” del londinese John Milton nel 1667). Teschi sotto le chiese, tra cui la chiesa di S. Giovanni Battista a Matera, sulla facciata della chiesa del Purgatorio a Matera e quelli “interrogati”, come faceva Amleto, dagli amletici lucani se rimanere in regione o andarsene. Tende nelle vecchie case monolocali al posto delle pareti o stese nelle campagne per raccogliere le olive o per secernere i legumi. Terracotta, dai pavimenti alle tegole (ora usate come ornamenti) sui tetti bassi e leggermente spioventi. Tegami di alluminio e di rame appesi ordinatamente a ganci alle pareti. Tessuti da cui si evinceva il ceto sociale: quelli scuri e grezzi per i meno abbienti, quelli colorati e raffinati per i più fortunati. Tele tessute e ricamate a mano in ogni casa ove vi fosse una donna operosa. Teatrini di una vita domestica che non c’è più, come il richiamo alle galline per farle rientrare in casa o come il sensale che faceva avanti e indietro dalla casa della ragazza di cui si chiedeva la mano, per non parlare del “telefono senza fili” tra le vicine di casa. Teodolinda Pomarici, una delle donne colte del passato remoto, in giovanile corrispondenza epistolare con Gabriele D’Annunzio. Terranova del Pollino (PZ), uno dei paesini più caratteristici, il cui nome e la cui posizione rivelano la tenacia dei lucani di esistere e resistere in una terra tanto cara quanto amara e che suscita emozioni sempre nuove agli abitanti, visitatori e viaggiatori.
Basilicata: 131 comuni, 131 paesi più o meno piccoli, 131 dialetti, 131 diletti.
Paese, piccolo, quel piccolo che diventa sempre più piccolo tanto da poterlo portare con te come un tascabile che ti entra nel cuore contristandolo a causa dello spopolamento e della desolazione per coloro che se ne vanno per studio, lavoro, scelte o per sempre!
Una dopo l’altra, in un processo irreversibile e ineludibile, se ne vanno le persone dell’infanzia incancellabile, del paese nativo, del parentado. Con loro se ne va una parte di te, di quello che è stato e non è stato, sarebbe stato e non sarebbe stato, una parte della tua storia che non si può riscrivere ma solo descrivere, mentre i ricordi si riaffacciano e le emozioni si rinnovano. Intanto si allarga e si ricostituisce la cerchia di coloro che ti hanno circondato e ora non ci sono più ma stanno lassù o in un altrove, dove non piovono né pioggia palpabile né lacrime impalpabili.
Quando muore qualcuno in un piccolo paese non muore uno qualsiasi. Muore un congiunto, muore una persona conosciuta da tutti, muore un pezzo di storia, di memoria, dell’identità stessa del paese. Così quando muore il macellaio del paese, di quando non c’era la normativa sulla sicurezza alimentare o quella europea. C’era il suo abbondare sulla quantità, il suo garantire la qualità, il suo raccontare con battute la provenienza le carni o altri aneddoti. Il suo non era un negozio o la macelleria, ma era la “bottega” che, come quella di altri commercianti o artigiani, era un ritrovo, uno spazio aperto a tutti dove non c’era bisogno né di tagliandino col numero del cliente né della lista della spesa. I bambini ci andavano mandati dalla mamma ed esordivano con il loro “Ha detto mamma che vuole…” e assistevano basiti al suo tagliare con destrezza l’osso bovino per il brodo mentre si diffondeva lo stridere sinistro della lama elettrica. Il macellaio di una volta era una pagina di tradizioni e sapori locali e speciali, dai salumi agli involtini di interiora, e il tutto era avvolto con maestria dalle sue mani nella doppia carta, riconoscibile a distanza, a mo’ di fagottino o a cono. Come questo passato viene avvolto da emozioni senza ritorno.
La Basilicata, terra contraddetta e contraddittoria, contrastata e contrastante a cominciare dal nome degli abitanti che si chiamano lucani dal nome Lucania che riguarda una regione storica e dalla storia che non c’è più. Tra i tanti esempi di queste discrepanze vi sono Matera, da vergogna nazionale a capitale, e Salandra, da sede della facoltà di teologia e filosofia nel XVI secolo a paese emblema dello spopolamento e della desolazione dilaganti. Tanti i cervelli (o cervelloni) lucani affermatisi fuori regione, per cui ricorre la domanda: è più difficile andar via o rimanere in una terra in cui le radici sono profonde ma i frutti sono scarsissimi? Lucani: brava gente, strana gente!
Con le lettere della parola “paesaggio” si possono comporre: paesi, saggi, poesia, pesi, poggi… La Basilicata è tutta un paesaggio perché è questo e tanto di più.