LA MASCHERA ED IL TEATRO

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LUCIO TUFANO

LUCIO TUFANO

Gli elementi allegorici e più strani delle mentalità e della cultura popolare, quelli degli avvicendamenti e delle reincarnazioni della relatività gaia, della negazione gioiosa dell’identità e della più stupida coincidenza con se stessi, si riscontrano proprio nella maschera.
La maschera – lo dice Michail Bachtin nella sua opera su Rabelais[1] – «è legata agli spostamenti, alle metamoforsi, alle violazioni delle barriere naturali, alla ridicolizzazione, ai nomignoli». Essa risponde al principio giocoso della vita. Alla sua base vi è il rapporto del tutto particolare della realtà e dell’immagine legato a tutte le forme più antiche di riti e spettacoli. È impossibile esaurire il simbolismo estremamente complicato e poliscenico della maschera. Fenomeni come la parodia, la caricatura, le smorfie, le smancerie, le scimmiottature, non sono altro, in fondo, che i suoi derivati.
È nella maschera, insomma, che si rivela molto chiaramente l’essenza del grottesco …
E non solo nel Medioevo e nel Rinascimento che si è scoperto il grottesco della comicità popolare, quell’assurdità che va sotto il nome di “mondo alla rovescia”. Bensì in tutte quelle epoche, che nei secoli successivi, per le condizioni di arretratezza socio-economica e culturale, presentano i sintomi e le manifestazioni di quel mondo.
Anche il primo ‘900 e per quanto si è potuto appurare, l’800, in Basilicata, dove più, dove meno, gli strati popolari tra sottosviluppo, utopie, folclore, magia e feste, hanno presentato i caratteri propri dell’antico grottesco, sia nelle maschere che nelle carnevalate, nelle scene di tripudio del basso popolo.
Si è dovuto ricorrere a Rabelais, il più difficile degli autori classici, per recuperare il concetto di grottesco, proprio perché un’incursione in profondità nell’opera comica popolare ci fa capire come questa sia stata studiata superficialmente.
È necessario perciò l’eterno ritorno della Follia, come accadde ad Erasmo da Rotterdam, di quella matrice umana delle sensazioni che conducono e si ispirano alla visione rovesciata della realtà. È per questo che occorre riportarsi alla “follia”, antropologicamente necessaria come l’assurdo ed il suo teatro. Absurdum, che per i latini significava “per via della sordità”, una visione della realtà che scaturisce dalla sordità e dalla mancanza di linguaggio. Fenomeno inconsueto che postula un contro-mondo, così come definiva il grottesco e descriveva la follia Zijderveld[2].
Le strane immagini sulle pareti delle grotte, l’abbandono della luce del giorno per il buio della grotta, di qui la parola “grottesco”, per cui Esslin[3] vi comprende il latino goliardico, la lingua di Rabelais e Villon, i versi senza senso di Re Lear in inglese, e di Christian Morgensterm in tedesco, una parte dei romanzi di Kafka, come i testi di alcuni nostri poeti e scrittori …
Interesante per esempio è la poesia del poeta lucano Michele Parrella: Le storie del Guardiese,
C’era una volta il paese.
… c’era un sagrestano perdiluna,
rubava l’olio ai santi
per baciare la forestiera.
… c’era un vagabondo perdifiato
che per tre secoli salì la montagna.
Appena arrivò su
trovò il mare e annegò.
Aveva semi d’ulivo in testa
e noci fresche nell’inguine.
Credeva di trovare la roccia,
invece trovò il mare
e pensò che fosse la madre.
C’era un vagabondo e annegò
in cima alla montagna.
C’era un monastero nella valle
e ogni sera il monaco era ubriaco.
Poi lo trovarono morto nel fumo
cogli occhi al muro degli affreschi.
            Le frasi e le espressioni senza senso, gli sproloqui di scrittori moderni, come Italo Calvino nel suo Cavaliere inesistente, o Artur Machen, scrittore del folclore gallese che, nel racconto Il terrore, descrive la rivolta degli animali contro l’uomo, o G. Orwell, nel suo The animal Farm, (la fattoria degli animali). Anche il notissimo Federico Garçia Lorca, ci dà immagini da “mondo alla rovescia”, quando sottolinea lo sforzo che fa il cavallo per essere cane, quello del cane per diventare rondine, quello della rondine per essere volpe. «In alcune poesie ha saputo fondere mirabilmente le suggestioni che gli offriva la poesia popolare della sua Andalusia con quella della poesia simbolista».
Ecco che la poesia grazie alle metafore, ed alla pittura, grazie alle metamorfosi, trasforma ciò che è oggettivo in immagini irreali. Chagall fa volare i violini, le spose, le case, non ricorre solo all’assurdo del “mondo alla rovescia”, bensì interpreta una realtà–non realtà, un ordine-disordine …
Anche il surrealismo di Andrè Breton e degli altri faceva riferimento alla magia delle cose, rendeva reale il sogno, era un elaborato dell’inconscio.
Perfino D’Annunzio, in La figlia di Iorio, trae le sue immagini da un canto abruzzese “Io saccio na canzone alla rovescia”, quando il pane è messo nella fiasca ed il vino nella bisaccia.
Peter L. Berger nel suo importante volume “Homo ridens”[4] cita Alfred Jarry (1873-1907), bohémien eccentrico, con la vocazione per le burle. Una opera, la sua, “immensa burla” sostenuta da una impressionante erudizione.
Ancora oggi, come nei cerimoniali arcaici rinvenuti dagli studiosi di antropologia dove il tempo tragico si sdoppia in quello ludico-buffonesco, vi è un demone del rovesciamento, che soprintende alla carnevalata, al non sense della vita, del metabolismo corporale e sociale. Fu così che prevalse il sarcasmo e la comicità. Vennero fuori proverbi del cinismo, le filastrocche della ironia, le poesie alla rovescia, le canzoni della bugia di cui i giullari, le allegre brigate fecero tesoro. Ancora oggi, di tutto ciò, è testimone la fiaba, “la forma lirico-narrativa per l’infanzia.
Ovviare ai dettami della ragione. Percorrere le vie dell’inverosimile, aggirarsi nei labirinti della follia, concepire e cogliere il grottesco, facendo volare un personaggio invece di farlo camminare, fare incetta di idee anche malsane e ripugnanti, volendo corredare a qualcuno i pregi ed i difetti di un altro, “confondendo ed inventando l’ordine naturale delle cose” per divertirsi e divertire. “Tutto consiste in quei piaceri dell’istinto e dello spirito, proprio come il fare maschere, dire frottole, prendere in giro gli altri[5].
«È così che di fronte all’ambiente che lo circonda, il poeta del nostro tempo, non capisce e non ama la realtà così com’è, perciò ama ripetere attraverso il miracolo della poesia il processo di creazione, foggiandosi una realtà diversa, irrazionale e magari bislacca ed assurda, ma più sua …».
Surnaturisme è l’appellativo che Baudelaire ha usato per l’arte che scaturisce dalla fantasia creativa quando decompone, e che per Rimbaud è “l’effettivo normale tra uomo e cosa”.
È appunto per questo che gli adynata, i topoi e le chansons des mensognes sono utili sia a Baudelaire, che a Rimbaud, o anche a Régnier come esigenza poetica del decomporre.
[1] michail bachtin: L’opera di Rabelais e la cultura popolare – riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale. Einaudi 1995 – trad. Mili Romano.
[2] a. zijdervel, Me di toi dame Folie, est mort? Ma foy, tu as menty.
[3] esslin, Il teatro dell’assurdo, Roma, Abate, 1980.
[4] peter l. berger, Homo ridens. La dimensione comica dell’esperienza umana. Il Mulino, Incontri, ottobre 1999.
[5] g. giannini, Le canzoni alla rovescia. Rassegna nazionale, serie II, XXXVIII, 1916.
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Sull' Autore

LUCIO TUFANO: BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE “Per il centenario di Potenza capoluogo (1806-2006)” – Edizioni Spartaco 2008. S. Maria C. V. (Ce). Lucio Tufano, “Dal regale teatro di campagna”. Edit. Baratto Libri. Roma 1987. Lucio Tufano, “Le dissolute ragnatele del sapore”, art. da “Il Quotidiano”. Lucio Tufano, “Carnevale, Carnevalone e Carnevalicchio”, art. da “Il Quotidiano”. Lucio Tufano, “I segnalatori. I poteri della paura”. AA. VV., Calice Editore; “La forza della tradizione”, art. da “La Nuova Basilicata” del 27.5.199; “A spasso per il tempo”, art. da “La Nuova Basilicata” del 29.5.1999; “Speciale sfilata dei Turchi (a cura di), art. da “Città domani” del 27.5.1990; “Potenza come un bazar” art. da “La Nuova Basilicata” del 26.5.2000; “Ai turchi serve marketing” art. da “La Nuova Basilicata” del 1.6.2000; “Gli spots ricchi e quelli poveri della civiltà artigiana”, art. da “Controsenso” del 10 giugno 2008; “I brevettari”, art. da Il Quotidiano di Basilicata; “Sarachedda e l’epopea degli stracci”, art. da “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 20.2.1996; “La ribalta dei vicoli e dei sottani”, art. da “La Gazzetta del Mezzogiorno”. Lucio Tufano, "Il Kanapone" – Calice editore, Rionero in Vulture. Lucio Tufano "Lo Sconfittoriale" – Calice editore, Rionero in Vulture.

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