Sulla strada asfaltata di via Umberto I, le carrozze costruite con tavole di legno e pezzotto mobile, scorrevano su tre cuscinetti, due grossi dietro e l’altro davanti sotto il pezzotto che faceva da sterzo, a manovra, a briglia o a fune. Erano cinque, sei, anche dieci carrozze in corsa e in discesa sempre più veloci secondo la pendenza del suolo, per un percorso che, per piazza XVIII agosto, si allungava per il Dispensario Provinciale Antitubercolare e per la curva di Castello, fino al Gallitello. Le montavano il pilota e qualche altro compagno. “Ntrovolatonza” non vi poteva montare, perché traditore o spia. Il bottino, se c’era, consisteva in tutto ciò che poteva essere confiscato ai vinti, anche qualche pezzo di pane, che, come “rancio”, i ragazzi portavano nelle tasche o in qualche zainetto.
In tale foga di eroismi, con una tale ed entusiastica milizia, nella più entusiasmante dedizione alla microgeografia, i labirinti tra case e campagna, la guerra diventava gioco e racconto … con un particolare spirito di abnegazione, il far da guardia al confine, tra occupazione e liberazione di angoli e postazioni. Tra i compagni delle elementari, tutti alunni dell’insegnante Gina Molinari, vi erano (tra quelli che ricordo) Michele Leone, capoclasse ed Eustachio Garofalo (primo della classe), Massimo Antonucci, Bruno Tolve, Gino Trambarulo, Giuseppe Pesarini, Franco Villani e Pasquale Dolce, Gigino Ragone, Tonino Amati, Rocco Labriola, Leonardo Santoro, un gran bravo compagno, piccolo di statura, tanto che lo si denominava “Cuccioletto”, il più piccolo dei sette nani di Biancaneve, e tantissimi altri come Logiudice, Lacentra, Milano …
Una monetina, impressa nella nostra memoria, era la nikel (quattro soldi o venti centesimi), degna della nostra esigua possibilità di spesa, che ci dischiudeva il piacere di assistere alle proiezioni dei film che allora si proiettavano al Teatro Stabile. Difatti, sotto l’arco del teatro, don Peppe Giugliano, raccoglieva nelle sue mani l’obolo che, ansiosi di salire per quella terribile scala a chiocciola, ci consentiva di raggiungere la piccionaia. Da quella altissima schiera di palchi ci gustavamo Il fornaretto di Venezia, con Roberto Villa, I Promessi Sposi, con Gino Cervi, La cena delle beffe con Amedeo Nazzari, tutti i film di quegli anni, con Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, con De Curtis San Giovanni decollato, con Fosco Giacchetti, Carlo Ninchi, Un garibaldino al convento, con Leonardo Cortese, Noi vivi e Addio Chira, con Alida Valli …
Cadeva la voce dagli altoparlanti, le proiezioni dei film “Luce”, il volume sconcertante dell’attualità, la pubblicità dell’Oltremare e della Croce Rossa, quella dei prodotti nazionali ed autarchici, gli ordini impartiti dalle maestre della nostra scuola “Rosa Maltoni” di via Roma. L’EIAR, tra un cinguettio e l’altro, inframmezzava la fiaba disneyana di “Biancaneve e i sette nani” al Trio Lescano, le notizie di governo, quelle del Littorio e della guerra dell’Asse, alle canzoni di Alberto Rabagliati e Natalino Otto.
Vi era aria di mobilitazione generale e la vita quotidiana scorreva più frenetica del solito, per gli impiegati che in ufficio e fuori si chiedevano come sarebbe andata a finire, per i traini e i carretti che circolavano tra il mercato e, da questo, alla stazione, per gli autobus e per le carrozzelle che trasportavano ufficiali in servizio o in licenza, per le automobili e i mezzi militari.
I contadini, sempre in compagnia dei loro quadrupedi, sostavano dinanzi alle soglie dei fabbri-maniscalchi, i Cichidd di Portasalsa che orchestravano i colpi dei martelli intermittenti sul ferro rovente e sull’incudine. Intanto ancora piovevano cartoline di richiamo alle armi e al distretto v’era ogni giorno una ressa di arruolati. CONTINUA