
di Michele Strazza
La rivolta del Mezzogiorno d’Italia del 1647-48, iniziata da Masaniello a Napoli, ebbe tra i suoi principali protagonisti un lucano, Matteo Cristiano, che, insieme al conte di Vaglio, Francesco de Salazar, guidò l’esercito dei rivoltosi contro le truppe spagnole.
Egli era nato a Castelgrande nel 1616 da una ricca famiglia gentilizia. Recatosi a Napoli per perfezionare gli studi giuridici vi si addottorò in “utroque jure”, partecipando al clima infuocato che si respirava nella città partenopea. Ed è molto probabile che lì abbia assistito, il 7 luglio 1647, al trionfo di Masaniello e, poi, il 16 dello stesso mese, alla sua uccisione avvenuta per mano dei suoi stessi compagni nel dormitorio del convento del Carmine dove era stato condotto.
Mentre, dunque, il tumulto napoletano dilagava in Campania, in Puglia e in Basilicata, a Napoli il 22 ottobre veniva proclamata la “serenissima repubblica”. A metà del mese successivo si aveva l’intervento del duca di Guisa, Enrico di Lorena, che entrava nella città partenopea acclamato dalla folla come “generalissimo delle armi del popolo e difensore della sua libertà”.

Regno Napoli di qua dal Faro.
Veniva così formato di tutta fretta un esercito pronto a combattere nelle province i feudatari rimasti fedeli alla Spagna. “Capitano generale” venne nominato Ippolito da Pastena, soprannominato “il Masaniello salernitano”, Matteo Cristiano ebbe l’incarico di “luogotenente generale” mentre Giuseppe Griffo quello di “sostituto generale”.
L’avanzata dell’esercito rivoluzionario dovette preoccupare moltissimi i baroni che, il 21 novembre, da Minervino davano l’allarme al viceré. Ed in effetti c’era proprio di che preoccuparsi. Mentre, infatti, le truppe dei rivoltosi salernitani raggiungevano la zona del Vulture, dopo aver sconfitto il duca di Martina a Marsicovetere, assediando il 6 dicembre Melfi, quelle di Matteo Cristiano e di Giuseppe Griffo raggiungevano Montalbano Jonico che, insieme a Ferrandina, era in subbuglio per l’assenza del feudatario locale, il duca Garsia de Toledo, in gravi condizioni di salute a Madrid dove morirà nel 1649.

Castel Grande
A completare il quadro nefasto per i baroni interveniva la sommossa di Tricarico guidata da Vincenzo Vinciguerra (poi ucciso dai controrivoluzionari) ed il sacco di Pisticci che aveva tentato di opporsi all’avanzata rivoluzionaria. Subito dopo veniva attaccata Ferrandina (dove si era rifugiato il Governatore e Consigliere Regio Luigi Gamboa) e Pomarico, convincendo così gli altri centri del Materano ad aderire alla rivolta e preparandosi a puntare su Taranto, su un lato, e su Matera e Gravina, dall’altro. E difatti alla fine del gennaio 1648 le truppe dei rivoltosi entravano tra ali di folla a Matera. Del resto, mentre le province napoletane che prima avevano appoggiato il duca di Guisa erano ritornate tra le fila spagnole, l’intera Basilicata aveva continuato a sostenere la repubblica, facendosi forte su un considerevole esercito al comando di Matteo Cristiano e di Francesco de Salazar, discendente di un’ antica famiglia spagnola originaria di Cordova.

Napoli repubblica pubblica del 1648
Dopo la caduta di Matera veniva occupato il principato di Altamura ed il ducato di Gravina. Ma le discordie interne dovevano minare sempre più la forza dell’esercito rivoluzionario. Così mentre Luigi Gamboa, dopo l’occupazione di Ferrandina e Gravina, fuggiva a Taranto, Matteo Cristiano incontrava serie difficoltà per il disaccordo dei propri ufficiali. La cosa si ripercuoteva in campo militare costringendolo ad un assedio presso Altamura da dove tuttavia riusciva a fuggire, pur riportando notevoli perdite.
Con l’arrivo del nuovo viceré e dei rinforzi guidati da don Giovanni d’Austria la vicenda dei maggiori protagonisti della rivolta volgeva ormai al termine. Grazie alle qualità militari di Giangirolamo Acquaviva, conte di Conversano e soprannominato “guercio di Puglia”, l’esercito ribelle venne fermato. Caduta, così, Gravina, Francesco Salazar venne condotto nel Castello di Barletta ed ivi giustiziato.

Stemma Salazar
Matteo Cristiano, invece, dopo essere stato catturato ai primi di agosto del 1653, venne decapitato nella piazza del Mercato a Napoli il 23 agosto 1653. A 37 anni , “di una bellezza omerica (…) con la lunga capigliatura ricciuta, fiammante di rosso,” e con la barba che “finemente incorniciava il bianchissimo volto”, mostrò “il forte petto con le braccia di ferro” al boia “armato dello spadone a due mani” ed “in abito nero con maschera”.