di Gianfranco Blasi
“piccole faville” è l’ultimo libro di poesie di Giovanni Di Lena. Libro pubblicato con eleganza editoriale e senza sbavature da Villani.
Una silloge, come in tutta la precedente creazione letteraria, in cui il poeta usa la forza della lirica per descrivere la realtà. Sia quella sociale e politica, sia quella ambientale, sia i sentimenti minuti che costellano la nostra vita fra armonie e disarmonie, odio e amore, privato e pubblico.
“piccole faville”ci fa riscoprire il gusto di idee pensate, maturate, scritte e, magari pronunciate sfidando il potere oppure con un filo di voce da quest’autore, mai dimentico delle sue origini, figlio della nostra terra, che – ricordiamolo – ha iniziato il suo impegnativo viaggio culturale , nel lontano 1989, e che continua ad omaggiarci con la sua costruzione poetica mai banale. Evidenziamo che la sua lunga produzione ci ha regalato lavori come:, “Un giorno di libertà”, “Non si schiara il cielo”, “Il morso della ragione”, “Coraggio e debolezza”, “Non solo un grido”, “Il reale e il possibile”, “La piega storta delle idee”, “Pietre”.
Nelle incantevoli poesie di “piccole faville” si coglie la voglia di interrogare il mondo oltre ogni barriera per comprendere il senso profondo della vita, dei suoi misteri. Un modo per conoscere meglio se stessi e gli altri. Versi esemplari che con semplicità e dolcezza fanno provare emozioni appassionate combinate alla crudezza di fatti e denunce, luoghi e misteri. Ma la poesia di Di Lena è anche altro. E’ il privato, il quotidiano, la semplicità dell’osservazione, la mistura fra piccoli gesti e universo, affetti e amori. Un finale pasoliniano quello di pagina 57, dedicato a “Madre”:
“Quando ritorno a casa, stento a muovermi
solo il cuore, spontaneo, sobbalza.
Nulla s’è rotto!
In ogni angolo ci sono frammenti di te,
che senso hanno ora?
Ordinaria e lenta la vita si muove
e tutto il tempo trascina.
Quando ritorno a casa, mi ritrovo solo,
come se fossi smarrito e la tua assenza avverto”.

Ma Giovanni Di Lena usa la poesia anche come strumento politico. Non a caso ama Rocco Scotellaro, il poeta delle lotte contadine, il sindaco socialista di Tricarico.
Mi viene in mente Bella Patria:
Io sono un filo d’erba
un filo d’erba che trema.
E la mia Patria è dove l’erba trema.
Un alito può trapiantare
il mio seme lontano.
Per Di Lena la poesia è il coraggio manifesto delle idee, quelle scomode, anticonformiste. Ma è anche la delicatezza nell’uso delle parole. Proprio come Scotellaro non perde mai di gentilezza. La sua linea di condotta morale è la coerenza. Il poeta vive questo stato di cosciente critica al mondo esterno e alle sue contraddizioni.
Di Lena è così e per questo è il poeta che più di altri ama la sua terra ma non smette di chiedere giustizia, cambiamento, libertà. La sua attesa e la sua lontananza sono generate dal male, dall’ingiustizia, dalla malafede. Lui non si estranea dalla realtà, si pone al centro di essa, la modifica e plasma in funzione della verità e della poesia. Una catarsi utile a creare un vero e proprio manifesto poetico, quasi un movimento di idee, la perpetuazione dei Carlo Levi, Manlio Rossi Doria, un movimento culturale che Giovanni Di Lena riesce a padroneggiare e a sventolare come una bandiera ideale. Un libro “piccole faville” da leggere e gustare fino in fondo, come una tazza lunga di caffè. Lo troverete dolce e amaro, forte e delicato a seconda anche del vostro stato d’animo.
Giovanni Di Lena, un poeta vero, un uomo sincero che fa della poesia uno strumento artigianale che plasma idee, valori, sentimenti. Un amico che stimo e a cui voglio bene. Che rispetto fino in fondo. Il poeta della lucanità smarrita.