STORIA DEI SENSI E DEI SENTIMENTI NELLA POTENZA DEL ‘900

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LUCIO TUFANO

Qui si tenta di descrivere un viaggio attraverso i sensi, una storia della voluttà, o voluttà della storia, secondo i criteri più moderni del fare storia, nel contenuto di una realtà, la nostra, assediata dalle costrizioni economiche, meteorologiche, culturali, religiose, sociali ed inibitorie e tuttavia confortate dai sentimenti che hanno infervorato la frugalità, la parsimonia ed il desiderio. È forse per questo che non operano quasi mai da soli, bensì strettamente sollecitati dai sentimenti (particolari tonalità affettive piacevoli o spiacevoli che accompagnano le sensazioni). Il titolo di questo articolo non riesce a racchiudere un tema vasto per gli aspetti e gli elementi che riguardano la nostra comunità e la storia della nostra città, la causa non secondaria di un destino di virtù gogoliane, di rassegnate e compunte esistenze, assuefatte alla routine di giorni, anni, epoche, vissuti nell’ambito angusto dei divieti e delle autoprizzazioni. Una
città succube di poteri maschilisti e fallocratici, di poteri imperituri. Avremmo potuto adottare titoli più conformisti o più libertari, come “fatti e rifatti del tatto, del gusto e dell’olfatto”, per una storia dei sensi tra mondo contadino e mondo urbano. Ribadito il ruolo centrale dei sensi, come non godere per esempio di quel dorso di donna del pittore Gustave Courbet, quel bellissimo tratto che va dal ginocchio all’ombelico, quelle cosce dorate, quasi bronzee, quel pube tra il bruno ed il fulvo, che orna un quadro di grande realismo romantico. Ma la mano dell’artista deforma e traduce il buono ed il bello, può vedere come dramma il sesso, come bruttezza i sentimenti: da Bosch a Bruegel, da Goya a Grosz a Otto Dix la sessualità è guardata come un pianeta diverso, quando la violenza, la deviazione, le manie incontrollate, le goffaggini, le volgarità della carne, quando i sensi ed i sentimenti perdono il loro equilibrio. Ma oggi che cosa dipingono gli artisti in fatto di sensi? Oggi vedono la donna come oggetto di piacere, cosa che ha sempre provocato l’isteria delle femministe; la donna oggetto di consumo, bene da fruire, valletta della pubblicità e della reclame. La pop-art la vede come insegna, la incarna nella plastica, la dissipa con le luci al neon, la utilizza per il porno, ne dipinge le gambe, le calze, le scarpe, i seni, i collant, i reggipetti e le giarrettiere, il fondoschiena. Ecco come il sesso è uno sconosciuto: lo dice Marcello Venturoli. Anche Cesare Pavese ne “I dialoghi con Leucò” parla di sensi. È Circe che racconta a Leucò l’incontro con l’indomabile Ulisse: “l’aspettavo da tanto tempo che non ci pensavo più. Appena capì tutto, fece un balzo e mise mano alla spada … lui dimenava quella spada, ridicolo e bravo come solo un uomo sa essere … era grande, ricciuto, un bell’uomo, Leucò – che stupendo maiale, che lupo, sarebbe diventato …! Qui il rammarico di Circe per non aver potuto domare l’eroe.

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Nel regno dei sensi gioca un ruolo straordinario, l’impulso dell’inghiottimento. In proposito Aristotele afferma come la fame fosse il contatto con l’asciutto e la sete quello con il liquido. Perciò bocca, boccone e boccale furono sempre più il connubio di vita e di gusto, legame simbolico, bicronico, estinzione per gradi di fame e sete. Di qui le latitudini e le topografie del sapore tra pianura e monte, tra l’agreste ed il lacustre, tra mondo della foresta e mondo della marina che si omologarono con le logistiche,le estrazioni sociali e le culture. E c’era un tale culto del sapore, la convinzione che alcuni tipi di erbe, frutti ed alimenti fossero elisir di giovinezza o alla base di farmaci importanti, che per una strana coincidenza di idee, simboli ed effetti, gli alimenti utili all’amore – quelli afrodisiaci – spesso avevano la forma dei genitali maschili o femminili.
La mela “tumido frutto”. Polposa escrescenza, ambigua natura di un frutto che racchiude l’energia del sole e della luna,metafora del serpente e del drago, acquattato fra i rami o nel pedale dell’albero, fallo cosmico distillatore di liquidi vitali. Secondo Servio il Grammatico gli antichi chiamavano mala i testicoli dell’uomo (da noi chiamati semplicemente pere). Furono i sensi che ci fecero percepire la coagulazione del latte, i processi di trasformazione,le metamorfosi, quell’amalgama delle sostanze che occultavano nella loro misteriosa combinazione gli intimi segreti della vita. Nel primordiale mondo contadino e dei pastori di Chiancali, Pascoli Cappellazzi, Macchia Caprara, Macchia Maligna, le masserie di Bufala, Cugni dell’Orso e della Corte, dei Paschi Macchitella e di Malvaccaro, dove i confini tra i regni vegetale, minerale ed animale erano indistinti, si penetrava con apprensione nei maleodoranti santuari della fermentazione: sentine nelle quali il letamaio e le concimaie presiedevano all’alterazione delle sostanze. Nelle masserie Tufaroli, Biscotti e Scafarelli, tutto (formaggio, vino, pane, frutti, carne, lardo …) andava protetto contro il malocchio ed il guasto.

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Fervevano gli amori sbocciati d’estate nei tanghi, le struggenti “cumparsite”, delle virtuose fisarmoniche, nei valzer e nelle mazurche, quando la “campagnola bella “ era anche “reginella”,la media e la piccola borghesia si perdevano nelle gite campestri e nelle contrade del sole. Vigevano allora motivi di stagione e di regime,l’orbace e gli stivali, i fez e le camicie nere, impettite e fiere, sulle aie, nelle occasioni di matrimonio e di raccolto, sotto i pergolai delle vigne e nelle ville. Le lampadine blu del Podestà e le signore dei Consoli generali che sognavano l’amore di secondo letto. La gelosia dei prefetti fascisti era stimolata da una complessa sensualità. Le “rosamunde” sospirarono dai petti ansanti il passo sincopato dei ballabili guidati dal grammofono. Comandava le ben tornite gambe delle signorine di buona famiglia il ritmo lento e dolce, a volte furioso, il tempo che si spandeva nei giri vorticosi della mietitura e della composta quadriglia nei pressi del casino di famiglia. “Changer la femme” per l’impettito sensuale commendatore. Un frenetico scambio di mani sudate, di sguardi assorti alle facce accalorate e l’odore esalava dalla braccia, dal seno e dalle vesti corte e flessuose. Le guance arrossate e i capelli nelle trecce, o sciolti sulle spalle, assecondavano i passi ed i saltelli. Più in là le tovaglie sui prati con cibi residui, qualche bottiglia, piatti e stoviglie.

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Soffiava imperterrito sulla piazza esposta a bòrea ed alle tramontane il vento impetuoso, precipitoso, che riempiva di fredda aria i suoi otri capienti sull’Arioso o su Montocchio e li scaricava sui comignoli e sui tetti di Portasalza al Muraglione. Batteva vigoroso le coste e sferzava la cordigliera delle mura e delle finestre, fino al rantolo delle grondaie. Fischiava nei vicoli il sibilo delle sue canne. Erano qui orientati secondo il percorso del vento, le stradine, le torri, i balconi, le porte aperte al freddo ed agli inverni che con la veste
nevosa ricoprivano la città. Alcuni uffici erano imbacuccati nei muri, al caldo dei primi termosifoni: corridoi ovattati dal silenzio.
Una categoria imprescindibile del “tenero amore” è la carezza (il tatto), che si trascina, in diverso grado, per tutta l’esistenza dell’uomo, in maniera più accentuata presso le donne e si estende a tutti gli esseri viventi, a tutte le cose possibili; la carezza, espressione essenziale dell’eros.
E vi è amore per le pellicce, per il velluto, per le penne d’uccello, per i gonfi cuscini dei salotti e dei letti, per i vari oggetti, molli, elastici o duri; e tale amore trova le sue emozioni nel bisogno di toccare teneramente … e così fino al mito di Anteo che perde la propria forza quando gli viene tolto il contatto con la terra, dove la terra è la mamma che caldamente ci abbraccia e avviluppa, e come Pentèo che per spiare le baccanti in una delle loro orge, per tentare di accarezzarne qualcuna, fu da queste afferrato e fatto a pezzi. È forse inopportuno trasgredire la poeticità della carezza, quando osiamo pensare o approfondire il tema del tatto epidermico, quel pomiciare che, presso la mentalità più retrograda della vecchia città, andava sotto il cattivo appellativo di rattuseria, la cui attività organizzata era la mano morta, e di cui vi è una vasta letteratura.  Non vi furono le Harlem o gli slums di New York o di Londra, né il Basento aveva l’importanza del Mississippi, ma i potentini chiamavano Shangai o Sing Sing le zone popolari ed i quartieri cinesi erano le baracche e le bidonville per un ancestrale richiamo alle avventure biodegradabili di Malthus. Vi furono canzoni accompagnate da chitarre sotto i balconi, vi furono mani innamorate che nel porgere un fiore o una missiva rimasero catturate tra le imposte; vi furono corteggiatori castigati dalle pentole d’acqua o da vasi di basilico piovuti su di loro, gli scherzi sadici di un astioso, aggressivo pudore. Pacchi di lettere accatastati nelle frigo-bare dell’oratorio, fiati sospesi tra una domanda ed un sorriso, baci catturati dal cacao, sguardi desiosi, densi, intensi, spesi nelle brevi distanze, consumati come scarpe nell’ansioso via vai
della Pretoria …

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Sull' Autore

Quotidiano Online Iscrizione al Tribunale di Potenza N. 7/2011 dir.resp.: Rocco Rosa Online dal 22 Gennaio 2016 Con alcuni miei amici, tutti rigorosamente distanti dall'agone politico, ho deciso di far rivivere il giornale on line " talenti lucani", una iniziativa che a me sta a molto a cuore perchè ha tre scopi : rafforzare il peso dell'opinione pubblica, dare una vetrina ai giovani lucani che non riescono a veicolare la propria creatività e , terzo,fare un laboratorio di giornalismo on line.

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