Accadde a Brindisi di Montagna
di Emanuele Labanchi
Non si tratta qui di Aurelio Agostino d’Ippona, conosciuto come Sant’Agostino, ma di Agostino Lacerenza, figlio di Peppe, detto o’ Pollc’ (il pollice) per la sua statura, che viveva con la famiglia in contrada Casone del piccolo borgo di Brindisi di Montagna nella nostra Basilicata della prima metà del ‘900. Lì anche Agostino era o’ Pollc’ e conduceva la sua vita da giovane contadino e pastore ma, a 29 anni, la notte di Natale del 1926 ebbe inizio una storia che ne segnò per sempre l’esistenza.
Il padre Peppe si sentì male e, privo di sensi, doveva essere traferito in Ospedale a Potenza. Agostino, unico figlio maschio, con l’aiuto delle sorelle riuscì a caricarlo sul mulo e a legarlo, temendo che potesse cadere durante il lungo viaggio. Era notte e, con il cuore in gola, partì…
In Ospedale il Medico di turno non si limitò ad attestare il decesso del povero Peppe ma informò i Carabinieri, ritenendo che quel figlio lo avesse legato con lacci troppo stretti. Ne seguì arresto per omicidio colposo e a Brindisi di Montagna, nonostante il ritorno del giovane qualche giorno dopo, cominciò un’azione infamante contro di lui, ritenuto sin da subito colpevole della morte del padre.
Il buon Agostino, pur isolato nel paese natale, sposatosi e con cinque figli, riuscì a vivere una vita dedicata al lavoro e alla famiglia, andando spesso a caccia. All’alba del 29 novembre 1942, Agostino andò a caccia di lepri con due vicini di casa, Francesco Vaccaro e Leonardo Filippi. Nel bosco Leonardo si allontanò, si persero le sue tracce e non fece ritorno a casa. Non riuscendo a trovarlo, nel giro di poche ore, i Carabinieri del posto, ritenendo Agostino uno “col vizio di uccidere”, lo arrestarono. In attesa del processo venne portato nel carcere di Potenza dove era già stato da giovane per la sospetta uccisione del padre. Furono sequestrati tutti i beni alla sua famiglia che, già in difficoltà, finì in assoluta povertà. Fu ritenuto colpevole di omicidio e solo dopo anni di duro isolamento in cella Agostino venne liberato perché, il vero colpevole dell’assassinio di Leonardo Filippi, confessò la propria colpa. Agostino, ritornato a casa, ritrovò la moglie e i figli, le sorelle, e ricominciò a lavorare ma, tra perdurante maldicenza e guardato ancora con diffidenza, il 23 luglio del 1949 si gettò nel pozzo del Casone dove morì annegato. L’Accanimento giudiziario, la “mala giustizia” e l’emarginazione subita nella sua piccola comunità lo avevano spinto al suicidio… Ebbene, questa tragica vicenda umana, ormai a rischio di definitiva sua scomparsa da ogni ricordo, è stata la fonte del racconto-romanzo “EPPURE QUALCUNO MI DOVEVA ASCOLTARE” – Osanna Edizioni –Marzo 2020, magistralmente scritto da Aurelio Pace, Avvocato, che ha dato voce a quell’umile, onesto, povero contadino lucano per… gridare al mondo intero la sua innocenza. L’Autore è stato ieri sera ospite del Centro culturale “José Mario Cernicchiaro” a Villa Tarantini dove, presente il Sindaco, Avv. Daniele Stoppelli, è stato accolto dalla Presidente, Prof.ssa Tina Polisciano, per la presentazione a Maratea del pregevole libro, ispiratore anche di opera teatrale “ O’ POLLC’ ” di Ulderico Pesce e Aurelio Pace. “Ristabilire la dignità perduta è un dovere familiare e di comunità…. Aurelio Pace si è mostrato felice di raccontare quella storia…
Ora, con questa storia di verità, Agostino Lacerenza godrà ancor di più di quella luce che si è meritato e che ha scelto di rincorrere anticipatamente, come quando scendeva sulla neve”. – Nel libro (pag. 98 e ss.) : “A futura memoria – Lettera aperta della famiglia di Agostino Lacerenza – Michele Lacerenza”.
E, alla fine, mi piace intravedere un pur casuale (?) incontro-legame tra i nomi del sensibile Autore, Aurelio, e del contadino di Brindisi di Montagna, Agostino, con quello di Sant’Agostino d’Ippona: Aurelio Agostino d’Ippona.