LA CITTA’ DEI PRIMORDI, SENZA FOGNE E SENZA ECONOMIA

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LUCIO TUFANO

E così per una storia del sapore, per le sue sindromi, per qualche appunto che possa ritornare utile a tessere una traccia, ecco un remoto anno, “Il milleottocentosette, un autunno ed un inverno che contano, 8.608 abitanti per Potenza, la massima parte addetta alla cultura dei campi e alla pastura delle greggi, per l’indole agricola, per le condizioni dei tempi, per la mentalità dei poveri, per la sobrietà della vita, per il frugalissimo desco, per la provvidenza del bisognevole mediante prodotti del luogo e con l’industria di casa, per tutto e per quelli che sono gli irrefrenabili stimoli della gola.

Dal decurionato del 7 marzo 1818 si rileva come “mutatosi in certa guisa il modo di vivere, e cresciuti i bisogni, si avvertì l’esigenza di bandire l’appalto del macello delle carni, con l’obbligo di tenere due botteghe per l’uso della popolazione in due punti medi della città”.

Nel decurionato del 14 maggio 1826 ancora si legge che “fu fatto lo spianamento nella parte inferiore della piazza del Sedile, ove erano le baracche dei macellai, per dar comodo ai commercianti di animali nel Mercato della Domenica. Quel luogo era chiamato Bucceria, o beccheria: nome che si è conservato fino a qualche tempo fa per denominare un vicoletto. Fin d’allora si propose di scegliere un sito più acconcio per la vendita della carne e del pesce, e si designò il largo Tassiello, ove, negli anni successivi, si realizzò la Piazzetta”. Dalle statistiche degli anni novanta del novecento si deduceva quanto fosse stata difficile ed insopportabile la esistenza dei contadini nelle terre, quando nel circondario di Potenza la vite veniva coltivata su 11.968 ettari e il prodotto effettivo di vino era di 121.173 ettolitri, secondo i dati del raccolto del 1893, per un  numero medio di viti di 5.380 per ciascun ettaro. La quantità di vino bianco era di 14.828 ettolitri, quella di vino rosso di 106.344 ettolitri. Il raccolto del granoturco nel 1893, esteso su di una superficie di ettari 8.621 per il circondario di Potenza, dava un prodotto di 81.322 ettolitri, mentre la coltivazione di fave, vecce, cicerchie, ceci, lupini e mochi, era di ettari 2.284 per ettolitri 14.431. Su 1.308 ettari di superfici coltivate a castagne, il prodotto era di q.li 5.660.

Per la produzione delle olive, su di una superficie di ettari 2.342, il circondario di Potenza produceva 5.531 ettolitri, di cui 24 q.li di olive conciate in salamoia. Né si parla di altri prodotti come legumi e patate … solo di 2.000 piante da frutto.

“Non faremo preamboli retorici, scrive il commentatore dei dati statistici, l’eloquenza delle cifre non ammette esordi accademici …”. Quelli sono anni di crisi e di paralisi di ogni attività e dei poteri pubblici “una crisi che in tutto quanto può interessare lo stato sociale, ci mette alla coda delle altre regioni”.

“… La gente Vive di angosce, affranta, senza affetti, senza avvenire, si alimenta male, alloggia peggio in umili casupole, in tuguri squallidi, umidi, affumicati, angusti, tra i cenci e le immondizie e il bestiame”. L’alimentazione è prevalentemente farinacea, scarso il consumo della carne, se non fosse per qualche pecora vecchia cotta lentamente nel pentolone con tutti gli ingredienti del cutturiedde, scarsissimo l’uso del vino tra i lavoratori della terra. Nel gennaio del 1898 – ci informa Riviello – furono macellati per la città 1.308 agnelli e capretti, 9 vacche, 12 buoi, 7 annecchie, 5 tori, 1 vitello, 5 agnelloni, 140 maiali (di privati 141); distrutti 5 visceri ed un maiale, sequestrati tre perché panicati. Si fuma meno che altrove con circa 229 grammi di tabacco all’anno per ciascun abitante; i manovali della terra, i braccianti e i contadini usano farsi le sigarette anche con le frasche del granturco; i vecchi con pipe improvvisate fumano foglie secche di noce ed altre erbe che hanno un odore pressappoco somigliante al fumo di tabacco. Potenza, capoluogo della provincia, offre uno spettacolo indecoroso per lo stragrande numero di persone che abitano nei sottani (circa 4.550 rispetto alle 948 di Napoli). E la miseria non è solo in relazione alle pessime condizioni della alimentazione e della abitabilità, essa influisce su ogni aspetto della vita del popolo ed in ogni intrinseco ed esterno movimento delle vicende pubbliche.

Ciononostante Il Ventre di Napoli di Matilde Serao e Le Ventre de Paris di Emile Zola, erano voragini ben diverse dalle viscere di Potenza, piccola, città del sud senza una rete fognaria e senza un apparato gastroenterico di tutto rispetto, di città che tutte divora e tutto defeca. Non era quindi il mostruoso ventre di oggi, che macina derrate ingoiandole e digerendole nel tragitto che va dai mercati ortofrutticoli, dalle vendite organizzate dei supermercati, dalle carni macellate ai lunghi banchi di salsamenterie, di formaggi, dei diversi tipi di latte scremato o naturale, agli yogurt, dai panifici con cento forme e tipi di pane, ai dolci…

E ancora ai grandi nosocomi, alle cliniche private, ai ricoveri per gli anziani, alle carceri, alle caserme, ai refettori alle mense ecclesiastiche e laiche, alle mense di aziende, ai ristoranti, ai fast food, alle famiglie borghesi, piccolo borghesi e proletarie …

Un tragitto che fa confluire gran parte del materiale di risulta nelle discariche, o attraverso le fogne negli impianti di depurazione. Torniamo alla città dei primordi, la vecchia Potenza del 1890, senza fogne e senza economia. Qui i prefetti erano espressione assai fulgida del potere di Roma e per essi si prodigava tutta la classe dirigente e si allestivano splendidi banchetti.

I braccianti andavano a massacrarsi giornate intere nei fondi dei signori per 15 o 18 soldi al giorno, con cui dovevano mantenere sé e i quattro o cinque figli e, non di rado, i vecchi genitori, cibandosi di cipolle crude, foglie di campo e peperoni. Il Carnevale, che non passava invano per l’aristocrazia potentina, già non significava più nulla per il popolo contadino abituato, una volta, a festeggiarlo. Sulla stampa, il “melanconico” scrive: “le famose feste delle pacchiane? Ovunque sepolcrale silenzio, se si tolgono i soliti schiamazzi di monelli, certe maschere, così per dire, e la ridda invernale dell’ultima notte. La ridda è l’effetto della scorpacciata degli storici maccheroni a ferretto, che il nostro lavoratore aspetta a mesi e talvolta ad anno… Ricordando gli anni trascorsi, le belle feste pacchianesche, non sento il bisogno di chiedere ad alcuno la ragione, si intuisce … il divieto è imposto dalla miseria”.

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Sull' Autore

LUCIO TUFANO: BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE “Per il centenario di Potenza capoluogo (1806-2006)” – Edizioni Spartaco 2008. S. Maria C. V. (Ce). Lucio Tufano, “Dal regale teatro di campagna”. Edit. Baratto Libri. Roma 1987. Lucio Tufano, “Le dissolute ragnatele del sapore”, art. da “Il Quotidiano”. Lucio Tufano, “Carnevale, Carnevalone e Carnevalicchio”, art. da “Il Quotidiano”. Lucio Tufano, “I segnalatori. I poteri della paura”. AA. VV., Calice Editore; “La forza della tradizione”, art. da “La Nuova Basilicata” del 27.5.199; “A spasso per il tempo”, art. da “La Nuova Basilicata” del 29.5.1999; “Speciale sfilata dei Turchi (a cura di), art. da “Città domani” del 27.5.1990; “Potenza come un bazar” art. da “La Nuova Basilicata” del 26.5.2000; “Ai turchi serve marketing” art. da “La Nuova Basilicata” del 1.6.2000; “Gli spots ricchi e quelli poveri della civiltà artigiana”, art. da “Controsenso” del 10 giugno 2008; “I brevettari”, art. da Il Quotidiano di Basilicata; “Sarachedda e l’epopea degli stracci”, art. da “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 20.2.1996; “La ribalta dei vicoli e dei sottani”, art. da “La Gazzetta del Mezzogiorno”. Lucio Tufano, "Il Kanapone" – Calice editore, Rionero in Vulture. Lucio Tufano "Lo Sconfittoriale" – Calice editore, Rionero in Vulture.

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