Una storia breve di GERARDO ACIERNO
C’è stato un tempo in cui al primo piano della nostra casa di famiglia viveva con la moglie un uomo di nome Marcello. Noi, allora, occupavamo il secondo piano di quel bel fabbricato in pieno centro storico di un paese lucano.
Marcello era il proprietario di un negozio e il padrone di un cane. Al quadrupede aveva dato un nome impegnativo, importante, contrastante e ambivalente, un nome terribile per alcuni, mitico per altri: lo aveva chiamato Rommel come il generale nazista soprannominato “la volpe del deserto”. Aveva dato al cucciolo questo nome non perché nutrisse sentimenti, come dire, neri o peggio ancora nazi, ma soltanto perché la bestia gli era sembrata molto astuta e scaltra. Il cane era un volpino piccoletto, veloce e scattante. Accompagnava il suo padrone un po’ dovunque: al bar, all’osteria, in automobile, a casa, al negozio di giocattoli e giornali dove si accucciava all’ingresso senza mai chiudere gli occhi. Si muoveva tra i vicoli e le stradine del paese con assoluta padronanza. Controllava tutto con discrezione e finta timidezza. Se qualcuno osava stuzzicarlo gli si aggrappava ai pantaloni e a volte addentava furioso i polpacci del poveretto. Distingueva buoni e cattivi dal tono della voce. Era sempre pronto a difendere Marcello da chi per un motivo o per un altro dava fastidio. Una volta ringhiò a un carabiniere che stava multando Marcello per una inosservanza del codice della strada con tono severo e minaccioso. Ringhiò con particolare ferocia a quel graduato quasi volesse fargli intendere che lui era pur sempre un generale, perbacco!
Marcello aveva un cane, lo aveva chiamato Rommel ed era anche un accanito giocatore d’azzardo. La mattina del 7 gennaio di un anno lontano (primi anni Sessanta, se ricordo bene) aprii la porta di casa per andare alla stazione del pullman: si riprendeva la scuola giù in città dopo le vacanze natalizie. Sul pianerottolo trovai corrucciata la nostra coinquilina: “Affacciati al circolo, per piacere – mormorò la signora – quella bella roba di Marcello ancora non si è ritirato!”
Il circolo, all’epoca, era il ritrovo di molti giocatori che soprattutto durante le festività natalizie qui si radunavano per giocare a baccarat, a poker e ad altri giochi con le carte sperando in colpi fortunati che potessero cambiar loro la vita. Marcello diceva di cavarsela discretamente. Eppure non gli ho mai visto fare grandi progressi economico- finanziari. Il negozio di giornali, di balocchi e di profumi fino alla fine ha mantenuto sempre e soltanto un dignitoso decoro e nulla più.
Quella mattina, proprio come la moglie temeva, Marcello era barricato in una stanzetta molto simile a una trincea affumicata. Erano in tre, sfiniti, gli occhi arrossati, sbracati sulle seggiole a giocarsi gli spiccioli delle ultime lire loro rimaste. Le banconote di grosso taglio e di alto valore erano da tempo volate via nelle tasche e nel portafoglio del solito, fortunato forestiero di passaggio.
Per tutta la notte, Rommel, il volpino, se ne era stato lì, vicino al suo padrone, accucciato nell’angolo dove la stufa a legna emanava ancora un lieve tepore contrastando il gelo provocato dal nevischio che continuava ad imbiancare il paese.
La ‘campagna invernale’ per l’ennesima volta era andata male al padrone del feldmaresciallo a quattro zampe! E forse la bestia ne era tristemente a conoscenza visto che immediatamente venne a strusciare il suo pelo morbido sul risvolto dei miei pantaloni come a dirmi: ‘meno male che sei venuto! Ora finalmente si torna a casa’
In seguito vennero giorni in cui Marcello si chiedeva e mi chiedeva cosa fossero diventati il paese in particolare e la Basilicata in generale. Aveva voglia di parlare del bel tempo andato, del facile se pur minimo guadagno, della gioventù ormai un ricordo e del negozio che rendeva sempre meno. Aveva, Marcello, la sensazione che la gente stesse cambiando. E ne parlava continuamente. Diceva che la città vicina stava divorando il paese, che il cemento selvaggio aveva seppellito definitivamente campi di granoni e prati fioriti nascondendo colline friabili, facili a franare disastrosamente. Sottolineava di continuo che pure Rommel era invecchiato parecchio e che ormai frequentava pochissimi posti, senza mai allontanarsi più di tanto da lui. Mi faceva notare che gli altri cani erano randagi, pronti a fregare il compagno, forti soltanto quando erano nel branco, deboli da soli e che tutti a differenza del suo volpino avevano lo sguardo cadente e schivo, terribilmente simile a quello degli umani del nostro tempo.
Mi piaceva consumare alcune ore con Marcello, di pomeriggio, in estate, quando la calura addormentava il resto del paese e nel vicolo di casa il silenzio era interrotto dallo stonato battere della campana dell’orologio della torre civica: misurava lo scorrere della vita lasciandoci ignari sul Tempo e i suoi innumerevoli sfregi. Gli orologi non parlano: contano e contano, contano soltanto …
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