MELE O MELIS DA STIGLIANO, UNO SCULTORE TRA LUCANIA E PUGLIA

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dI VITO TELESCA

Mele da Stigliano (Melis, o probabilmente “Amelis”), è stato uno dei più importanti scultori e lapicidi lucani del medioevo. Nacque a Stigliano, intorno al 1190. La posizione geografica del suo paese natale ha influenzato fortemente la sua formazione, perché particolarmente vicino ai grandi centri di evoluzione artistica dell’epoca. Pertanto si trovò a poter usufruire dei nomi, botteghe e degli insegnamenti di maestri sia lucani che di estrazione artistica pugliese (area sipontino-garganica).

Infatti potremmo dividere il suo percorso formativo e la sua esperienza artistica in due parti, la prima di estrazione lucana, la seconda schematicamente definibile “pugliese”. Fu infatti allievo di Sarolo da Muro, con il quale apprese le basi del mestiere e poté partecipare a diversi lavori di bottega.

SANTA MARIA DI ANGLONA

Probabilmente i primi lavori eseguiti da Mele, unitamente al maestro murese, potrebbero essere stati eseguiti per il portale della Cattedrale di Anglona, a Tursi, per il portale del Convento della Madonna del Casale di Pisticci e per il portale della Chiesa di S. Maria la Nova a Melfi. Come notiamo sono tre portali che, se rapportati, danno l’idea di una “mano” già tipicizzata e stereotipata per il modello prodotto con elementi geometrici “a zig-zag” sormontati da elementi con figure naturali o relative al tipico bestiario lapicida. Sempre sotto Sarolo da Muro pare si sia affinata anche l’esperienza murgiana con le colonne e capitelli poste all’ingresso del Castello federiciano di Gioia del Colle.

portale convento Madonna del Casale di Pisticci – Copia

Dopo questa prima, importante e intensa esperienza lucana Mele affina la sua tecnica grazie all’influenza artistica pugliese, che stava vivendo un periodo florido sotto la spinta sveva. Nei fatti si nota la collaborazione del lapicida stiglianese con un altro eccellente maestro dell’epoca: Alfano da Termoli. Probabilmente la collaborazione con questa bottega, attiva in area garganica, è avvenuta quando Alfano era già in avanti con l’età e quando Mele era già abbastanza autonomo da avere una bottega propria. Forse la sua formazione si è però arricchita anche grazie all’incontro con Bartolomeo da Foggia, bottega e maestro rientranti specificamente “nel giro” federiciano.

Per dovere di cronaca, al “famoso” maestro termolese Alfano sono state attribuite diverse opere scultoree, come il cornicione della cattedrale di Foggia, nonché alcuni capitelli della cripta. Probabilmente lavorò anche in Castel del Monte e nella chiesa di S. Maria Maggiore a Monte Sant’Angelo (capitelli) e si segnala la sua presenza (forse come architetto o dirigente) nella cattedrale della sua città natale Termoli. La collaborazione con Mele da Stigliano pertanto potrebbe aver avuto inizio quando la bottega alfaniana aveva iniziato la cooperazione con la corte di Federico II.

Mele, con la sua bottega, giunse pertanto a Bari chiamato insieme ad altri lapicidi per decorare il maniero Normanno-Svevo. Gli altri furono Ismaele, che scolpì un capitello dell’androne, tal “Minarrus de Canusia”, che incise il suo nome nel semicapitello della loggetta, e appunto Alfano da Termoli che si occupò del portale di accesso dell’androne.

Portale Santa Maria la Nova Melfi

Alfano nella sua esperienza barese, fra il 1228 e il 1233, modellò il ciborio dell’altare maggiore della cattedrale di Bari, come risulta dalla firma presente nelle scritte dei tre capitelli originali. Mele da Stigliano invece a Bari si occupò (tra il 1232 e il 1240 circa) di alcuni capitelli delle logge federiciane all’interno del castello e probabilmente in altri lavori “minori”. Il suo nome appare qui insieme a quello di Minarro da Canosa (“MINERRVS DE CANVSIA ME FECIT E MELIS DE STELLIANO ME FECIT”), prove che rendono inequivocabili le mani dei loro esecutori materiali. Il vocabolario stilistico di questa produzione, che combina forme vegetali e animali, è caratteristico della scultura sia di Alfano che di Mele e ricorda i capitelli della navata e il pulpito della Cattedrale di Bitonto, che sono stati attribuiti allo stesso Mele dallo storico Sabino Iusco.

Gli studiosi hanno fotografato il tratto artistico di Mele cercando di carpirne anche il suo “carattere”, definito testardo, conservatore e spesso contrario a certe inclinazioni gotiche dei suoi contemporanei e maestri. È stato pertanto definito “un tenace ritardatario”. Nelle sue opere troviamo influenze che vanno “da Nicola e Bartolomeo da Foggia, da Sarolo da Muro ad Alfano da Termoli, stimoli però dominati dalla sua personalità di ostinato montanaro, dal suo carattere difficile e puntiglioso”. (Emile Bertaux).

Santa_Maria_D’Anglona_34 – Copia

L’impronta di Mele nel Castello di Lagopesole è pertanto confermata dall’allineamento stilistico con i suoi lavori precedenti. Qui firma la porta della cappella, probabilmente uno degli ultimi lavori all’interno del maniero. Restauro complessivo del castello che ebbe inizio nel 1230 e che vide all’opera diverse botteghe di lapicidi e di scultori, alcuni di difficile identificazione, individuabili però nella grande produzione di mensole e sculture figurative. Elementi stilistici che riprendono spesso influenze europee (Francia e Germania), unitamente a inclinazioni (più naturali) verso le vicine scuole lapicide pugliesi e della scultura campana del XIII secolo (Aceto 1980).

Come abbiamo avuto modo di comprendere negli articoli precedenti, quando abbiamo trattato gli  altri lapicidi lucani, i “maestri”, anche se non ascrivibili ad un preciso contesto sociale, spesso orbitavano intorno ad ordini religiosi (vedi Melchiorre da Montalbano, Acceptus, Magister o Pollice), mentre in altri casi non si riesce a comprendere l’inquadramento  sociale. È il caso di Mele del quale non sappiamo nemmeno il suo status giuridico (Alfano da Termoli era definito “civis”). Quindi Mele se non un monaco può essere stato un laico che aveva nel suo paese natale un elemento distintivo e identitario, il suo “marchio di fabbrica”, particolare che lo accomunava ad altri artisti del suo tempo e che ne mostrava un lato itinerante, quindi non stanziale, e pertanto ultraregionale che ne aumenta il fascino e la nostra curiosità.

 

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