
FEDERICO MUSSUTO
Il 2 aprile 2025 il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha posto in essere un ennesimo tassello della sua campagna elettorale, favorendo un ritorno al protezionismo e uno stupore mediatico mondiale non indifferente.
Eppure gli intenti del presidente repubblicano erano stati già chiari durante il primo mandato. Con l’instaurarsi della crisi sociale, economica e geopolitica, tra pandemia e conflitti, l’America rossa abbandona il continente europeo, provato da crisi monetarie, economiche, energetiche e sociali, favorendo una concentrazione del proprio interesse prettamente nel “Nuovo Mondo”.
La nuova via economica americana è stata scritta per lo più dall’economista Steven Miran, professore della Boston University. Attuando dei principi basiliari della politica economica, la Casa Bianca ha visionato la bilancia commerciale con ogni singolo Paese e la scelta dei dazi da porre altro non è che la somma del disavanzo passivo che Washington subisce dalla maggior parte dei Paesi. Non c’è da meravigliarsi se gli Stati Uniti attraverso i dazi facciano presente al mondo chi siano i veri Alleati: Gran Bretagna e Israele. Se con i primi si ha una “Special Relationship”, come detto nel 1946 da Churchill, per motivi di familiarità e continuità imperiale, con Israele si prosegue assieme un discorso completamente diverso, seguendo un esistenzialismo politico noto come “Destino Manifesto”. Ed ecco che i dazi per i britannici sono solo al 10% e per Israele al 17%. E in tutto ciò l’UE? Quel popolo che si identifica nei valori delle dodici stelline vede un dazio del 20%, con ulteriori perdite industriali, economiche e lavorative all’orizzonte. Dopo svariati appelli nel corso degli ultimi tre anni, dal momento dello scoppio del conflitto in Ucraina, l’Europa si scopre per quel che è: un centro di potere che deve chiedere sempre il permesso a Washington o a Londra, come dimostra il “meeting dei volenterosi”, per capire dove andare e che fare della propria esistenza. Eppure gli inglesi erano dal 2016 i principali rivali dell’UE, avendo favorito la Brexit e gli spiriti ribelli alle istituzioni comunitarie, oggi sono i principali, assieme a Parigi, a dover scegliere l’indirizzo della politica estera e militare del continente, dalla questione Ucraina ai vari annunci di invasione russa su territori UE. Il depauperamento dell’Europa lo si può capire dall’ennesime parole della Von Der Leyen e alti rappresentati: “Faremo le contromisure dal 15 aprile, altre a maggio, per rispondere alle intimidazioni di Trump”. Sicuramente, queste contromisure europeiste avranno lo stesso effetto boomerang che l’industria e l’economia europea sta vivendo grazie ai vari pacchetti delle sanzioni nei confronti di Mosca.
Insomma nel 2019 il problema per l’UE era la Via della Seta, dopo aver firmato memorandum, a partire dal Governo Conte I, si è passati a mangiare un double cheeseburger a Manhattan da Trump per tornare sui passi atlantici. Il problema nel 2020 è la Cina che diventa il focolaio della pandemia. Il problema è la Russia nel 2022 con l’invasione dell’Ucraina il 24 febbraio.
Il problema oggi è Washington, praticamente il Paese che ti ha detto che tutti i mali sono generati da Cina e Russia per la sicurezza e il benessere del continente.
L’Ue è un paziente che va dallo psicologo e racconta i problemi che subisce a causa degli altri. Poi, un giorno, lo psicologo, dopo averlo fatto sfogare, gli comunica il disturbo: l’effetto specchio, secondo il quale, com’è noto, le caratteristiche della propria personalità che non abbiamo o non riconosciamo diventano fonte di irritazione quando le vediamo negli altri.