QUESTIONI DI LAVORO

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PATRIZIA BARRESE

Manifestare il proprio dissenso e le proprie richieste nei confronti dei datori di lavoro, porta ad affrontare un salto di 4500 anni fa, quando già le prime fonti storiche dell’Antico Egitto parlavano del primo sciopero della storia indetto durante il regno di Ramses III, quando gli operai impiegati alla costruzione dei templi di Tebe incrociavano le braccia: il malcontento era scoppiato a causa del ritardo della paga effettuata allora in derrate alimentari, cioè in grano, pesci, legumi e per la mancata consegna di unguenti necessari a proteggersi dal sole e dal clima secco del deserto. Scioperi terminati quando il dovuto fu interamente consegnato. Anche nell’antica Roma, intorno al 500 a.C. lo sciopero dei plebei, costrinse i lavoratori a ritirarsi dalla città per protestare contro le condizioni oppressive.

Dalla storia alla modernità i primi scioperi generali hanno inizio con la nascita dei grandi sindacati alla fine del ‘800 quando negli Stati Uniti “ la Grande Rivolta” chiedeva migliori condizioni lavorative, inclusa la richiesta di otto ore di lavoro giornaliero, richiesta che avvenne anche in Italia nel 1872 a Torino quando – in questo evento considerato uno dei primi scioperi organizzati che avrebbero segnato una data importante nel mondo del lavoro – si richiedeva una giornata attiva di otto ore. Protestare contro condizioni di lavoro ingiuste, richiesta di salari adeguati, miglioramento nelle norme di sicurezza sul lavoro sono solo alcune delle ragioni dello sciopero, di questo strumento di pressione utilizzato per “ricordare” le questioni cruciali nelle relazioni tra datori di lavoro e lavoratori. L’Italia ha una lunga storia di mobilitazione sindacale e sociale, numerosi scioperi si sono verificati nel corso dei decenni coprendo una vasta gamma di settori e questioni, perché è fondamentale riflettere ed intervenire oggi più che mai sulla rivalutazione dell’età pensionabile , sull’istruzione , ridurre le disuguaglianze e rilanciare la crescita.

La Riforma Fornero del 2012, ha segnato la data che ha apportato importanti cambiamenti al sistema pensionistico italiano: innalzare l’età pensionabile in base all’aspettativa di vita, mai legge ha dettato le più importanti manifestazioni, perché se fortunatamente studi e ricerche evidenziano come nel corso degli ultimi anni la speranza di vita si sia progressivamente incrementata e proseguirà nel futuro, purtroppo l’effetto non risulterà positivo per il sistema lavorativo e di pensionamento a cui dovremo erogare prestazioni per tempi più lunghi, giunti all’età pensionabile sancita di 67 anni. Tuttavia sebbene i barlumi di incentivi economici, contributi previdenziali o agevolazioni che, spuntano come acqua nel deserto, si fa riferimento a lavori gravosi maggiormente associati alle mansioni quali operai, operatori, facchini, conduttori di mezzi pesanti, a ricordo del termine gravosi, non attribuendo la giusta considerazione al personale della scuola e al lavoro degli insegnanti che risulta gravoso per diverse ragioni: carichi di lavoro intensi, interazioni scuola – famiglia ed attività extracurricolari del sistema scolastico.

Gli insegnanti non dovrebbero oltrepassare la “giovane età” dei 60 anni perché gli aspetti didattici legati alla qualità dell’insegnamento, l’impegno emotivo, le sfide crescenti e le aspettative del sistema educativo spesso non risultano a tutti come indicativi della gravosità di questa professione sottoposta a burnout. Ridurre il gap d’età fra insegnanti e alunni è indispensabile, incentivare nuovi insegnanti e facilitare il ricambio generazionale può contribuire a mantenere una forza lavoro docente dinamica, diversificata e rispettosa della professionalità e della salvaguardia di questa forza lavoro la cui remunerazione risulta insoddisfacente e a fronte di condizioni di lavoro in peggioramento, come l’aumento del numero di studenti per classe e l’espansione delle responsabilità. Basti pensare che il lavoro del docente non attrae più in Francia e le dimissioni volontarie dal servizio hanno visto un numero cinque volte superiore rispetto a dieci anni fa.

Purtroppo, benchè possono essere un mezzo efficace per attirare l’attenzione su questioni pubbliche e porre pressione per il cambiamento, gli scioperi non sempre risolvono completamente le questioni che richiedono un approccio più ampio e multifattoriale. Se non ci sono canali di negoziazione aperti fra i lavoratori e i datori di lavoro, lo sciopero non porta a soluzioni positive tangibili anzi…risulta maggiormente a scapito dei lavoratori. In occasione dello scorso Sciopero generale del 17 novembre, a partire dalla “cancellazione della legge Fornero”, si è discusso di favorire il lavoro stabile a tempo indeterminato, migliorare il lavoro delle donne, definire nuove politiche di accoglienza e integrazione dei cittadini migranti, investire sulla salute e in tutti i settori della conoscenza, difendere e incrementare la qualità e la quantità dell’occupazione a partire dal Mezzogiorno. Staremo a vedere quali cambiamenti avverranno, alla stregua dei funzionari del faraone si tenterà di ricondurre alla ragione gli operai, facendo loro molte promesse, ma dagli Egizi ai giorni nostri, auspichiamo possa aver contribuito a stimolare manovre legislative per affrontare al meglio le preoccupazioni dei lavoratori di tutt’Italia nei diversi contesti, garantendo i diritti fondamentali e sperando non rimanga come il solito  balletto degli scioperanti o il dipinto della lotta, con i lavoratori come pennelli che tracciano linee di cambiamento su un quadro sociale, concreto nelle problematiche, ma astratto e a tempo indeterminato nella risoluzione.

 

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Sull' Autore

Insegnante lucana con la passione per la scrittura. Amo la mia terra sebbene per lavoro io risieda a Milano. Scrivere e condividere la passione per la scrittura e poter divulgare anche da lontano per rendere "maggiormente visibile" il nostro paese è uno dei miei desideri. Il mio paese natio è Rionero in Vulture.

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