La lotta contro l’autonomia differenziata unisce diverse parti della società. Il webinar che il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale di Potenza ha tenuto ieri testimonia consensi trasversali nell’associazionismo e nei sindacati sull’idea di bloccare e invertire l’attuale percorso di autonomia. Serve invece una diversa visione del Paese e delle istituzioni. Serve tornare a parlare della questione meridionale e a cercare soluzioni alla grande asimmetria d’Italia.
Questo in sintesi il messaggio di Resteremo uniti?, il webinar organizzato dal CDC Potenza al quale hanno partecipato CGIL, CISL, UIL, ARCI, RDSM e NOstra. Un incontro partito nel segno dell’analisi del merito, grazie all’introduzione del costituzionalista Claudio De Fiores dell’Università Vanvitelli. Ma che non ha lesinato critiche alla politica, rea di non cogliere i reali problemi del regionalismo e i reali bisogni del sistema Paese.
L’autonomia differenziata resta un percorso rischioso che svantaggia soprattutto il Mezzogiorno. Non soltanto perché ad aver avviato il processo sono state tre Regioni del Nord (Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna). Il vero punto critico del problema consiste nella frantumazione che questo disegno autonomista vuole imporre al Paese, peraltro su questioni sensibili come la scuola.
Già il nostro regionalismo non può dirsi un grande successo. La riforma del Titolo V del 2001, molto frettolosa e politicista, ha prodotto una crisi del sistema sanitario e oggi alimenta un flusso di pazienti da Sud a Nord che rafforza e consolida le tragiche asimmetrie di servizi tra le due aree del Paese. La retorica del federalismo fiscale, diretto verso lidi sperequativi da retoriche separatiste, ha inquinato il dibattito per anni ed è la radice del problema attuale. Coi soldi nostri vogliamo fare ciò che vogliamo, è il succo della mozione autonomista: quanto di più lontano possa esserci dalla nostra Costituzione, che predica la solidarietà sociale e territoriale.
Anziché riflettere sulle debolezze strutturali del regionalismo – la sanità è l’unica competenza di rilievo assegnata alle Regioni – la classe politica attuale preferisce esacerbare i fenomeni esistenti. E rinuncia a un ruolo importante: la correzione e il governo degli squilibri sistemici. «Il Sud può aspettare» sosteneva Stefano Bonaccini qualche tempo fa. Che lo ritenga un Presidente di Giunta del Nord non sorprende. Ma che sia un pensiero comune a tutte le classi dirigenti del Paese è francamente sconcertante.
Opporsi all’autonomia differenziata non è neoborbonismo ma senso di responsabilità. Se il regionalismo non ha curato il forte divario tra Nord e Sud, questo non vuol dire che ce lo si può dimenticare e che possiamo fare finta di nulla. Da più parti nell’incontro di ieri si è chiesto un cambio di rotta nelle politiche sul Mezzogiorno. La chiave di un’eventuale vittoria in questa battaglia – ha giustamente osservato Alfiero Grandi nelle conclusioni – è non trasformarla in un mero No. La battaglia contro l’autonomia differenziata dev’essere un Sì a un’altra riforma del Titolo V della Costituzione.
Servirà abbandonare la retorica individualista in cui ogni territorio farà scuola a sé. Servirà progettare un sistema in cui il centro si occupi delle periferie del Paese e che lo faccia con una visione di lungo periodo. Non a caso si è criticata anche la scelta di destinare solo il 34% degli investimenti al Sud, sulla base di un criterio demografico. Una posizione molto avanzata del dibattito, se consideriamo che questa cifra è di per sé già un avanzamento rispetto ad anni e anni di investimenti addirittura inferiori alla popolazione secondo le proporzioni storiche. Insomma, lotta alle disuguaglianze e lotta alle sperequazioni.
Ma non si può considerare solo il dato economico, sociale e produttivo. Se il merito dell’autonomia differenziata è ampiamente criticato, pure il metodo diventa terreno controverso. Inserire il disegno di legge Boccia come collegato alla legge di bilancio rappresenta una palese violazione della correttezza istituzionale che dovrebbe guidare il percorso di ripensamento dell’infrastruttura politica territoriale del Paese. Il DDL Boccia, che progetta le tappe dei percorsi di autonomia, non solo non è stato ritirato – e non va considerata una vittoria la sua provvisoria assenza dai tavoli parlamentari – ma si inserisce in un quadro istituzionale già fragile. L’elezione diretta dei Presidenti di Regione e i sistemi elettorali regionali sono fonte di indebolimento delle assemblee rappresentative. Un processo di delegittimazione degli organi di rappresentanza che ha già condotto al drammatico taglio del Parlamento. Ripensare le Regioni significa anche rimettere in discussione il loro assetto politico. Che nuoce alla qualità della classe politica e mina la fiducia del cittadino nelle istituzioni.
Insomma, sarà una battaglia complessa e faticosa, da combattere su più fronti. Una battaglia nella quale sarà fondamentale il contributo della classe dirigente meridionale, finora molto miope sul tema. E che concerne, ancora una volta, le leve della democrazia italiana e i tasti più delicati del sentire comune degli elettori. Ma proprio perché dall’uguaglianza di tutti i cittadini italiani, dai veneti ai lucani, discende la convinzione di vivere in un Paese civile, allora servirà armarsi e partire, e combattere per un’Italia in cui non esistano più territori di Serie B.