di Teri Volini
Uno dei problemi irrisolti del millennio è la violenza contro le donne: un dramma che travalica il tempo, in una reiterazione continua del problema, permettendo persino la surreale autodifesa del colpevole dell’estrema sopraffazione: un “uomo” – spesso marito, compagno, amante che, dopo maltrattamenti e sevizie fisiche e morali a volte di anni, fino all’ uccisione – osa dichiarare di averlo fatto “per amore”.
Ci si chiede da tempo come arginarlo, quest’orrore, indegno di una società civile, ma i femminicidi continuano, e nemmeno leggi più severe riescono a risolvere un problema di planetaria tragicità.
Non ci si stancherà di ripetere che non si tratta soltanto dell’impazzimento di un uomo – che certo bene non sta, e che andrebbe preventivamente fermato e aiutato prima che le situazioni difficili degenerino – ma di un problema sociale: quello che bisogna fortificare innanzitutto, è l’azione culturale, che permetta una diversa, più elevata, “formazione “ mentale e comportamentale dei cittadini.
Operare realmente per una società più sana e più giusta, in cui siano meno presenti i tanti fattori che scatenano la violenza in generale, e poi quella di genere.
Autorevolezza e prestigio
Occorre un radicale mutamento della mentalità comune, e il ripristino della priorità di alcuni Valori fondanti. Urge fare un passo indietro, focalizzare la situazione a più largo raggio, promuovendo in maniera costante una visione sociale e umana, finalizzata a restituire al femminile autorevolezza e prestigio, tanto da rendere impossibile il solo pensare alla violenza nei suoi confronti.
In questo processo, a giocare un ruolo essenziale è la donna stessa, spesso corresponsabile del ripetersi di situazioni distruttive e in genere succube di un ritardo evolutivo socio-culturale, che risente del permanere di modalità patriarcali: serve in tal senso una sua maggiore consapevolezza, per liberarsi – anche lei – di una a zavorra di abitudini mentali, convenienze, compromessi, che hanno tenuto le donne irretite per migliaia di anni. E anche in questo è necessario un sostegno, possibile solo con il miglioramento socio-culturale.
Androdonne
Ancor oggi, una gran parte delle donne permane in stato confusionale, inconsapevole del suo stesso valore, ancora lontana da un’effettiva liberazione: un’educazione familiare, scolastica e sociale sbagliata, ha sostenuto traslazioni pluri-generazionali di sviste e ambiguità sul suo ruolo, sul peso reale dei valori da essa incarnati, tanto che i miglioramenti sono stati lenti, e con arretramenti agli anni precedenti il periodo ’60 – ’70 del ‘900, quando, ad un tempo fervente di lotte e conquiste in diritti, dignità, autodeterminazione, è seguito un ventennio orribile, in cui si è tornato al prevalere dell’esteriorità come valore fondante (scambio sessuale, ammiccamento, compiacenza), spesso come merce di scambio per avanzamenti economici o di status, per la carriera politica e lavorativa: un’opera mirata di corruzione, che ha “formato” le giovani generazione di quel tempo, in molti casi avvicinando le donne alle caratteristiche meno nobili del maschile.
Si è così creato – o rafforzato – un ibrido: le androdonne, donne rampanti, prive di interesse per le altre, anzi loro nemiche; propense al potere e al controllo, emule e complici del peggio patriarcale.
Un ruolo saldante lo hanno giocato i paradigmi berlusconiani: quelli del bell’aspetto, anche per le donne in politica, rese manipolabili, o delle prostitute eufemizzate in escort come modello di femminilità, ne sono un esempio drammaticamente farsesco.
L’inganno delle parole
Diventa prioritario riconquistare una cultura diversa, affrancata da impedimenti imposti sia dalla prevaricazione storica, sia – più sottilmente, ma altrettanto rovinosamente – da quella linguistica. Il primo passo per una crescita liberatoria e produttiva – che si riverbererebbe al mondo intero – è quella disambiguazione dei termini della lingua, che definisco risemantizzazione, e che serve ad eliminare equivocità, falsità – generanti confusione – che tuttora incrostano i termini abitualmente usati, e che inducono sia uomini che donne a dannosi fraintendimenti nel pensiero e nei comportamenti: uno per tutti, il termine amore, che, come abbiamo letto all’inizio, viene usato dal violento di turno completamente a sproposito, senza nessuna sana riflessione sul vero senso che la parola esprime, se usata correttamente. Di fatto, anziché indicare affetto, passione, cura, stima, tenerezza, protezione, il termine, male interpretato, diventa pretestuosamente sinonimo di possesso, dominio, prepotenza, impulso folle, il che autorizza comportamenti prevaricatori e distruttivi.
Uguaglianza, una trappola?
Fra le parole basilari riguardanti l’inganno linguistico, c’è anche, paradossalmente , l’ “uguaglianza”: anche questo termine è stato fonte di grandi fraintendimenti, riversandosi negativamente sulla donna.
Fatta salva la sacrosanta parità nei diritti, il termine va demistificato: non è l’uguaglianza tout court con l’uomo che va perseguita dalla donna, bensì il suo superamento!
Ragionando correttamente: se intesa come allineamento alla cultura maschile patriarcale, l’uguaglianza è la fatale trappola che ha permesso alla dipendenza della donna – anche a sua insaputa – di perpetuarsi: accettando quella cultura, l’ha fatta propria, emulando l’uomo e non pensando invece di proporre – forse imporre – una sua rinnovata, più matura visione. Funzionale al sistema patriarcale, l’uguaglianza mistificata è un inganno del sistema, per conservare lo status quo, fonte di disagio e sofferenza.
È improrogabile trascendere visioni obsolete, altamente distruttive: anche gli uomini sani lo vogliono! Eliminando il becero del maschile patriarcale, far riaffiorare il vitale PFO, Principio Femminile Originario, diventarne consapevoli e fiere/i, dal momento che esso incarna le migliori qualità al mondo; unirle poi alle qualità del maschile sapiente, e farne la base per una rinnovata società, in cui prevalgano i genuini sentimenti di Vita, Amore, Libertà, Solidarietà, Verità, Integrità, Espansione, tutto il meglio per l’umanità.