SANT’ANTONIO: MASCHERE E SUONI

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ANGELA MARIA GUMA

La poliedrica figura di Antonio Abate è uno degli esempi più significativi di come un Santo cristiano possa essere capace di adattarsi ai diversi contesti sociali e culturali e di rispecchiare gli ideali e le aspirazioni dei fedeli di ogni comunità. I testi più antichi sulla vita del Santo sono la Vita di Antonio di Atanasio di Alessandria e la Vita di Paolo di Girolamo dai quali è possibile ricavare un ritratto di eremita austero che realizza il suo percorso di perfezione nella sottomissione del corpo alle esigenze dello spirito. Nato a Coma, nel cuore dell’Egitto, intorno al 250, nonostante la sua appartenenza ad una famiglia agiata, mostrò sin da giovane poco interesse per le lusinghe e per il lusso della vita mondana: alle feste ed ai banchetti preferiva il lavoro e la meditazione. Dopo la morte dei genitori, infatti, distribuì tutte le sue sostanze ai poveri, si ritirò nel deserto e lì cominciò la sua vita di penitente. Compiuta la scelta di vivere come eremita, trascorse molti anni vivendo in un’antica tomba scavata nella roccia, lottando contro le tentazioni del demonio. Già in vita fu un punto di riferimento e attirò numerosi pellegrini provenienti da tutto l’Oriente. Anche l’Imperatore Costantino e i suoi figli ne cercarono il consiglio. Atanasio, infatti, narra che soltanto due volte lasciò il suo romitaggio. La prima per confortare i cristiani di Alessandria perseguitati da Massimino Daia, la seconda, su invito di Atanasio, per esortarli alla fedeltà verso il Concilio di Nicea. Oltre ad essere anacoreta fu anche taumaturgo.  In tanti, infatti, accorsero al suo fortino per chiedere il miracolo della guarigione da malattie e possessioni demoniache. La sua figura fu così importante che Sant’Antonio divenne il riferimento spirituale per molte comunità di eremiti formatesi nel deserto. Per questo  è considerato il fondatore del monachesimo cristiano. Malgrado conducesse una vita dura e piena di privazioni fu molto longevo, infatti la morte lo colse all’età di 105 anni, il 17 Gennaio del 355. Sulla sua tomba, subito oggetto di venerazione da parte dei fedeli, furono edificati una chiesa e un monastero; le sue reliquie nel 635 furono portate a Costantinopoli, e poi in Francia tra il sec IX e il X dove oggi si venerano nella chiesa di Saint Julian, ad Arles. L’iconografia ricorrente per Sant’Antonio Abate è quella di un vecchio con la barba ed un bastone di ferula a forma di tau, nelle mani ha il fuoco e ai suoi piedi vi sono dei porcellini e altri animali intorno. I suoi attributi iconografici ci dicono molto della sua agiografia. In particolare, il fuoco è correlato all’episodio leggendario in cui il Santo anacoreta scese all’inferno dove a seguito di una serie di peripezie riuscì a rubare una scintilla del fuoco infernale e, dopo averla custodita nel suo bastone, si ritiene che l’avesse donata agli uomini affinché ne facessero uso. Questo episodio della vita del Santo evoca una storia più antica, profana e mitica, che è quella di Prometeo che donò agli uomini il fuoco sottratto agli inferi. Ma al fuoco è legato anche il suo protettorato su una malattia: l’herpes zoster, comunemente conosciuta come fuoco di Sant’Antonio.Il culto di S. Antonio Abate fu introdotto, in Italia Meridionale prima del mille dai Basiliani e può senza dubbio essere considerato uno dei più antichi culti diffusosi in occidente dove si sviluppò soppiantando culti preesistenti. E’ evidente la coincidenza dei rituali della festa dedicata al Santo con i riti agrari di purificazione e le feriae sementine dei romani. Durante queste feste che si svolgevano nel mese di gennaio, venivano accesi dei fuochi per scopo propiziatorio.

                                           

Per la diffusione di questi riti di grande rilievo fu determinante dunque il ruolo svolto dai Basiliani, religiosi che ebbero grande importanza nello sviluppo culturale e artistico del Meridione e della Basilicata in particolare,  alla cui presenza sono legati molti edifici lucani. Alcuni di questi presentano una navata ad un arco trionfale in forme quasi gemellari con quelle di S. Antonio Abate di Pignola. Si ipotizza, pertanto che la navata attuale della chiesa di Sant’Antonio potrebbe corrispondere nella planimetria al nucleo principale di un antico oratorio basiliano. Le quattro finestre lobate sono della stessa epoca del portale, cioè settecentesche. Il presbiterio e le cappelle attigue sono delle aggiunte del 1892 quando furono inglobati il coro e la sala delle riunioni della vecchia Congrega di Carità del SS. Sacramento. Nello stesso periodo fu abbattuta la Chiesa dell’Annunziata. Di questa Chiesa sopravvive la grande arcata del presbiterio ed uno spiazzo che si chiama appunto: largo dell’Annunziata. L’immagine del Santo venerato nella Chiesa è una scultura lignea che mostra chiaramente il carattere austero del Santo e presenta i simboli connessi agli atti devozionali: il FUOCO che, nel suo aspetto ambivalente, diabolico e purificatore, vuole ricordare il Santo in lotta e vincitore delle forze demoniache. La Chiesa di Sant’Antonio è stata impreziosita nel 1999 da un’artistica opera scultorea in bronzo: la Porta del Giubileo commissionata dalla Pro-Loco il Portale per encomiabile iniziativa dell’indimenticabile Bruno Albano e realizzata da Antonio Masini.

                    

                                   

La devozione dei Pignolesi nei confronti del Santo Patrono trova la sua piena realizzazione nella tradizionale festa che è antichissima ed è caratterizzata da una grande partecipazione popolare. Sono due i momenti significativi della festa: il “rito del Fuoco” e il Palio dei muli, degli asini e dei cavalli.” Il grande falò, la fanoia (una pila di fuoco circolare), viene realizzata il 16 sera, benedetta dal Parroco dopo la messa vespertina, vegliata dai devoti intorno a cui viene offerto ai presenti un assaggio della cucina tradizionale.  In passato i Pignolesi usavano anche portare a casa, in segno di devozione, un po’ di brace e qualche tizzone per accendere il fuoco che durava tutto l’inverno. ll 17 gennaio si tiene la corsa dei cavalli, muli ed anche asini ed è il culmine di un rito. Gli animali riuniti nella piazza ricevono la benedizione e solo dopo, la corsa può iniziare con i suoi tre giri tradizionali per le strette vie del centro intorno alla Chiesa, l’antico borgo di Sant’Antonio.

Al termine della corsa i fantini vengono accolti e premiati nella piazza principale, mentre il paese si colora di  coriandoli e Z’ Gerard Fott si affaccia ad un  balcone della piazza per assaporare i vermicelli conditi dal sugo di pezzente nel bianco pisciatur.  E’ in questo caratteristico modo che nella comunità pignolese si annuncia l’ingresso del Carnevale perché come recita un detto popolare: a Sant’Antuon: mascher e suon.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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