DOMENICO FRIOLO: I “SASSI” DI MATERA

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Con Domenico Friolo abbiamo cercato un modo diverso di portare al pubblico una poesia, e cioè scattare la fotografia nel momento in cui essa nasce, incomincia a formarsi, portata da un sentimento che ti prende, ti coinvolge, ti travolge. Questa poesia su Matera è nata su un ricordo di bambino, ed è comprensibile come allora la zona dei Sassi l’abbia vista brutta, confrontata con i parametri che quel bambino aveva delle altre città. Poi c’è tornato e se ne è innamorato. E questa poesia ha fatto il giro del Mondo.rr

“Matera, nei miei ricordi di bambino. Questa città, non mi attraeva, anche se ogni sera ne leggevo il nome accostato a quello del mio paese natio, sul cartello in cima alla corriera. Mi attraeva Taranto, forse perché la vedevo in fondo al golfo, mi attraeva Potenza, dove dividevo la residenza con Rotondella. Matera la seguivo con distacco. La prima volta che laDOMENICO FRIOLO LA MIA TERRA TRA STILLE E STELLE vidi, rimasi deluso, mi parve tutta strana , ricavata nel tufo, come se non fosse vera, fosse un quadro plasmato dall’ intarsio da uno scultore. Tanto diversa dai paesini che conoscevo tutti appollaiati o appiccicati alle colline. Diversa anche la struttura delle case,  non vedevo muri fatti di pietre se non i selciati di alcune strade. Non c’erano alberi con la loro ombra e nemmeno ombre delle case. Il sole picchiava di brutto, muri di tufo sembravano fatti apposta per assorbirlo, non come i muri di pietra che pure lo assorbono, ma poi lo rimandano, lo riflettono. Trovai strane le facciate delle chiese, con rilievi, o incavi di un’arte a me sconosciuta. Case, chiese strade, avevano tutte lo stesso colore chiaro, privo di riflesso. L’unica costruzione che mi sembrò familiare fu il castello, dove, ai piedi di una grossa torre, alcuni ragazzi giocavano a pallone. Mi rimasero in mente la moltitudine di carri da trasporto, i cosiddetti ” train ” parcheggiati ovunque lungo la strada a ridosso della Gravina. Ritornato dopo anni… Trovai una città vera, strade ampie, la circolazione regolata da semafori, il castello inghiottito da palazzi, sprazzi di signorilità qua e là. Ero curioso di vedere i vecchi quartieri, poi battezzati Sassi, visti dal bambino che fui. Erano stati abbandonati, in totale degrado, paradiso per le coppiette di innamorati che, a sera, avevano nei Sassi il loro covo d’amore. Passarono anni, ritornai di nuovo a Matera, divenuta sito Unesco, vidi i Sassi ravvivati, pieni di gente da tutto il mondo. Mi aggiunsi ai turisti, poi mi fermai in solitudine sul lato opposto della Gravina, sulle chiese rupestri e là iniziai a scrivere una poesia su questa città, letteralmente esplosa alla notorietà mondiale.

1) SASSI di MATERA.

Basso nel cielo, sotto la volta azzurra, 
il vento sulla Gravina
soffiava aria tersa, 
dissolvendo lembi di pigre nuvole 
posate sulle aride, gracili rocce di tufo. 
Ed ecco che appariva, misterioso, 
un paesaggio remoto,
tramandato da ere lontane, 
a svelare la vita di quei misteri 
in anfratti affascinanti, vetusti.
Sotto l’azzurro plasmato dal cielo, 
osservavo, mi abbeveravo di conoscenza
alle sbarre dell’orizzonte dei falchi,
da dove, mi giungevano echi 
di preghiera, portati dalla voce del vento,
oltre quel profondo baratro infernale.
Tra rocce, santuari rupestri, passioni
espresse da frati, in altari dai fini colori, 
dove veleggiava l’eco degli antichi riti,
rimbalzante tra i Sassi, nella Gravina,
in un sottofondo di delizie silenziose:
a porgere, commossa meditazione.
Lentamente conducevo i miei passi 
tra i Sassi, tra quelle viuzze, 
tra scale, terrazzi e muraglioni
Mi immergevo in ogni anfratto, 
ciascuno diveniva una scoperta, 
un bagno di cultura, che imprimeva 
allo sguardo il dovere, l’obbligo 
di osservare ancora, quel vivere remoto. 
Allontanandomi, ripassavo quelle visioni.
Ora, nella terra straniera, dove vivo,
lontano da quelle antiche meraviglie, 
passeggiando lungo le rive del Lahn, 
rammento, quei giorni materani, 
che adagiai nel mio animo lucano. 
Preso dal ricordo, non rilevo 
i pulcini di germano reale, 
razzolare tra i miei piedi,
farmi compagnia nel mio vago andare.
Oltre il fiume, mi confonderò con gli altri,
ma, non certo, per dimenticare.

By Domenico Friolo. 2014

 

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