Sistema economico e morti sul lavoro.

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Gli articoli presentati in questa raccolta scritti da Mauro Armando Tita, si snodano in un arco di tempo  relativamente breve e spaziano focalizzando, di volta in volta,  l’attenzione sui temi che che più hanno colpito l’opinione pubblica. Uno di questi  è il tema delle morti sul lavoro. Il numero di morti sul lavoro, al netto di quei lavoratori che restano invalidi, è impressionante. Gli ultimi dati ISTAT sono un vero e proprio bollettino di guerra: mediamente tre lavoratori morti ogni giorno. Significa oltre mille morti l’anno. Le morti sul lavoro, nonostante la presenza di una normativa, forse, anche ridondante continuano ad essere un dramma. L’introduzione di una serie di figure come il Responsabile per la sicurezza all’interno di ogni azienda e pubblica amministrazione, l’introduzione della figura del preposto, dei responsabili aziendali per la sicurezza, del medico di medicina del lavoro,con il compito di monitorare con cadenza periodica lo stato di salute e l’idoneità delle maestranze a svolgere l’attività lavorativa per la quale sono state contrattualizzate, in aggiunta alla formazione obbligatoria,non eliminano un fenomeno che continua ad essere un dramma sociale di enorme portata; ma di cui si parla solo ormai quando è coinvolto più di un lavoratore o il caso in sé desta più scalpore ed interesse mediatico.  Le cause sono da ricercare nella precarietà del lavoro dovuta a contratti a tempo determinato per cui la stessa formazione mirata alla prevenzione sfugge; nelle pensioni basse per cui lavoratori ultra settantenni continuano a lavorare magari in nero; nell’introduzione del subappalto che, con il D.lgs. n. 36 del 2023 Codice degli Appalti voluto dal Ministro Salvini, ha introdotto il subappalto del subappalto. Ritengo a questo punto utile fare un sintetico excursus sulla “evoluzione” della normativa italiana:  il D.Lgs. n. 50/ 2016, il Codice degli Appalti (ormai abrogato dal Governo Meloni) prevedeva inizialmente la possibilità di affidamento in subappalto nella misura del 40% della prestazione prevista. Tale tetto massimo è stato oggetto di richiami da parte delle istituzioni UE; ma la Corte Costituzionale italianaè intervenuta sancendo la costituzionalità della norma e il conseguente rispetto della normativa UE. In seguito il Governo Draghi, con il Decreto Liberalizzazioni, ha portato il tetto del subappalto al 100% escludendo comunque il subappalto del subappalto. Il Codice voluto dal Governo Meloni e dal Ministro Salvini, infine, ha introdotto la possibilità da parte del subappaltatore di affidare a sua volta l’esecuzione del lavoro ad altre imprese in subappalto. Negli anni l’attenzione del legislatore al problema della sicurezza sul lavoro non è mancata, per esempio introducendo con  la L. 7 agosto  1990 n. 241  la figura del RUP, che poi ha subito una serie di evoluzioni attraverso la produzione di ulteriori norme in materia di sicurezza. Anche in merito alla salvaguardia delle clausole sociali non è mancata l’attenzione:  in caso di affidamento di servizi, è prevista per legge  la salvaguardia dei livelli occupazionali e il mantenimento del C.C.N.L. di categoria e gli accordi di secondo livello, però tale vincolo è valido per un solo anno a decorrere dall’affidamento per cui , come è successo in diverse occasioni, la disdetta degli accordi di secondo livello, con la riduzione del salario è stata la conclusione di gare che prevedono l’offerta economicamente più conveniente. Una dei tanti tecnicismi che servono solo a nascondere gare al massimo ribasso con effetti deleteri sui livelli salariali e la sicurezza dei lavoratori. Tornando alla questione sicurezza l’obbligo del D.U.V.R.I. ( Documento Unico di Valutazione del Rischio) redatto dal RSPP della stazione appaltante e l’obbligo di indicare nel Bando di gara il C.C.N.L. da applicare alle maestranze sono anche essi strumenti facilmente eludibili. Come è successo in più di una occasione  la stazione appaltante, in occasione di esternalizzazioni di attività, nei bandi di gara ha indicato non il CCNL applicabile ai lavoratori della ditta precedentemente affidataria ma un CCNL simile con una consistente riduzione del salario. Nel complesso l’impianto normativo  è tale che in teoria i lavoratori non solo risulterebbero tutelati ma anche il rischio stesso dovrebbe essere minimo, insomma i tre morti al giorni in media non ci dovrebbero essere. Invece come si evince dalla cronaca la realtà è fatta di riduzione dei salari,  elusione degli obblighi relativi alla sicurezza, precarietà, sfruttamento e svalutazione del lavoro.  Il punto è che il sistema sociale ed economico  è interessato da  una serie di interventi legislativi che, se da una parte sembrano voler tutelare la parte più debole ossia il lavoratore, dall’altra puntano a trasformare in senso neoliberale il sistema. E’ la filosofia economica che guida le scelte degli ultimi tre decenni a incidere sulla realtà esaltando la libertà di scelta individuale come surrogato delle politiche protezionistiche frutto della filosofia  che ha egemonizzato i trenta gloriosi anni socialdemocratici della seconda metà del 900.  A partire dai dispositivi normativi dell’Unione Europea lo spirito è quello di contemperare gli interessi sociali rappresentati dai lavoratori e più in generale dai cittadini ridotti a semplici consumatori con quelli delle imprese ossia del libero mercato. La regolamentazione che tocca i più disparati aspetti ha la funzione di rendere fluido il mercato eliminando le eventuali esternalità dovute a rendite di posizione di uno dei soggetti interagenti sul mercato.  Il  tema della sicurezza come quello del salario sono, pertanto, da considerarsi come il tassello di un mosaico del quale fanno parte l’emigrazione dei giovani  lucani, in questo caso verso le aree più sviluppate dell’Italia e dell’U.E.; lo sfruttamento delle risorse energetiche presenti sul territorio lucano; la crisi politica che si traduce in bassa  partecipazione al voto e, più in generale, alla politica; la mancanza di ricambio delle classi dirigenti. Comunque compito di questo mio intervento non è quello di esaminare la legislazione in materia di sicurezza sul lavoro, mi sono limitato a riportare sinteticamente l’impianto normativo relativo alla sicurezza  solo perchè funzionale all’economia del ragionamento che mi appresto a sviluppare utilizzando gli articoli di Tita come una sorta di file rouge. Fatta questa precisazione dicevo  siamo in presenza della costruzione di un sistema rispetto al quale le singole criticità evidenziate negli articoli sono  tasselli di un mosaico in costruzione che altro non è che il sistema economico neoliberale, fondato sul mercato. La costruzione di questo sistema per essere compreso va inquadrato nei processi internazionali e nazionali che si sono sviluppati a partire dagli anni 90 del secolo scorso dopo il crollo dell’URSS e la “fine della storia” che , a quanto pare, non è affatto finita. I fatti che hanno determinato l’attuale contesto  sono la crisi petrolifera dei primi anni 70, la fine degli accordi di Bretton Woods, l’ascesa delle destre neoliberali in Gran Bretagna e negli USA , la sconfitta dell’URSS e la conseguente fine della Storia (tanto per citare il titolo del saggio di Francis Fukuiama) che hanno segnato gli anni che vanno dalla fine del secolo scorso fino alla crisi degli hedge found e del debito sovrano. Questo ciclo durato circa un  cinquantennio è iniziato nel 1973 con l’assalto al Palazzo della Moneda e la fine della presidenza Allende in Cile e con la pubblicazione  del rapporto della Commissione Trilatetrale, finanziato dalla Fondazione Rockfeller, rapporto che ha tracciato le linee politiche, economiche e culturali che hanno portato all’attuale trionfo del neoliberalismo e della globalizzazione. La chiave di volta di tale processo è rappresentata dal crollo  dell’URSS e dalla vittoria della Guerra Fredda da parte degli Stati Uniti. In Italia la conseguenza è stata la fine della Repubblica dei Partiti e del compromesso scolpito in Costituzione capace di tenere insieme capitale e lavoro, nord e sud. La globalizzazione e l’affermazione del neoliberalismo hanno imposto il ripensamento dell’intervento pubblico in economia, l’avvio delle privatizzazioni con lo smantellamento delle Partecipate Statali, il ripiegamento da parte del sistema produttivo e quindi delle politiche pubbliche su quei settori e quelle aree già sviluppate, come per esempio l’area tosco – emiliana e lombardo – veneta,  e politiche economiche dell’offerta. Se fino agli 70 del 900  le politiche economiche sono da ascrivere a politiche di sostegno alla domanda attraverso investimenti pubblici e di sostegno ai salari, a partire dagli anni 80 il paradigma economico cambia:  parole d’ordine sono la riduzione della spesa pubblica, il risanamento dei conti pubblici, la lotta all’inflazione. Tale processo trova realizzazione in alcuni provvedimenti come ad esempio la separazione della Banca d’Italia dal Ministero del Tesoro o la privatizzazione con la messa sul mercato degli asset pubblici ossia delle imprese partecipate dallo Stato. A partire da quegli anni viene eliminato l’intervento straordinario nel Mezzogiorno, la CASMEZ  viene progressivamente smantellata fino ad essere soppressa nel 1984. Sono gli anni nei quali si passa da politiche di sostegno alla domanda a politiche dell’offerta ossia degli incentivi e dei “bandi”. Si passa da interventi diretti da parte del pubblico a interventi di stimolo dei fattori presenti sul territorio.  Defiscalizzazioni, fondi riservati a chi investe, formazione continua, liberalizzazione di ampi settori dell’economia e quindi creazione di mercati diventano le regole.  Secondo questa logica la Basilicata come altre regioni,  deve competere con altri sistemi economici al fine di attrarre investimenti per cui le scelte politiche dei governi regionali sono fondamentali al fine di attrarre investimenti. Essendo questo il contesto fenomeni come l’emigrazione dei giovani, e non solo, sono la logica conseguenza del capitalismo neoliberale che assegna al mercato la  distribuzione dei fattori di produzione in funzione dell’incontro tra domanda ed offerta.Se la sola questione economica non è sufficiente ai fini della redistribuzione dei fattori di produzione sul mercato, importanza rilevante assume la visione di società che le agenzie di socializzazione e di produzione culturale contribuiscono a costruire. Il fenomeno sociale dell’emigrazione non è in nessun modo paragonabile a quello del secolo scorso o addirittura dell’800. Allora si emigrava perchè si era alla ricerca della soddisfazione primaria come poteva essere la fame. Oggi l’emigrazione è anche la conseguenza della ricerca di libertà individuale, di autorealizzazione e di voglia di uscire fuori dai confini, ritenuti troppo stretti, di un sistema sociale, economico e politico che non offre chances adeguate o perchè scarse o perché ritenute non sufficienti.  Questo processo finisce con l’essere assecondato da ampie fette di società lucana la quale continua ad essere pervasa dal “familismo amorale” descritto da Banfield: ogni lucano cerca la propria chances di vita non nell’ambito della propria regione ma fuori. Una tale forma mentis è l’altra faccia dell’individualismo proprio del capitalismo neoliberale. Questo modo di ragionare fa si che la società lucana diventi sempre di più conservatrice, arroccata su posizioni di rendita. Lo stesso confronto politico è immiserito  traducendosi in competizioni tra consorterie che puntano ad amministrare ciò che il territorio offre in termini di opportunità. Una società fortemente conservatrice finisce con l’essere priva di prospettive per cui è destinata ad estinguersi.  Da qui tutta la retorica sui giovani che lasciano la Basilicata è semplicemente ipocrita. Il dibattito politico e culturale è una scopiazzatura di temi che appartengono ai sistemi sociali ed economici post moderni, destrutturati, fluidi e deideologizzati; La Basilicata avrebbe invece bisogno di un confronto politico e culturale di tutt’altro segno. La post modernità alla Basilicata fa male, come dicevo in combinato disposto con il “familismo amorale” è la fine del senso civico, della responsabilità verso la comunità di appartenenza. Il richiamo che viene fatto ad alcuni aspetti della identità lucana non riesce ad essere leva di crescita e di sviluppo per il semplice fatto che mancano due componenti fondamentali : la società civile e classi dirigenti degne di tale definizione.

Mio contributo al volume del sociologo e opinionista Mauro Armando Tita,  edito dalla Casa Editrice “ Il Segno” .

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Sull' Autore

Capo Unità Org.Amm. presso Ferrovie Appulo Lucane Ha studiato Giurisprudenza presso Università degli Studi di Roma "La Sapienza" e Sociologia presso l'Università di Salerno

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