Dott.ssa Margherita Marzario
“Nel mondo che vorremmo – annota Michela Murgia –, i bambini e le bambine non si ammalano mai, ma il mondo che vorremmo purtroppo non è quello in cui viviamo, che tra le sue molte ingiustizie annovera anche gli inspiegabili dolori dei piccoli e le sofferenze senza senso apparente degli innocenti a cui la sorte ha riservato una strada più in salita di quella della maggioranza dei loro coetanei. Il disagio della malattia di un bambino – oltre a offendere profondamente il nostro senso di giustizia – è molto più grave di quello che incombe sugli adulti, perché i bambini sono soggetti socialmente deboli per loro stessa condizione anagrafica e l’accudimento di cui hanno bisogno anche quando sono perfettamente sani raddoppia o triplica quando la salute è compromessa, costringendo l’intero cerchio familiare a ricalibrare i suoi ritmi per garantire assistenza costante al piccolo sofferente. La cosa che manca di più in mezzo all’esperienza della fragilità fisica non sono le medicine o gli spazi per curarsi, ma un luogo dove sia possibile vivere senza abbandonare la normalità”. “Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo al godimento dei più alti livelli
raggiungibili di salute fisica e mentale e alla fruizione di cure mediche riabilitative. Gli Stati parti devono sforzarsi di garantire che il fanciullo non sia privato del diritto di beneficiare di tali servizi” (art. 24 par. 1 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). Un’applicazione di questa previsione è la Carta dei diritti del bambino nato prematuro (approvata dal Senato della Repubblica il 21 dicembre 2010) in cui vi sono indicazioni che dovrebbero ispirare una normativa più efficace, organica e univoca in materia di diritto della famiglia e di diritto sanitario, quali “sollievo dal dolore”, “presenza dell’affetto”, “evitando ogni dispersione tra i componenti il nucleo familiare”.
Tutti quegli elementi di cui si ha bisogno anche quando una famiglia è colpita da un problema di salute mentale. “Quando un evento grave come una malattia psichica accade in una famiglia – spiega Fabrizio Fantoni, psicologo e psicoterapeuta –, ci si preoccupa di chi ne è direttamente colpito, spesso dei genitori che se ne fanno carico. Più raramente si tiene conto dei fratelli. Che si portano dietro per molto tempo, talvolta anche in età adulta, l’esperienza traumatica del disagio psichico. Della sua incomprensibilità. Dello sconvolgimento degli ordinari legami e della rabbia profonda e non esprimibile che questo comporta. […] Talvolta un adolescente può provare anche vergogna per la situazione familiare, che teme sia conosciuta dai coetanei. Perché la malattia mentale spaventa, in quanto è difficile da capire nelle sue cause e nelle sue manifestazioni”. “[…] sviluppare la medicina preventiva, l’educazione dei genitori e l’informazione ed i servizi in materia di pianificazione familiare” (art. 24 lettera f Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).
Investire in salute mentale potrebbe avere ripercussioni significative sull’economia globale (è questo il risultato di uno studio pubblicato nel giugno 2016 e condotto in 36 paesi), basti pensare a tutto quello che causa il traffico internazionale di droga.
F. Fantoni aggiunge: “Quando l’angoscia prorompe violenta e in modo inatteso, l’adolescente la manifesta con tutta la potenza del suo corpo e delle sue emozioni. Spesso si tratta di un episodio isolato, che, curato adeguatamente, rientra. Ma talvolta può essere il segnale di esordio di un problema psichico più importante. Di sicuro, una osservazione di questi segnali da pare di un esperto, protratta nel tempo, può dare risposta a questo dubbio”. L’adolescenza è il momento in cui è più a rischio la salute, in particolare quella mentale, per cui è ancor più necessario prevenire, ed è anche il momento in cui si avverte ancor di più la necessità della concertazione degli interventi a tutela della salute del singolo e di tutti, in ottemperanza alle previsioni normative: “[…] prevedere consultori e servizi d’istruzione riguardo al miglioramento della salute ed allo sviluppo del senso di responsabilità individuale in materia di salute” (art. 11 n. 2 Carta sociale europea, riveduta nel 1996).
L’esperto Fantoni che “[…] anche l’amore può fare del male. Che va purificato per essere autentico. Cioè va liberato da quegli elementi nocivi che provocano sofferenza. Ciò vale per l’amore narcisistico della madre”. L’amore è un elemento della salute, come si legge nel paragrafo “Entrare nel futuro” della Carta di Ottawa, ma anche dal modo e dalla misura in cui si ama dipende la salute dell’altro, in particolare nella relazione madre-figlio, relazione che torna preponderante nel periodo adolescenziale del figlio perché è necessario che la madre sappia dare un taglio definitivo al cordone ombelicale.
Relazione madre-figlio che è alla base e la base di tutto. “Una delle componenti moderne nelle relazioni personali è il rapporto tra l’uomo e la parola. Che la parola sia un miracolo, una realtà straordinaria, nessuno ne dubita. La parola è vita e dà la vita. Quando una madre dà vita al figlio, gli fa un dono grandissimo, ma quando gli insegna a dire le prime parole, gli conferisce una seconda vita, importante quanto la prima, e forse ancora più stupefacente. La madre aiuta a far nascere il pensiero nel bambino, a sviluppare la sua intelligenza e creatività, a far emergere in lui i primi segni dell’affettività: amandolo, gli insegna ad amare. La parola fa del bambino una persona capace di comunicare e di relazionarsi con gli altri” (lo studioso gesuita Saverio Corradino). Ogni madre trasmette la vita, ma dovrebbe trasmettere anche il bagaglio minimo per la vita: non solo l’alfabeto di lettere (“competenza alfabetica funzionale”, che prima era indicata come “comunicazione nella madrelingua”, la prima delle 8 competenze chiave europee di cittadinanza) ma anche l’alfabeto di gesti, quello che è necessario per il “ben-essere” tenendo conto del crescente numero di disturbi del linguaggio o di altra natura, come evidenziato dagli esperti, tra cui il pedagogista Daniele Novara. È doveroso, perciò, anche educare a volersi bene, educare alla salute per sé e per gli altri, perché da questo dipende la salvezza di tutti. “Bambini e giovani uomini e donne sono agenti critici del cambiamento e troveranno nei nuovi obiettivi una piattaforma per incanalare le loro infinite potenzialità per l’attivismo verso la creazione di un mondo migliore” (dal n. 51 dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile).
Affinché non si abbia da dire come scriveva il poeta Andrea Zanzotto verso la fine della sua vita: “Devo lasciare un biglietto a mio nipote: la richiesta di perdono per non avergli lasciato un mondo migliore di quello che è”.