
LUCIO TUFANO
Mussolini dopo aver assistito assieme al sovrano, alle grandi manovre dell’ anno XIV, svoltesi in Irpinia e Lucania, ed ispezionato reparti militari, nel pomeriggio del 27 agosto, visita Potenza.
La visita del Duce all’ indomani della conquista dell’ Etiopia e della proclamazione dell’Impero ha essenzialmente il carattere di un grande bilancio, completo, consuntivo e preventivo. Scrive Giovanni Ansaldo: ” L’ospite viene, scende a terra, fa il suo ingresso solenne, passa per vie decorate ed infiorate, tra file di palazzi rimessi al nuovo sotto archi di trionfo e festoni trasparenti; è acclamato da moltitudini aspettanti che si esaltano con lui”;.
Difatti via Pretoria è agghindata a festa. Egli la attraversa a piedi sorridendo e soffermandosi su ogni vicolo per salutare la folla che lo applaude, come un compassato re che con le mani serrate sui fianchi a larghi ed imperiosi passi si accinge a misurare le diagonali della strada procedendo quasi a zig zag, ma in maniera piuttosto spedita, convinto della necessità ed importanza di espletare quel compito; così Mussolini balzato in via Pretoria, inizia la sua marcia di perlustrazione, con gli occhi spalancati e scrutatori e il volto immobile: una solenne ed espressiva maschera di legno e cartapesta. Al balcone del palazzo di governo di piazza della Prefettura pronuncia il seguente discorso:
“La Lucania ha un primato che la mette alla testa di tutte le regioni italiane: il primato della fecondità, la quale é la giustificazione demografica e quindi storica dell’Impero. I popoli dalle culle vuote non possono conquistare un Impero e, se lo hanno, verrà il tempo in cui sarà per essi estremamente difficile – forse – conservarlo o difenderlo, Hanno diritto all’Impero
i popoli fecondi, quelli che hanno l’orgoglio e la volontà di propagare la loro razza sulla faccia della terra, i popoli virili nel senso più strettamente letterale della parola. Mi auguro che questo mio discorso formi oggetto di serie meditazioni in alcune province d’Italia.
La conquista dell’Impero é destinata non già a ritardare quello che deve essere lo sviluppo politico, economico, spirituale dell’ Italia Meridionale, ma ad accrescerlo.
I problemi che interessano la vostra terra e la vostra gente sono già conosciuti. Si é sin troppo scritto e poco operato, Senza credere a miracolismi impossibili e che ripugnano profondamente alla nostra dottrina e al nostro temperamento, io vi dico, vi prometto – il che é più importante – che la Lucania, sotto l’impulso e il dinamismo della Rivoluzione delle Camicie Nere, brucerà le tappe per raggiungere più presto la meta. Molto si é fatto durante questi 15 anni, ma la realtà vuole che si aggiunga che moltissimo resta ancora da fare e sarà fatto”.
Fa riscontro al discorso roboante, la distratta acquiescenza di un popolo assillato da problemi più immediati di sopravvivenza. Dopo aver ricordato gli eroismi delle fanterie lucane durante la Grande guerra, il Duce ha concluso esprimendo la certezza che in terra di Lucania si troveranno legionari pronti a qualsiasi sacrificio per difendere dovunque e contro chiunque l’Italia e l’Impero. Il discorso del Duce è interrotto ad ogni frase dall’entusiasmo riconoscente del popolo lucano. Da ultimo il clamore e le acclamazioni raggiungono una atonalità posseduta: la gran voce della moltitudine riempie la piazza interminabilmente. Le donne alzano fra le braccia i bimbi; ed è davvero una folla di bambini sopra la moltitudine. Più e più volte il Duce riappare al balcone e sempre più vivi e immediate si alzano ovazioni enormi. Poi lentamente il popolo lascia la piazza e si disperde per la città, che accende a festa tutte le sue luci.
La via dell’Impero
“E’ un destino che si compie e che si perfeziona. Dall’istinto dei barbari e dal sogno degli eletti di tutti i tempi, alle ambizioni di imperatori, di re, di condottieri. Dai segreti divini che vi condussero Pietro e Paolo, ai sacrifici della migliore giovinezza che seguì il Duce nella marcia, avvenimento storico di portata mondiale. Dal volontarismo delle camicie rosse a quello della Camicie nere. Da Carducci, che fece di Roma; nel suo massiccio genio romanamente italico, un audace strumento di battaglia ideale per la rinascita della Patria a Benito Mussolini che strappa Roma dalla freddezza della archeologia, dal commercialismo delle guide, dallo snobismo degli stranieri, dall’immobilità della tradizione piccolo borghese e la sublima ai fastigi dell’ideale e della potenza, capitale dell’Italia fascista, orgoglio e meta della fede degli italiani, urbe del mondo, il quale deve venire a vedere, non una antichità ammuffita, ma una verginale potenza in azione. Questo significa la via dell’Impero, nella quale risuonarono augurali nel Decennale i passi della Legione dei Mutilati, in cadenza fatidica e ammonitrice con quelli lontani dei Legionari che portarono Aquile al di là di tutti i confini”.
(da “Via dell’Impero” – La Rivista illustrata del popolo d’Italia n. 9 sett. 1933)
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