
Leonardo Pisani
Antica è la devozione degli aviglianesi per San Vito Martire, detto anche San Vito di Lucania. Date storiche certe non esistono, tranne che San Vito fu eletto Patrono di Avigliano nel 1795, prendendo il posto di San Leonardo di Noblac, festeggiato il 6 novembre, e che la chiesa a lui dedicata, extra moenia, cioè fuori le mura della cittadina, è databile attorno al XVI secolo e presenta un capolavoro d’arte, del quale scriveremo più approfonditamente dopo e alcune tele interessanti di Girolamo Bresciano “Madonna di Monserrato e i Santi Giuseppe, Lorenzo e Giacomo Maggiore” del 1640 e dell’eclettico artista di Bella, Gian Lorenzo Cardone, che fu poeta, rivoluzionario giacobino del 1799 a Napoli con la tela Madonna con Bambino e i Santi Apollonia, Francesco, Silvestro e Antonio (1771).e e le statue allo scultore melfese Alessandro Troisi (o Troisio), rappresentanti i Santi Vito, Modesto e Crescenza. Poi un quadro che colpisce per la grandezza e il cromatismo: Si tratta dell’immensa tela “La vergine con il bambino ed i santi Vito, Modesto e Crescenza”, fino a qualche anno fa considerato pregevole ma di autore ignoto dal Gallicchio e Remigio Claps negli anni 60, poi declassato a tela di scarso valore artistico, ma rivalutato dala storica dell’arte lo ha attributo ad maestro del cromatismo fiammingo, definito o il “Genio di Palermo”, dato che la città del Sole lo aveva accolto nel 1715 quando lasciò la nativa Anversa. Parliamo di Guglielmo Borremans, il quale trascorse tutta la sua vita tra il regno di Sicilia e il Regno di Napoli, lasciando tracce della sua arte e del suo virtuosismo nell’utilizzo dei colori. Di lui si conosce la città di nascita, Anversa intorno al 1670, quando la città faceva parte della Repubblica delle Sette Province Unite.

La Gloria di san Vito, attribuita a Guglielmo Borremans
Dell’attività artistica nelle Fiandre si conosce poco Michele Cordaro nella Treccani sostiene che «fu ammesso, durante l’esercizio del 1688-89, nella gilda di S. Luca come allievo di Peter van Lindt; notizie della sua presenza vi si trovano, come risulta dagli archivi dell’Accademia di Belle Arti di Anversa, fino al 1693». Le notizie dell’Accademia di San Luca lo documentano quale collaboratore dello stesso maestro a Roma per la realizzazione degli affreschi della Cappella Cybo-Soderini della basilica di Santa Maria del Popolo. Poi l’attività del fiammingo riprende nel Regno di Napoli, in Calabria, dove sono presenti tele firmate e datate dal 1704 al 1706. Poi nella capitale del Regno, a Napoli. Dove fu chiamato per sostituire Giuseppe Simonelli, morto poco dopo aver ricevuto l’incarico di dipingere la crociera della chiesa di Santa Caterina a Formiello. Nell’antica Partenope il giovane fiammingo risentì dell’influenza di Luca Giordano e di Luigi Garzi e Paolo de Matteis. Poi il trasferimento a Palermo, all’epoca facente parte del Regno di Savoia di Vittorio Amedeo detto la Volpe. IL Borremans vide la Sicilia del 700, passare dai Borbone di Spagna, ai Savoia, agli Asburgo di Austria e di nuovo ai Borbone di Spagna con Carlo III. L’artista lavorò con tutti i regnanti, richiesto per la sua abilità anche di affreschista. Del resto la sua formazione fiamminga, abbinata allo studio dei grandi artisti di Napoli e la sua fantasia cromatica, lo resero subito un pittore richiestissimo in tutto il mezzogiorno italiano “S’ignora quali altre opere il Borremans abbia eseguito a Napoli – scrive Michele Cordaro ma sicuramente saranno state numerose, come dimostra la notorietà da lui acquistata e documentata da un enfatico madrigale che, dedicatogli da Giuseppe D’Alessandro e compreso nella sua Selva poetica, fu stampato a Napoli nel 1713. Vi si allude a un’attività di ritrattista che, però, è totalmente perduta o dispersa: ce ne è pervenuto un unico esempio nel ritratto di Raffaele

I santi Modesto, Vito e Crescenza ( Sculture del Trosi)
Riccobene (dipinto a mezza figura in basso a destra della tela Immacolata con angeli e santi sull’altare maggiore del duomo), il finanziatore della decorazione del duomo di Caltanissetta, compiuta dall’artista molto più tardi, intorno al 1719». Da ricordare i ritratti di Viceré, su tela, opere commissionate da Carlo III di Borbone per la Galleria dei Viceré del Palazzo dei Normanni. Il Borreman si è spento a Palermo il 17 aprile 1744. L’attività di Borremans è presente soprattutto in Sicilia, dove visse e mise su famiglia, Fra i suoi capolavori, si possono menzionare gli affreschi nella chiesa di Santa Maria La Nova a Caltanissetta, quelli della chiesa di San Vincenzo Ferreri a Nicosia e nella chiesa dell’Assunta di San Giuseppe dei Teatini a Palermo. Nell’Oratorio del SS. Rosario in S. Domenico di Borremans è la Visita di Maria a S. Elisabetta e gli Angeli attorno alla coronazione della Vergine sulla volta. Ma la sua attività vi è stata anche in Basilicata, una serie di dipinti attributi al pittore fiammingo grazie agli studi e le ricerche della storica dell’arte e docente dell’Università di Basilicata Elisa Acanfora. Ben cinque conservate nella chiesa conventuale del Santissimo Crocifisso di Forenza, una delle sorprese ”storiche” e ”artistiche” più interessanti del Barocco lucano. La professoressa Acanfora ha attributo al Borremans anche più il quadro presente ad Avigliano. L’occasione è anche di invitare il sindaco di Avigliano Giuseppe Mecca e l’assessora alla Cultura Angela Salvatore e l’attiivissima associazione Asp San Vito Martire di valorizzare, questo patrimonio artistico presente ad Avigliano, che assieme poi agli affreschi del Todisco, di Santa Lucia e ai dipinti del Ceppaluni, del Cenatiempo, del Ferro e Di San Vito, l’agiografia ci dice ben e l’ unica certezza è che morì nell’antica Lucania. Il suo culto era diffusissimo nel medioevo. L’agiografia d tramanda che fosse figlio di una famiglia benestante, si convertì da subito al cristianesimo e fece miracolose guarigioni. Fu “tradito” da suo padre che lo denunciò per convincerlo ad abiurare. Risultati vani tutti i tentativi di corromperlo, in un sogno gli apparve un Angelo che consigliò al giovane di lasciare la sua casa per scampare dal pericolo di una persecuzione. Con una piccola imbarcazione lasciò l’isola assieme al precettore Modesto e alla nutrice Crescenzia che si perse nel Mediterraneo, rimanendo senza viveri per giorni. Miracolosamente un’aquila gli portò porta acqua e cibo per sfamarli, finché sbarcarono alla foce del Sele nel Cilento, inoltrandosi poi in Lucania, dove operarono molte guarigioni. Qui poco dopo fu nuovamente rintracciato dai centurioni e condotto a Roma da Diocleziano che lo implorò di salvare suo figlio malato di epilessia.

La nave dei Turchi ad Avigliano
Vito guarì il ragazzo e come ricompensa Diocleziano ordinò di torturarlo, perché si rifiutò di sacrificare agli dei. La sua “passio” procede per sommi capi come quella dei suoi “colleghi” martiri, fu dapprima immerso in un calderone di pece bollente che non gli recò danni e quindi gettato in un’arena tra belve che invece di assalirlo si avvicinano docilmente e gli leccarono i piedi. Furono infine torturati nella carne, ma vennero liberati da degli angeli che li riportarono presso il fiume Sele, dove morirono per le sofferenze il 15 giugno 303. Nel 1995, in occasione del bicentenario della proclamazione a Santo Patrono di Avigliano, fu ripristinata la tradizionale “sfilata dei Turchi”.

San Vito, statua nella Chiesa Madre di Avigliano attribuita a Francesco Paolo Antolini
Qualcuno si chiederà dei “Turchi” ad Avigliano, credendo che sia un’iniziativa recente. In realtà affonda le radici nella antica tradizione degli artigiani , ma era caduta in disuso dagli anni 60. Ripresa dal 1995, anno del bicentenario della proclamazione del Santo a Patrono di Avigliano. dal comitato promotore dopo la lettura di una novella “Fanatica vendetta barbara” dal libro “ A piè del Carmine” scritto nel 1903 dal magistrato Tommaso Claps, dove si descrive la manifestazione con giovani vestiti all’orientale (i turchi), che incedevano a piedi o a cavallo, rischiarati con lumi e torce a vento, e impugnando le sciabole. Seguiva poi la nave, forse per ricordare antiche vittorie sui saraceni incursori. Dinanzi alla nave viaggiava il “Gran turco” con una grossa pipa, circondato da uomini armati di fucili, che univano le loro grida a quelle delle persone che trasportavano la nave sulle spalle. In più vi erano anche i quadri plastici dell’epoca , autentici quadri viventi con scene mitologiche, della letteratura o di vita di Santi, interpretati da giovani su i carri , che opportunamente fermati , ove vi era una superficie piana, diventavano autentici piccoli teatri, con i figuranti che si trasformavano in autentiche statue viventi.