CARLO SELITTO E LA SUA ANIMA LUCANA

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Di origini montemurresi, fu il primo caravaggesco napoletano

di Vito Telesca*

Ci sono lucani che non perdono il vizio di restare tali. Anche staccandosi inizialmentedalla terra d’origine, una strana forza li riconduce “a casa”. Come il richiamo dolce diuna melodia, che accattiva e attrae. Come una calamita, quell’anima che inavvertitamente si era distaccatadal corpo materno, viene riassorbita. È capitato alla mia anima, che attraverso la storia e le vicissitudini della famiglia di mio nonno paterno ha dovuto interrompere (momentaneamente) il legame con la Lucania; ma è capitato a tantissimi altri personaggi lucani, molto più illustri e famosi del sottoscritto.

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Ci sarebbero tante storie da raccontare. Tra le tante cito un celebre conterraneo vissuto a cavallo tra XVI e XVII secolo, ovvero Carlo Infantino, alias “Carolus Selictus” (me fecit). Pittore che non ha bisogno di presentazioni, vista la qualità delle sue opere e la sua fama riconosciuta anche fuori dai confini lucani (e campani). La sua “anima lucana” si distaccò da queste lande per opera del padre, indoratore e pittore anch’egli, Sebastiano, nativo di Montemurro, trasferitosi a Napoli non solo per opportunità, ma soprattutto per scelta. Napoli era la capitale del Regno ed in quel periodo, e siamo subito dopo la Battaglia di Lepanto, si ritagliò uno spazio particolare non solo in ambito politico ma anche e soprattutto artistico. Venezia perse il monopolio di capitale artistica e si vide affiancare da Roma e Napoli nella “pole” delle arti figurative.

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Il Sellitto padre a Napoli conobbe la graziosa Lucente de Senna (a dire il vero “de Sena”, che tradisce la provenienza toscana dei suoi avi) e circondato da un clima di grandissima effervescenza culturale e artistica coltivò la sua attività, sia come supporto ad altri artisti, sia come sub-appaltatore per il completamento di opere che la committenza napoletana richiedeva con sempre maggiore fretta e intensità.

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Il denaro alto-borghese a Napoli non mancava di certo e la corsa all’ostentar ricchezza era uno sport nazionale, anche dopo la controriforma. Le arti figurative rappresentavano il miglior biglietto da visita. La firma sulle opere rappresentava un “marchio” di qualità e di autenticità. Già dal 1591 Sebastiano Sellitto era membro dell’accademia di San Luca di Napoli insieme a Girolamo Imparato, che contestualmente era anche “maestro” del figlio secondogenito. Le botteghe napoletane iniziavano a crescere sia numericamente che qualitativamente e di manodopera specializzata se ne faceva incetta.

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Il 10 luglio 1580 nacque Carlo, secondo di sei figli nati dall’unione tra il lucano Sebastiano e la quasi napoletana Lucente. Il giovane, che nei primi anni affiancò l’attività paterna, da subito mostrò capacità artistiche notevoli. Insomma, prometteva bene. Le sortite dei Sellitto a Montemurro, dai parenti paterni, non erano rare (anche se proibitive per l’epoca) e Carlo apprezzava i panorami, i paesaggi e, ben presto, anche l’umanità dei suoi conterranei, lontani ben 160 chilometri dalle viuzze napoletane.Anche  qui Carlo mostrò la sua spiccata vena artistica, approfittando probabilmente dei lunghi soggiorni estivi lontano dal caldo partenopeo. I primi veri passi da artista vennero però compiuti, come anticipato, sotto l’ala protettrice della bottega di Girolamo Imparato, la cui attività di pittore a Napoli è documentata sin dal 1573. Lo stesso Imparato nella prima metà degli anni sessanta era .a stretto contatto con altri artisti del calibro di Giovan Bernardo Lama e Silvestro Buono, “seguace” di Raffaello il primo e di Donzelli il secondo.

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Una “scuola” di primissimo livello quindi. Che Carlo Sellitto fosse allievo di Imparato è testimoniato sia dallo stile pittorico iniziale sia dalla presenza di due polizze “di banco”datate 1595, che attestano indiscutibilmente una frequentazione nella bottega dell’Imparato al quale il suo maestro“girava”, secondo la consuetudine dell’epoca verso gli allievi subordinati, pagamenti per “un quatro de una Madonna” richiesto dal vescovo di Ariano Alfonso de Herrera.E stiamo parlando di un Carlo appena quindicenne! La frequentazione non sporadica e casuale di Carlo nella “sua” Lucania è testimoniata anche dalla compresenza nella parrocchiale di Lauria di una cona di matrice imparatesca e, solo di qualche anno successiva, di una pala raffigurante la Madonna degli Angelidipinta daSellitto e ritenuta una delle primissime opere sellittiane, contenente elementi riconducibili al suo “maestro” di bottega. Tra le similitudini si rileva la rappresentazione dei cherubini e dello stesso paesaggio che si avvicinano a quelli dipinti dall’Imparato nella tela dell’Assunta in Santa Maria la Nova a Napoli, proprio a due passi da casa Sellitto.

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Gli stessi Cherubini poi compaiono, tra l’altro, nella tela della Madonna del Suffragio di Aliano dipinta daCarlo sotto la committenza della famiglia Vaccaro. A Lauria, quindi, Imparato e Sellitto si incontrano. Strane coincidenze. Sarà stato lo stesso Sellitto a condurre la cona a Lauria? Chissà.. L’attività artistica del ventenne Sellitto, agli inizi del 1600, era ormai apprezzata da molti, forte anche di una collaborazione nelle botteghe di altri “pezzi da novanta” dell’arte pittorica partenopea, ovvero del carrarese Giovanni Antonio Ardito e del fiammingo Loise Croys, che amò Carlo come un figlio. A venticinque anni Carlo aveva ormai aperto una sua attività autonoma, indipendente sia dal padre che dai suoi maestri e prese casa in via Donnalbina nel mentre frequentava Claudia Croys, figlia del suo maestro fiammingo, non si sa quanto per utilità e quanto per amore. Infatti il loro rapporto non mostrò i segni dell’indissolubilità. Carlo era distratto da altro e non solo dall’amore verso la pittura che sperimentava, ricercava, annusava e che non amava chiudere su concetti già dibattuti e certi. In una delle sue sortite nella terra paterna, a Montemurro, non sappiamo se per lavoro o per altro, Carlo si invaghì di una donna del suo paese d’origine. Il richiamo della sua anima era forte e il cuor lo seguiva. La donna, poco più grande di lui, si chiamava Porzia Perrone.Sellitto a Montemurro aveva già una fama importante ma non sufficiente e battere il muro che  separava i due amanti. Infatti la donna era sposata, non senza problemi e attriti, con Mario Pianese. La frequentazione tra i due divenne assidua quando la donna decise di separarsi dal marito, una mossa audace e coraggiosa per una donna dell’epoca, specie del mezzogiorno d’Italia. Saputo della separazione Carlo lasciò la sua promessa Claudia Croys che era in procinto di sposare, soprattutto perché pressato dal padre che non si capacitava del ritardo col quale Carlo affrontava l’argomento matrimonio, escogitando viaggi continui (che coincidenza.. proprio in Lucania) e rimandando l’evento con frequenza. Inutile dire che l’attività di Carlo era strettamente legata con quella di Loise Croys, poiché lo stesso pittore fiammingo divenne lo sponsor principale di Sellitto presso gli ambienti del Regno. La scelta di Carlo fu quindi dettata dall’amore puro e incondizionato verso Porzia, ad ogni costo. Anche a costo di ferire il suo maestro. Fu così che, nel 1609, spinto da questa novità e dalla scelta audace di Porzia, concordò con la stessa di andare a convivere ovviamente lontano da Montemurro per paura di ripercussioni dovute al nuovo status di concubinato. La grande Napoli avrebbe dato più libertà ad entrambi e soprattutto una vita senza pregiudizi e maldicenze. Inoltre la capitale del viceregno garantiva tanto lavoro per Carlo che, nonostante lo strappo con la famiglia Croys, continuò ad esercitare con successo la sua professione, libero nel cuore, nella mente (e nel portamonete).Infatti da quel momento partì una nuova fase artistica del Sellitto, più spinto verso la conversione caravaggesca e forte della seconda presenza a Napoli dello stesso Merisi (1609-1610). Si amarono tanto Porzia e Carlo. Il loro amore venne coronato con il matrimonio, subito dopo la morte dell’ex marito, il 30 marzo 1613. Un amore che però non ebbe modo di protrarsi per lungo tempo perché, strano destino, Sellitto morì un anno dopo, nell’ottobre del 1614, non prima di lasciare una cospicua eredità alla moglie Porzia e una somma di denaro (forse un risarcimento morale?) per la sua vecchia fidanzata Claudia Croys. L’anima di Sellitto, la sua passione e la sua firma restano dipinte nella sua terra d’origine, dove le sue opere sono ancora oggi una testimonianza della sua abilità e amore verso questa terra e verso il suo spirito di uomo e artista libero. ( in copertina Santa Cecilia all’organo)

*Vito Telesca – ManifestoCultura @vitelesca
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