L’ ELOGIO DEI CUSCI DI BEATRICE VIGGIANI

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by LEONARDO PISANI

Leonardo Pisani

Durante il viaggio da Avigliano verso Napoli , direzione Posillipo, riflettevo discutevo con Edoardo Angrisani su come  impostare l’intervista a Beatrice Viggiani, la poetessa e donna di cultura della quale avevo tanto sentito parlare e letto. Dovevamo presentare la ripubblicazione ad opera di Universum Academy Basilicata dopo 53 anni del libro 53; un volume di poesie amato e pubblicizzato da Leonardo Sinisgalli ormai introvabile scritto da Vito Riviello e Beatrice Viggiani.  Ammetto che ero un po’ in difficoltà su cosa chiederle, non tanto per le domande perché un minimo di mestiere e di esperienza ormai credo di averla, ma come approcciare  il personaggio alquanto poliedrico, oltre ad  aver frequentato e vissuto ambienti culturali disparati e di notevole suggestione per chi come me ha solo potuto informarsi e leggere  mentre Beatrice ne è stata protagonista. La Viggiani, nipote di Giustino Fortunato, amica di Vito Riviello, Leonardo Sinisgalli e Rocco Scotellaro; la Beatrice che ha conosciuto Sartre, Picasso; l’amica di Umberto Eco e Gabriel Garcia Marquez; la poetessa in castigliano che in Venezuela ha avuto nel suo insegnamento  da volontaria nelle carceri un allievo arrestato per un golpe; quel giovane ufficiale era Hugo Chavez futuro presidente del Venezuela, con il quale mantenne un rapporto di profonda amicizia. Insomma, molti argomenti ed interessanti; non facile e potevo correre il pericolo di essere banale dato che Beatrice Viggiani – lucidissima- era una donna dalla personalità vulcanica e piena di verve. Sotto il sole di Posillipo, con un vento che da una parte ci rinfrescava ma forte nel suo spirare creava problemi; arriva improvvisamente un fulmine verbale, un colpo di scena, una sorpresa la quale mi ha non solo  colpito ma anche emozionato. Mi ha inorgoglito da aviglianese  ma anche fatto pensare e riflettere molto. Ed ho pensato a “I Cusci”… Quel termine usato con disprezzo a Potenza per definire i contadini aviglianesi delle campagne potentine , poi tutti gli aviglianesi a sfottò ed ora usato come sinonimo di maniere grezze, incolte, inurbane insomma il tamarro o le tammarate per dirla in slang.

L’amica di Sinisgalli, Eco e Garcia Marquez all’improvviso mi dice “Io ho imparato tanto dai contadini di Montocchio non dagli intellettuali di Potenza; la mia Università sono stati gli aviglianesi”. Si, proprio i coloni del padre Don Gioacchino; aggiunge Beatrici :“Non mi hanno insegnato a leggere, ma mi hanno insegnato a vivere; io ho iniziato a scrivere per loro”.  Si proprio dai Cusci – mitizzati da quel favoloso libro di Vito Fiorellini L’ultimo dei Cusci- quei contadini che Manlio Rossi Doria definì i più grandi colonizzatori che abbia mai  conosciuto; uomini e donne, pastori,braccianti,artigiani che nel corso dei secoli partendo da una Avigliano troppo popolata e con un  territorio troppo piccolo  hanno ripopolato il feudo disabitato di Lagopesole portati lì da quei grandi feudatari imprenditori che furono i Doria Pamphili; che hanno ripopolato le campagne dell’aviglianese e non solo: Potenza, Ruoti, Bella, Pietragalla, Forenza, Ripacandida, Atella, Rionero in Vulture, Barile, San Fele, Vaglio Basilicata, Tito, Pignola, Picerno, Baragiano e anche Scanzano e la costa Jonica, senza dimenticare Filiano,già frazione di Avigliano, o Sant’Ilario di Atella o San Cataldo di Bella. Insomma i cusci avigilanesi popolarono zone disabitate o quasi e con il sudore, la testardagine, l’abilità  dissodarono terreni incolti così lontani dalla “Terra” – così è chiamata l’ancestrale Avigliano e non la Capitale, che è un uso folkloristico – ma mantenendo usi e costumi e spesso dialetto, quella “nazione Aviglianese” che poi trova poi la sua  sintesi e la  sua unione  sul “Monte Carmine”, con la festa  “r La Marronna” ed i suoi “cinti”.  I Cusci sono stati l’Università della colta Beatrice Viggiani, che aggiungere? Per me una lezione di vita da parte di una intellettuale raffinata ed allo stesso tempo umile;una qualità difficile ad avere  e lo scrivo con autocritica.

 Sul resto che dire? Nulla , per non cadere nella cattiva retorica lasciamo alla parola alla compianta edd indimenticabile poetessa Viggiani con una lirica del libro 53 scritto assieme a Vito Riviello.

Lontana come san Cataldo

dalla storia

oggi è solo la luna

che schiara le notti all’altopiano

e non porta fortuna.

Noi siamo aviglianesi senza patria

alle sorgenti che odorano di zolfo

un santo ci protegge la miseria

per la festa di agosto,

Ogni tanto arriva un forestiero

a spiegarci che il tempo è cambiato,

ma un giorno il principe muore

e il feudo viene espropriato.

Ci fanno due lunghe strade

per paesi che non conosciamo

ma poi con l’asfalto

ci legano al ventre della madre

Avigliano.

Questa è una strada

che le gambe fanno col cuore,

ci andiamo a comprare la vita

due volte l’anno,

è amore.

Forse dovremmo fuggire

lepri dietro a una stella

per queste strade nere

dove alle svolte incrociano

gli asini

le chiacchiere delle fattucchiere.

Forse non moriremo

se siamo vivi dopo mille anni

gli embrici hanno sostituito il fango

sui tetti dei capanni. (Beatrice Viggiani)

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