Saltano in aria centinaia di militanti della sinistra: Salvini ha chiamato Cesare Battisti «terrorista comunista». Ed è tutto un fiorire di presa di distanze, per difendere «il grande e democratico Partito comunista italiano». Siamo sempre punto e a capo. La sinistra “deve ripartire” ogni volta, perché è ferma da trent’anni.
Alle assemblee delle sinistre si incontrano sempre personaggi curiosi. Tra questi, ce n’è uno che non manca mai. In genere è un signore o una signora anziana, ben vestita, con una luce che brilla negli occhi. Quando prende il microfono, nella sala si diffonde un messaggio d’amore. Un messaggio d’amore verso un morto: «un partito grande e forte, com’era il PCI di una volta».
Nel giro di mezz’ora – se c’è – si palesa un altro personaggio. Somiglia molto al primo, anche se il tono del discorso è diverso. Un po’ tutto è diverso: sembra meglio conservato, e il più delle volte parla con una tranquillità maggiore. E mentre con mille parole dissemina precisazioni sugli interventi precedenti, a metà discorso lancia la sua frecciatina. «Per chi come me viene da una tradizione diversa, dalla tradizione socialista, e siamo tanti…».
I reduci del PCI e del PSI sono una piaga dalla quale forse non guariremo mai. Le sinistre italiane sono incapaci di accorgersi che siamo nell’anno del Signore 2019, e non 1989. E addirittura esistono molti giovani che, costretti dai correntismi, si sentono costretti a etichettarsi pro-PCI o pro-PSI durante la loro militanza.
Ma l’aspetto più assurdo di questa diatriba cabarettistica è la sua povertà intellettuale. L’evocazione dei fantasmi dei Partiti passati spesso manca del tutto di riferimenti filosofici. Quanti dei signori che hanno nostalgia del PCI e del PSI credono nella costruzione di una sinistra marxista, o di un campo liberalsocialista? Quanti di costoro vogliono la falce e martello, o il garofano, nel nuovo (ennesimo) simbolo del soggetto in cui militano?
Il dibattito ideologico a sinistra è stato messo in stand-by dal 1992. Questo povero nostro Paese pagherà per sempre la maledetta congiunzione astrale tra la caduta dell’URSS e Mani pulite. Il Partito comunista aveva capito di dover cambiare sostanza: «Allora avevamo una sola scelta» ebbe a dire Massimo D’Alema, «diventare noi il partito socialista in Italia». La figura di Craxi era stata troppo ingombrante per realizzare l’unità socialista e superare la divisione tra PCI, PSI e PSDI.
Alcune pattuglie di questi partiti continuano tutt’oggi a qualificarsi in questo modo. Pensiamo alla miriade di partiti neo-comunisti (PRC, PC, PCI, PCL…) e ai vari partiti neo-socialisti (tra cui il PSI di Nencini). Ma questi partiti rivendicano una continuità storica e ideologica con i due grandi Partiti della sinistra italiana. Il marxismo continua a essere la stella polare dei neo-comunisti. La ricerca di un’alternativa al marxismo, quella dei neo-socialisti. (Che non a caso hanno un sapore quasi post-craxiano).
Che senso ha, invece, continuare a rivendicare l’appartenenza al «grande PCI» o all’«altro PSI», negli altri soggetti? Forse qualcuno potrebbe obiettare che i vertici non guardano mai alle vicende politiche da questa prospettiva. Il che è vero: sono sparuti ex-militanti di base che continuano a usare queste categorie. Ma la loro presenza è l’indizio di un peccato mortale delle sinistre di oggi.
Cioè la mancanza di ogni dibattito sulla filosofia del partito. Non a caso la scaletta PDS-DS-PD non mostra alcuna riflessione nella scelta dei nomi. I partiti sono derubricati a comitatoni elettorali, a leghe di militanti. Non sono più centri di elaborazione politica e culturale. Le sinistre non hanno mai più fatto il conto con chi sono e con cos’è il mondo di oggi. Ai vecchi militanti resta la forma mentis di una volta, perché null’altro hanno ricevuto nel frattempo. Ma questo post-comunismo omeopatico, iperdiluito in partitini confusi, non basta a nessuno. Né ai vecchi né ai giovani (privi di un’idea in cui credere: gravissimo, per le sinistre e i loro ideali di giustizia sociale!). E altrettanto vale per le riserve indiane post-socialiste.
Eppure la nostra epoca offre migliaia di spunti che la sinistra dovrebbe analizzare. Dal più tecnico e filosofico (come i rapporti tra Marx e Keynes, determinanti per scegliere che tipo di centrosinistra dare al XXI secolo) al più concreto e politico (quale vocabolario utilizzare, prendendo atto che termini come proletario e padrone non bastano più a far presa sull’immaginario collettivo).
La sinistra di oggi non ha una spina dorsale. Non ce l’ha perché non ha un DNA politico. Ammalata di nostalgia e malinconia, contaminata da tutte le contraddizioni del Sessantotto (non a caso mai risolte…), è del tutto inadatta al Terzo millennio. Assiste a ogni nuovo contributo di dottrina politica con lo stupore di un bambino (quasi fosse una rivelazione divina). E si lancia ossessivamente da un leader all’altro come un adolescente alla ricerca di quella giusta.
Partiti di sinistra, ve lo chiede un vostro elettore, per cortesia crescete. Maturate. Prendete atto che non potete continuare a eludere la questione ideologica. Non siete partiti neo-comunisti o neo-socialisti, e apprezziamo tutti che avete capito che PSI e PCI non esistono più. Ma elaborate il lutto. Non potete restare post-comunisti (e post-socialisti) per sempre. Datevi un pensiero, un’agenda e un vocabolario. Altrimenti verrete spazzati via. Anzi, a guardare le parabole elettorali, direi che siamo già a buon punto.