LA FELICITA’ CON I BAMBINI

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Dott.ssa Margherita Marzario

Sin dal 2012 l’ONU pubblica un Rapporto annuale sulla felicità nel mondo e ha istituito la Giornata internazionale della felicità il 20 marzo di ogni anno “consapevole di come la ricerca della felicità sia uno scopo fondamentale dell’umanità, […] riconoscendo inoltre la necessità di un approccio più inclusivo, equo ed equilibrato alla crescita economica che promuova lo sviluppo sostenibile, l’eradicazione della povertà, la felicità e il benessere di tutte le persone” (Assemblea generale delle Nazioni Unite, Risoluzione A/RES/66/281). “L’idea di felicità ci fa pensare sempre alla nostra felicità personale, raramente a quella del genere umano, e anzi siamo indotti sovente a preoccuparci pochissimo della felicità degli altri per perseguire la nostra […]. Raramente pensiamo alla felicità quando votiamo o mandiamo un figlio a scuola, ma solo quando comperiamo cose inutili, e pensiamo in tal modo di aver soddisfatto il nostro diritto al perseguimento della felicità” (Umberto Eco in “Il diritto alla felicità”). Il diritto alla  felicità comincia dall’infanzia, è l’infanzia stessa, come espresso sin dalla Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 1959. Lo psichiatra ungherese Sandor Ferenczi scriveva nel 1932: “Se ai bambini che attraversano la fase della tenerezza si impone più amore o amore di altra specie di quello che essi desiderano, ciò può avere conseguenze altrettanto patogene della frustrazione amorosa”. I bambini non devono essere né asfissiati né adorati né abbandonati a se stessi. Hanno bisogno di amore equilibrato e di equilibrio nell’amore. Non a caso nel Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si legge che “il fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione”, ove l’amore è collocato tra felicità e comprensione. Quell’amore annoverato nei vari decaloghi dei diritti o dei bisogni o dei desideri dei bambini, come formulati dagli esperti, tra cui il formatore montessoriano tedesco Claus Dieter Kaul che al n. 1 del suo decalogo ha scritto: “DATECI AMORE. Concepiteci l desiderio di esprimere la vita. Solo l’amore consente, infatti, di crescere provando l’amore per la vita, per gli altri, per gli animali, per il sapere, per le regole e per il rispetto”. Lo psicoterapeuta Alberto Pellai scrive: “[…] la formula della felicità non si basa solo su mille attività coinvolgenti e un amore incondizionato […]. Secondo gli autori del best seller “Il metodo danese per crescere bambini felici ed essere genitori sereni” (Newton Compton) la felicità da bambini può essere conquistata solo grazie a sei ingredienti: giocare in modo libero e destrutturato, ricevere lodi adeguate e non gratuite o sperticate, pensiero positivo (ovvero capacità di trovare il  lato positivo anche negli eventi avversi), empatia e capacità di sintonizzarsi sugli stati emotivi altrui, assenza di punizioni corporali e uno stile familiare intimo e allegro, dove si sta insieme e con la gioia di condividere relazioni nutrienti. […] Per diventare sorridenti ci vuole leggerezza e divertimento: ci si fa le coccole, ci si rincorre e si gioca a nascondino, si va alla scoperta del mondo, insomma si diventa complici nell’allegria. È questa “intimità allegra” […] che va conquistata”. Oggi si assiste alla “mediatizzazione dell’esperienza e delle relazioni. […] la cosiddetta rivoluzione digitale, nel giro di pochi decenni, ha modificato profondamente istituzioni sociali e apparati economici su scala globale tanto quanto molte delle nostre abitudini quotidiane più familiari” (il sociologo Piermarco Aroldi nel Rapporto Cisf 2017). Nonostante la mediatizzazione dell’esperienza e delle relazioni non si deve dimenticare e trascurare che il bambino ha necessità di poche, semplici, dirette, naturali cose, quali il con-tatto, lo sguardo, l’ascolto, l’attenzione, anche il diniego. I bambini non hanno bisogno che si diano loro cose materiali (tante, troppe!) ma che si preservi in loro la felicità che sono capaci di suscitare, provare e trovare nelle cose più semplici e naturali. Per esempio la motricità nei bambini è fondamentale perché è fonte di felicità e potenzia ogni capacità. “[…] cosa sarebbe la vita senza il gioco? Ne hanno bisogno i bambini per crescere e i grandi per trovare un po’ di serenità. Ma giocare per i soldi può diventare una dipendenza che fa male, perché rinchiude in una visione miope della felicità, legandola alla facile ricchezza. Nel gioco d’azzardo si perde sempre. Si perdono l’autostima, la speranza e, spesso, anche i beni di famiglia” (cit.). Bisognerebbe educare e educarsi al gioco data la rilevanza, plurivalenza e insostituibilità del gioco da bambini e a tutte le età e per non andare incontro, poi, a dipendenze (per es. da videogiochi) o alla ludopatia. Dovrebbero riflettere in particolare i genitori italiani che, a livello europeo, sono quelli che dedicano meno tempo al gioco con i figli, appena 15 minuti al giorno. Il pedagogista Daniele Novara precisa: “La condivisione nel contatto affettivo è sempre, e non solo da piccoli, lo strumento che consente di attivare tutte le proprie risorse e di trovare il coraggio necessario per affrontare le loro [dei bambini]inevitabili paure”. Gli abbracci, il contatto fisico stimolano gli “ormoni della felicità”, per cui giovano alla salute e alla speranza, fiducia, progettualità. “La promozione della salute sostiene lo sviluppo individuale e sociale fornendo l’informazione e l’educazione alla salute, e migliorando le abilità per la vita quotidiana. In questo modo, si aumentano le possibilità delle persone di esercitare un maggior controllo sulla propria salute e sui propri ambienti, e di fare scelte favorevoli alla salute” (dal paragrafo “Sviluppare le abilità personali” della Carta di Ottawa per la promozione della salute). I genitori, perciò, sono anche promotori della salute.   Il sociologo Francesco Belletti spiega: “Le rilevanti trasformazioni oggi riscontrabili per la paternità (e per la genitorialità in senso lato) devono fare i conti con la riscoperta del valore del concetto di “legame”, nelle relazioni familiari, di fronte ad una progressiva individualizzazione narcisistica dei progetti di vita. Senza il desiderio consapevole di “costruire la propria felicità attraverso i legami”, anche le responsabilità paterna e materna diventano obiezione alla propria autorealizzazione, anziché entusiasmante esperienza di cura, dono circolare e crescita della propria personalità”. La genitorialità, tanto nella maternità quanto nella paternità, non è: realizzazione di sé, soddisfazione di un proprio bisogno o desiderio, completamento di un proprio vuoto o altro ancora che riguardi la propria persona o qualche caratteristica del proprio partner, oppure, in senso negativo, per le donne deturpamento del corpo, del seno e successivamente corsa tra palestre e trattamenti estetici per riprendere la forma fisica e per gli uomini abbandono sgradito delle partite e dei ritrovi con gli amici o di altri interessi. Genitorialità è il superamento di sé e altro da sé. La genitorialità non è fonte di piacere personale ma fonte di felicità generale, anzi ha in sé il senso della felicità. Da tener conto della disciplina dell’art. 144 cod. civ. dove si parla di esigenze preminenti della famiglia e del Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia ove si legge che la famiglia è “ambiente naturale per la crescita ed il benessere di tutti i suoi membri ed in particolare dei fanciulli”. La serenità e l’affiatamento tra i genitori è già la principale fonte di felicità per un bambino cui arriva tutto ciò dentro e vi rimane per sempre. In caso contrario, quando non esiste una sana coppia genitoriale, il bambino subisce dei veri danni. “[…] pur nella desolazione, ci sarà sempre un bambino che speranzoso ci guarderà, attendendosi qualcosa” (lo scrittore Bruno Ferrero). Quando la coppia è in crisi dovrebbe superare i propri limiti ed egoismi e guardare negli occhi i figli il cui sguardo è depositario delle vere emozioni e delle più genuine soluzioni che portano all’agognata felicità. Quando nell’art. 18 par. 1 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si dice che “Nell’assolvimento del loro compito essi [i genitori] debbono venire innanzitutto guidati dall’interesse superiore del fanciullo”, l’interesse superiore non è riferito solo nei rapporti con gli altri ma anche a ciò che c’è in mezzo (“inter”) tra i genitori stessi e i figli. “I figli hanno il diritto alla spensieratezza e alla leggerezza, hanno il diritto di non essere travolti dalla sofferenza degli adulti. I figli hanno il diritto di non essere trattati come adulti, di non diventare i confidenti o gli amici dei loro genitori, di non doverli sostenere o consolare. I figli hanno il diritto di sentirsi protetti e rassicurati, confortati e sostenuti dai loro genitori nell’affrontare i cambiamenti della separazione” (punto n. 2 della Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori, ottobre 2018).  Per crescere bisogna avere un buon esempio, qualcuno che indichi la strada e inciti a seguirla con libertà e gioia in modo tale che quando, da adulti, ci si gira verso il passato si trovi dietro alle spalle un bambino sereno che sorrida e che si sia rialzato da ogni caduta pur con le ginocchia sbucciate e le mani sporche. Per ogni bambino bisogna coniugare “felicità” (dal Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia) e “potenzialità” (dalla lettera a dell’art. 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia), perché ogni bambino è portatore di felicità e potenzialità. I bambini non sono tanto il futuro quanto hanno diritto al futuro che non è astratto ma è sostanziato di diritto al presente, di diritto presente cominciando col far sentire presente ogni bambino dandogli ascolto e attenzione (che non è adorazione o devozione), innanzitutto in famiglia. Al n. 10 del Decalogo per proteggere i nostri bambini (2018), lo psicoterapeuta dell’età evolutiva Alberto Pellai ha scritto: “Diritto a un futuro. Ovvero uno spazio di progetto in cui dare senso alla loro fatica di crescere, alla loro motivazione a impegnarsi, a studiare, a fare fatica. In questi ultimi anni, chi cresce si sente già da piccolo derubato del proprio futuro. E di tutti i diritti negati, forse questo è quello che fa più male a chi è nato e sta crescendo nel terzo millennio”. La felicità dei bambini si basa su una giusta protezione nel presente e una serena proiezione per il futuro, e uno strumento per trovare la strada e la misura è dato dal dialogo. Infanzia e felicità formano un binomio imprescindibile. L’infanzia: quella casetta che rimane sempre dentro la testa, dietro la testa e cui volgere lo sguardo quando tutto il resto sembra non andare per il verso giusto. La sociologa Marina D’Amato afferma (nel libro “Ci siamo persi i bambini. Perché l’infanzia scompare”, 2014) che, “ancora prima che di attenzione il bambino è oggetto di preoccupazione”, cioè letteralmente si tende a occupare prima tutti gli spazi destinati al figlio fino all’età giudicata adatta alla sua uscita dall’orbita familiare, cioè persino verso i… cinquant’anni. La preoccupazione primaria è che il figlio non sia povero, che è la suprema sventura, dal momento che tutto è orientato dal benessere, simboleggiato dal denaro. Ma, vista la crisi, le indagini dimostrano che l’ascensore sociale in Italia si è fermato, cioè chi è povero sembra destinato a restarlo. E quella più allarmante è proprio la povertà educativa minorile (che secondo un’indagine demoscopica del 2019 è soprattutto causata dalla disattenzione dei genitori) che, a sua volta, in un vischioso circolo vizioso, incide direttamente sullo sviluppo del Paese. Genitori: non solo dare la vita ma trasmettere il senso della vita, ovvero la felicità che è diffusiva e pervasiva come il sole che esiste anche dietro le nuvole o dall’altra parte della Terra quando gira.

 

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Sull' Autore

Insegnante, giurista, con la passione della lettura, della scrittura, della fotografia e di ogni altra forma di arte e cultura. Autrice di tre libri per Aracne Editrice (Roma) – fra cui “La bellezza della parola, la ricchezza del diritto” (2014) menzionato nel sito dell’Accademia della Crusca –, di oltre 150 pubblicazioni giuridiche citate in più sedi (testi giuridici, convegni, università, siti specializzati, tesi di laurea) e di altri scritti, già operatrice socioculturale nel volontariato (da quello associativo a quello penitenziario). Nata a Salandra (MT), vive a Matera.

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