La vittoria di Elly Schlein è sbalorditiva come tutte le ovvietà. Nessuno di noi l’ha vista per tempo. Eppure era sotto i nostri occhi. Più che capire come sia stato possibile, dovremmo capire come abbiamo fatto a non vederla arrivare.
Il primo dato politico è che la dirigenza del PD non sa dirigere neanche le primarie del PD. Convinti di stravincere con percentuali bulgare, tutti i principali esponenti dem sono accorsi da Stefano Bonaccini. È questo corri-corri generale che ha alimentato la sensazione di un copione già scritto. I rapporti di forza nelle urne degli iscritti (52-34 per il Presidente dell’Emilia-Romagna) sembravano sigillare per sempre le speranze della Schlein. Da che mondo è mondo, le primarie non hanno mai sconfessato i congressi di circolo: ne hanno semmai ampliato le proporzioni. Dibattito vero nel partito, filiere al voto nelle primarie.
Stavolta non è andata così. In primo luogo, perché la dirigenza del PD ormai è così distante dal suo elettorato che non lo tessera più. Antonio Floridia, studioso toscano, svela che solo il 22% degli iscritti del PD sta al Nord e che il 44% risiede nel Mezzogiorno. È la radiografia di un partito speculare al suo elettorato, forte dove arretra ed evanescente dove qualcuno lo vota ancora. Lo stesso qualcuno che, però, si toglie lo sfizio di visitare il gazebo. E qui, l’altra ragione: la dirigenza del PD è così distante dal suo elettorato che non lo conosce nemmeno. Partito della ZTL, che ignora un fatto notorio: nella ZTL sono tutti laureati. Gente che segue La7, legge Domani e Repubblica, cerca Crozza e Diego Bianchi: gente che ormai pensa a Renzi con fastidio e si emoziona per i cortei dei Fridays for Future. Difficile credere che Bonaccini, ex coordinatore della segreteria renziana, potesse parergli potabile. Specie dopo le elezioni dello scorso settembre, che l’elettorato del PD è convinto di aver perso perché Calenda ha tradito e Conte si è preso i nostri temi. Insomma, una proposta francamente discutibile, che i capi-bastone credevano di somministrare ai simpatizzanti come è sempre successo finora. Unico accorgimento: concessioni, anche ampie a dire il vero, nel programma e nel linguaggio. Too little, too late (troppo poco e troppo tardi): la valanga di Schlein nelle grandi città (unici posti in cui vota l’elettorato di opinione) dimostra che il simpatizzante esterno al partito non ha proprio considerato la mozione Bonaccini, quasi tamquam non esset.
Il secondo dato politico che emerge è che la Schlein non ha affatto raccolto una vittoria di popolo. Lo dicono i numeri e lo dice il sentiment del suo fronte. I numeri: le primarie del 2023 sono le meno partecipate di sempre, confermando un trend a prima vista irreversibile e inesorabile. La vittoria arriva con il 53% del totale, pompata dalle grandi città e con meno di 600mila schede assolute. Non esiste un grande popolo della sinistra accorso alle urne: nessuna inversione di tendenza, nessuna mobilitazione inaspettata di gente un tempo reclusa in casa. La Schlein non è Corbyn né Sanders, vince per inerzia di fronte a una dirigenza condannata dalla Storia.
Il sentiment (oppure, come si diceva, la connessione sentimentale con il popolo): la Schlein pronuncia il discorso della vittoria emozionata, incredula. È la dimostrazione plastica che neanche lei credeva di farcela e che le era stata chiesta, dopotutto, una candidatura di servizio. Convinta di perdere perché non c’è stata, appunto, una mobilitazione collettiva. Non c’è stata nel tesseramento, fermo a quota 150mila (Corbyn fece esplodere il Partito laburista oltre i 600mila). Non c’è stata, appunto, alle primarie. Ma non c’è stata nel Paese: nessun tam-tam, nessun movimento di massa, nessun entusiasmo di popolo. Nonostante il lavoro, soverchiante, di decine e decine di quadri e militanti, la vittoria della Schlein non è la vittoria di un movimento organizzato, bensì la vittoria di tantissime speranze individuali sommate insieme. È un lusinghiero attestato di stima per la segretaria, ma politicamente è una gatta da pelare. Senza un ampio appoggio di militanti mobilitati è difficile contrastare i numerosi e litigiosissimi capicorrente del PD. Non a caso la neosegretaria propone di riaprire immediatamente la campagna di tesseramento: cerca di monetizzare l’ondata di entusiasmo di queste ore per rafforzare una leadership che nasce in difficoltà numerica.
Siccome nessuno credeva che avrebbe vinto, adesso regna il caos su quello che deve accadere. Più di qualcuno scommette che Base riformista se ne andrà: ha già levato le tende Fioroni, accusando il PD di essere diventato “un partito di sinistra”. D’altronde, la vittoria della Schlein delegittima in primis proprio gli ex renziani, ormai tagliati fuori dai gruppi parlamentari e dalla segreteria. In effetti, la vittoria della Schlein piace molto al Terzo Polo. Forse il M5s si è imbucato ai gazebo come suggeriscono i giornali. Ma a fargli compagnia c’è stata anche Italia Viva (qualche giovane è stato avvistato anche da noi a Potenza, nella grigia domenica di Malvaccaro). Netta l’indicazione per la Schlein, per togliere fiato a Bonaccini e Base riformista, sbarazzarsi di un concorrente meglio organizzato, e forse, chissà, guadagnare in futuro qualche truppa da irregimentare nel nuovo grande partito di centro che Renzi e Calenda promettono di fondare e non fondano mai.
C’è poco spazio, dopotutto, per la minoranza dem. Un risultato come quello di domenica ha il sapore dell’umiliazione, acuito dalle asimmetrie significative che si registrano tra città e campagna, tra Nord e Sud, ma anche (e soprattutto) tra feudi effettivi (come Salerno e i suoi 21mila bonacciniani, mille in più rispetto alla Napoli metropolitana) e feudi immaginari (come la Bergamo di Giorgio Gori, in cui Elly Schlein miete un 60% di consensi che fa davvero male agli avversari). È un quadro che indubbiamente sconforta e irrita i bonacciniani. Gli unici ad avere carte da giocare sono Emiliano e, molto più di lui, Vincenzo De Luca. Gli unici, dopotutto, ad aver portato voti a Bonaccini. Presidenti di Regione, sostanzialmente padroni assoluti dei PD Campania e Puglia, dirigenti meridionali con una segretaria debole al Sud ma contraria all’autonomia differenziata, sono in posizione di trattare senza imbarazzi con la Schlein. Après eux, le déluge. Brando Benifei, capofila dei giovani di sinistra per Bonaccini, dovrà lasciare il suo posto di capogruppo dem al Parlamento europeo. Dario Nardella, coordinatore della mozione Bonaccini, farà il Sindaco di Firenze: dove la Schlein ha incassato il 70% dei voti. Bonaccini stesso, sconfitto a Bologna, siede in Assemblea nazionale al fianco di Mattia Santori, il leader delle Sardine che rivendicano di averlo eletto Presidente dell’Emilia.
Si è detto che alle primarie del PD (forse) sono arrivati anche elettori grillini e centristi. Non determinanti. Se il PD non riesce a gestire le sue primarie, sarebbe ridicolo pensare che possano riuscirci Renzi e Conte. Ma il terzo (e ultimo) dato politico è che alle primarie ha partecipato una quota di persone di sinistra e che non crede nel PD. Difficile quantificarle ma l’impressione è forte e si vede dai risultati, molto netti, delle grandi città. Il tonfo della partecipazione sarebbe stato, forse, più pronunciato se una massa di ex militanti di altri partiti piccoli non fosse andata a votare. È il riflesso dell’horror vacui che suscitano i cespugli rossi alla sinistra del PD, il tentativo di partecipare per chi non ha più una casa.
Sarebbe disonesto negarlo: è un segnale di fiducia in Elly Schlein, capace di riportare ai gazebo una frazione di elettori che, tutto sommato, nonostante una certa avversione per un PD incolore ed evanescente, ha trovato in lei un buon motivo per uscire di casa.
Altra questione il ritorno di Articolo Uno. In grande stile, pieno di effetti speciali e pirotecnici, i bersaniani rientrano nel PD da vincitori. Elly Schlein è stata la front-woman della lista “Emilia-Romagna Coraggiosa”, della quale il partito di Speranza è stato il primo azionista. Si potrebbe scrivere un altro articolo sul tema, ma basti un punto: Roberto Speranza è l’unico leader che può rivendicare il dato lucano. Se la Basilicata ha dato a Bonaccini il 60% dei voti, è vero anche che tutti i principali esponenti del PD Basilicata (dati del Congresso regionale 2021 alla mano) erano con il Governatore emiliano: Cifarelli, De Filippo e Margiotta su tutti. L’unico che può rivendicare il 40% della Schlein è proprio Speranza, che contava oltre mille tesserati ad Articolo Uno nel 2022 e che può quindi vantare, con una certa credibilità, la forza di fuoco sufficiente per rivendicare il risultato. Certo, innegabile il contributo che anche altri lucani hanno dato alla neosegretaria (presentata, all’incontro al Principe di Piemonte, da Carmine Croce sotto gli occhi di Vito Santarsiero; sostenuta a Potenza e nei circoli interni come Ruoti, Pisticci e altri anche dal lavoro di Raffaele La Regina e dell’area Orlando in generale). Ma il ruolo nazionale e le tessere locali consegnano all’ex Ministro della Salute una posizione forte nella sua Basilicata, impreziosita dalla vittoria (netta e inaspettata) su Potenza città.
Comincia ora un periodo molto difficile per Elly Schlein, che sarà chiamata a ricomporre un partito litigioso e ancora sconvolto dalla sua elezione. Non facile trovargli una funzione e una collocazione: il rischio della sovrapposizione con il M5S può rivelarsi esiziale, l’ostilità del Terzo Polo complica ulteriormente il gioco di alleanze, l’assenza di un forte supporto di massa restringe i margini di manovra e non incoraggia i corpi intermedi (come i sindacati) a fornire ossigeno, manodopera militante e voti. Scontata la futura avversione dei giornali italiani: si preannuncia una stagione di delegittimazione e di pressioni, simile e probabilmente molto più acuta di quella attraversata a suo tempo da Nicola Zingaretti. O Elly Schlein saprà reagire con determinazione sui temi (e con intelligenza nel partito e nella società), o il PD è destinato a soccombere. Difficile fare pronostici. Al simpatico Dewey, di Malcolm in the Middle, fecero dire una volta: “Non mi aspetto niente, ma sono già deluso”.