IL MANIFESTO DEL LAVORO NARRATO

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ida leonedi IDA LEONE

Ero una ragazzina spiritosa e quando capitava che si affrontasse il tema religione, nelle discussioni fra amici, io dicevo di essere calvinista. Non era del tutto vero ma nemmeno del tutto falso. Uno dei principi etici di questa religione è infatti la sacralità del lavoro, a gloria della creazione di Dio, e questo implica che a qualunque cosa l’uomo ponga materialmente mano sulla terra deve essere fatta nel migliore dei modi possibili. Da Wikipedia:

Il cristiano non guarda alle cose che fa semplicemente come qualcosa che gli sia richiesto, come semplici attività terrene, ma come qualcosa che deve tornare a credito della lode di Dio per tutta l’eternità.

Ne deriva una specifica etica del lavoro (tanto che si è arrivati a teorizzare che il calvinismo sia alla base del costruzione ideologica del capitalismo), del fare bene, al meglio possibile, ciò che si sta facendo, non conta se importante, e quanto pagato, perchè l’accento è posto sul processo più che sul risultato finale, e il processo ha a che fare con il dare sempre il meglio di sé perché questo conduce alla gloria di Dio e quindi alla salvezza (divina per i calvinisti veri, professionale per me, calvinista d’accatto). Ne conosco tanti che la pensano come me. In genere faticano più dei lavativi, a farsi strada nella vita professionale, ma questo è un altro discorso. Fra questi, un nome importante.

Vincenzo Moretti, sociologo, una vita in CGIL e ora dirigente della Fondazione Giuseppe Di Vittorio, pubblica qualche tempo fa quello che lui chiama il Manifesto del lavoro narrato, ovvero “Le 52 regole del lavoro fatto bene”, un documento che – proprio come le tesi affisse da Lutero sulla porta della chiesa di Wittenberg (la narrazione protestante torna prepotente) – in 52 punti semplici ma niente affatto banali prova a raccontare la sua visione di “lavoro fatto bene”, a regola d’arte, senza risparmio, e la sua visione del perchè questo debba tornare ad essere il faro della vita lavorativa, soprattutto degli under 30. Perfino nei lager e nei gulag (lo raccontano Primo Levi e Aleksandr Solženicyn) i prigionieri, pur sottoposti a condizioni di vita disumane, avevano in alcuni casi l’orgoglio preciso del lavoro fatto bene, del muro tirato su dritto, a regola d’arte, anche se questo accelerava la consunzione ed era comunque un lavoro fatto a beneficio e anzi sotto la sferza degli aguzzini.

Sotto questo documento, Moretti sta raccogliendo firme, con l’obiettivo di farlo diventare un movimento di opinione, creare una cultura del “lavoro ben fatto” che ci salvi dalla inedia e dal disastro economico e competitivo con gli altri paesi europei. Le 52 tesi sono state pubblicate su Nòva de Il Sole24Ore e sono sottoscrivibili, oltre che studiabili e addirittura stampabili ed affiggibili, per una maggiore diffusione (inutile dirvi che io l’ho già fatto). E ovviamente, sono “discutibili”, nel senso che Vincenzo Moretti sollecita, sulle sue tesi, un dibattito.

Il gioco può svilupparsi, ad esempio, discutendo su quali siano fra le 52 le proprie regole preferite, o su quali eventualmente non si è d’accordo e perchè. Partecipo subito al dibattito, e spero lo facciano in molti, dicendo che sono largamente concorde con quasi tutte le 52 tesi, per via dell’etica calvinista di cui sopra, e che le mie preferite  sono la n. 24 e la n. 25, perché è ciò di cui mi occupo più volentieri, indipendentemente dal fatto che siano occupazioni a pagamento o meno – e in genere NON lo sono.

24.  Connettere maestria, creatività e bellezza è lavoro ben fatto.
25. Mettere a valore il sapere e il saper fare delle persone, la conoscenza esplicita e tacita delle organizzazioni, la cultura e la storia delle città e delle comunità è lavoro ben fatto.

Non concordo invece con la n. 3 (“Ciò che va quasi bene, non va bene”), e per un motivo preciso, che mi deriva direttamente da persone da cui ho imparato moltissimo, e che a buon titolo chiamo “maestri”. Era il 2009 forse e stavamo già da alcuni mesi lavorando per un progetto della Regione Basilicata chiamato “Visioni urbane”. Dietro questo nome altisonante c’era l’idea di mobilitare la scena creativa lucana per la realizzazione di 5 centri per la creatività in regione, e di farlo in una modalità totalmente inusuale per una pubblica amministrazione, e cioè progettando i contenuti prima di ancora di sapere quali sarebbero stati i contenitori, e di farlo insieme alle associazioni culturali e creative lucane. In quella occasione ho conosciuto Alberto Cottica, e ricordo benissimo sul guscio del suo sul laptop un adesivo, di cui mi fece dono, che diceva “Beta is perfect”, ovvero anche una cosa non proprio giunta a completa maturazione può essere buttata sul campo. Sono una perfezionista e la cosa mi lasciò un filo perplessa, ma mi fidavo di Alberto e non ho obiettato.

Il senso vero della regola Beta is perfect l’ho capita più di recente, quando ho letto, amandoli subito senza riserve, l’elenco degli insegnamenti che Annibale D’Elia sostiene di aver imparato da Guglielmo Minervini, e postate in un commovente preziosa nota su Facebook quando quest’ultimo è prematuramente scomparso, a settembre scorso. D’Elia e Minervini, entrambi pugliesi, sono due nomi molto noti a chi si occupa di politiche pubbliche per la cultura, essendo i motori mobilissimi dietro ai quali è nato il colosso Bollenti Spiriti, un esperimento della Regione Puglia dal quale anche Visioni Urbane aveva tratto le mosse. Dice Annibale:

Minervini mi ha insegnato con la pratica che il miglior modo per far succede le cose è farle succedere. Che se vuoi avviare un processo, il segreto non è prepararsi, prepararsi, pronti, partenza, via, ma semplicemente avviarlo. Anche quando non è del tutto chiaro dove andrai a finire.
Mi ha insegnato che l’atto generativo per eccellenza è condividere ciò che hai. A cominciare dalle informazioni. […] Lavorare con Gu era come frequentare un campo di rieducazione per perfezionisti insicuri e maniaci della pianificazione. Mentre tutti cercavano di mettere ordine, spesso con scarso successo, Guglielmo cercava di portare la situazione un passo più avanti.
Ecco.
Quindi anche un lavoro che va quasi bene, va bene, se vuoi produrre un atto generativo.
Beta is perfect.
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Sull' Autore

Esperta di Fondo Sociale Europeo e delle politiche della formazione e del lavoro. Mi interesso anche di fenomeni di innovazione sociale e civic hacking: open data, wikicrazia, economia della condivisione, creazione ed animazione di community di cittadini. Sono membro del gruppo di lavoro che ha portato Matera a Capitale europea della cultura per il 2019. Sono orgogliosamente cittadina di Potenza e della Basilicata, e lavoro e scrivo per migliorare il pezzetto di mondo intorno a me.

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