Soffia imperterrito sulla piazza esposta a bora ed alle tramontane il vento impetuoso, precipitoso, che riempie di nuova e fredda aria i suoi otri capienti sull’Arioso o su Montocchio e li scarica sui comignoli e sui tetti da Portasalza al Muraglione, batte vigoroso le coste e sferza la cordigliera delle mura e delle finestre, fino al rantolo delle grondaie.
Fischia nei vicoli il sibilo delle sue canne. Sono qui orientati secondo il tracciato del vento le stradine, le torri, i balconi, le porte aperte al freddo degli inverni che con la veste nevosa ricoprono la città.
Alcuni uffici sono imbacuccati nei muri, al caldo dei termosifoni: corridoi ovattati dal silenzio.
La messa della domenica attrae nella Trinità gli artigiani, i commercianti e gli impiegati, la gente tutta; uomini e donne sono separati.
Borghi non più imbevuti di rusticità fanno parte della città per l’andamento delle case, delle sue rotabili, per il rosario dei negozi e delle botteghe di via Pretoria e di via Roma, per gli alberghi, i cinema ed il Teatro Stabile, la fabbrica di laterizi, le chiese ed i portoni, i caffè, le librerie, le farmacie, gli alimentari e le piazze …
Le drogherie sono zeppe di coloniali, di spezie, di zuccheri e di essenze, di liquori e di lievito di birra, di sapori e di spiriti, di naftaline e di biscotti …
I negozi vivono del piccolo commercio, dei prodotti agricoli e dell’artigianato, alimentari come Maddaloni e Mastrangelo, Nasoscazzato, chincaglierie come Caggiano, Di Pietro, parrucchieri, fotografi, Corrado e Giocoli, negozi di arredamento e colori …
Le vetrine sono più numerose, moderne ed allettanti al centro, all’avanguardia dell’esposizione.
Rispetto ai finestroni del Municipio e della Prefettura ed in genere degli edifici adibiti ad uffici pubblici, la fiaba delle contrade e dei contadini suona eresia per le denominazioni: Poggio Tre Galli, Cacabotte, Malvaccaro, Cugno del Finocchio, sconvenienti rispetto alla toponomastica patriottarda e risorgimentale, nobiliare insomma, di una città che fa pompa della sua altezza a capo della valle del Basento.
Il dedalo della città medioevale è una rete di viuzze strettissime di vicoli brevi che intanano spesso entro cortili dove il passaggio è sbarrato da maschere goffe che, agli anelli, legano le funi dei muli e delle giumente. La corteccia delle mura stringe una compatta famiglia di pietre calcaree e di mattoni; e le porte sembrano forate con lo scalpello più che costruite: cupe e profonde come condotti o trincee.
Rannicchiata sulla vetta del monte, tra Portasalza ed il Castello san Carlo, del secolo XVI, rimane fitta e serrata in questi limiti, con le sue case di quattro o cinque piani, dominate, pel dislivello del suolo, dalle strade sovrastanti; soffocate nel labirinto oscuro dei vicoli tortuosi … ove si forgiano le nuove sorti sociali, ha radici il suo araldico gonfalone, ha sede il suo Comune con l’orologio che segna le ore del modernissimo, l’anagrafe, lo stato civile, le entrate e le uscite …
«Sul suo destino di città pesa l’antica condanna, la sua posizione geografica. Non è sorta alla confluenza di un grande fiume, allo incrocio di antiche strade o in una fertile vallata», ma «Potentia romano rum relegavit», resta una taccia d’infamia, l’insegna di una disperata località di relegazione ed espiazione, una lontana e costante concezione del confino esistenziale[1].
Le tormente invernali hanno condizionato le uscite e le entrate. Il clima glaciale, le rabbiose intemperie, le plumbee giornate hanno pesato sulle generazioni di cappotti indossati nel corso delle grigie, noiose epopee e nei conformismi di regime. La polvere degli anni ha inflitto una spessa coltre alla città.
Dal ruolo subordinato alla realtà politica di Napoli capitale del Regno per tutto il settecento, fino al 1807, anno in cui viene elevata a capoluogo, Potenza si trova situata in un punto cruciale della geografia meridionale, equidistante dalle coste, sul malleolo dello stivale. Questo è quanto appare sulla carta, sulla quale vengono definiti i vari distretti alla guisa del modello francese … Un decreto dell’Imperatore nel 30 marzo 1806 da Parigi dice che Napoleone «fatto per legittimo diritto di conquista signore dei reami di Napoli e Sicilia, vi nomina re Giuseppe Bonaparte suo fratello».
Questa seconda invasione, diversa dalla prima solamente per avere la Francia regalato a Napoli una nuova corona reale, invece del berretto repubblicano, non dà libertà, né indipendenza; ma vi apporta il nuovo sistema di pubblica amministrazione, che segna il principio della civiltà moderna.
Per tale ordinamento Potenza acquista il posto di città capitale della provincia.
Con la legge organica della nuova circoscrizione la provincia viene divisa nei quattro distretti di Potenza, Melfi, Matera e Lagonegro; i distretti in circondari e questi in comuni … Quando con il re Giuseppe Bonaparte si riforma l’ordinamento amministrativo e giudiziario del Reame, Potenza, invece di Matera, viene prescelta a capitale della Basilicata, perché meglio si presta per la sua situazione ai bisogni di tali riforme, essendo la città quasi nel centro della provincia, come questa è centro delle sei province che le stanno d’intorno e circa ad eguale distanza dai mari Jonio, Adriatico e Tirreno.
A questa città vengono attribuiti ruoli e funzioni, importanza di capitale amministrativa, dovuti ad una volontà astratta, dittatoriale di un re né italiano, né meridionale.
Giuseppe viene inviato in Spagna a regnare e gli succede a Napoli Gioacchino Murat. Un destino deciso da lontano. Murat, da generale di Napoleone, sale al trono di un regno tra i più importanti d’Europa. Napoli dialoga con Londra e con Parigi. Potenza rispetto a Napoli non ha comunicazioni, non ha strade, ha solo luoghi impervi. Egli si appassiona a queste terre.
Per arrivare a Napoli bisogna percorrere per giornate e giornate un territorio di fossi, tortuosi sentieri, valli, crepacci e fiumare.
Nel 1815, con il Congresso di Vienna, viene restaurata la monarchia borbonica. I borboni non lasciano passare invano questa ventata di «rinnovamento» francese-europeo verificatosi nel meridione e confermano Potenza capitale amministrativa, di funzionari e di prebende, di organizzazione burocratica e di uffici.
Si va facendo avanti una classe; anzi si va formando uno strato di gente inserita, immatricolata, iscritta negli elenchi compresi nei capitoli di bilancio, per la quale corre lo stipendio, il tanto al giorno, amorfa senza oscillazioni, senza rischi, senza sbalzi di rapide carriere e di retrocessioni.
[1] Non si ha memoria alcuna della sua origine. Pierile e sconcia senza alcun appoggio d’istoria è quella che la fa dipendere dai pirati relegativi di Roma, e che Pompeo aveva scacciati dal Mediterraneo. Sono stati consultati gli atti della Prefettura presso l’Archivio di Stato di Potenza.