Nacqui su un precipizio profondo, su una collina affacciata sul mare Ionio. In questa immensità, ultimo contrafforte verso il mare di una catena di monti posti trasversalmente alla dorsale appenninica nel basso Sinni, i monti sono alti, le nevi e le acque, abbondanti. Ne traggono vantaggio, flora e fauna. In un paesaggio del genere, dove ardite vette, altipiani, valli, e pareti montane rocciose e ripide danno origine a degli spazi liberi tra precipizi e gole, dove, sovrani regnano i falchi. Da piccolo li osservavo, quasi come un’ imposizione della natura. Ne carpivo i i movimenti, la grazia del volo. A sera, ogni sera, come tutte le sere, nel dormiveglia, mi immaginavo in volo con loro. Catapultarmi nello spazio e volare verso ogni cosa. In questa dimensione ero felice; il sonno poi, giungeva… Nelle albe, al risveglio, ripassavo il sogno della sera precedente: il mio volare. Chiaramente, sono solo momenti della mia vita, ma allora, quasi settanta anni fa, non c’era la televisione a trasmettere immagini della natura, né una voce narrante a spiegare e svelare i tanti perchè e i misteri del nostro habitat. Allora, osservare e cogliere i doni della natura, mi appassionava. E noi lucani, di questi doni, dovremmo far tesoro, e parlarne, con animo sincero su come lasciarli in eredità alle generazioni del tempo successivo. La mia poesia è uno di questi tentativi:
IL PRINCIPE DEI FALCHI
E` là, nel Cervaro
che volano i falchi
sorvolando il Ruggero.
Come alianti cercano
la corrente ascensionale,
trovatola, in essa si lasciano cullare,
trasportare verso il sole.
Maestosi, ad ali spiegate
ali magiche, ali immobili,
a tracciare meraviglie nel cielo
in attraente volteggiare
andare su`, su` a formare
una spirale di cerchi.
Poi fermarsi, in alto
nel vuoto, sostenersi
affascinanti e immobili
con estro di grande maestria
e sorprendente armonia
in un gioco acrobatico,
vario, preciso, bellissimo,
con brevi, leggere vibrate di ali
e porre stabilità con l’ausilio
delle piume della mobile coda.
Poi, compattarsi,
rinchiudersi in se stessi,
ben stretti nelle loro ali
ed in picchiata,
fendere l’abisso
in velocità incredibile,
tanto da farne,
i più veloci sulla terra.
Mi incantavano i falchi:
il Pellegrino, era il re.
Pensando, ripassando
il ricordo, mi ritrovo
bambino, affascinato,
da quei voli meravigliosi:
allora, mimavo quei falchi.
Spalancavo le braccia
correvo, correvo e volavo,
volavo e correvo
e felice, sognavo…
di Domenico Friolo