Non passa giorno in cui, per curiosità o problematica reale, ascoltiamo notizie di Internet, di mondi connessi, e commenti di psicologi che esprimono il proprio punti di vista rispetto alla nostra società in naturale evoluzione e involuzione, con le complessità e le sfumature che ne derivano, i passi falsi e i rischi sempre in agguato per chi si avvicina a questo contesto attraente e futuristico. Decaloghi accreditati sono inesistenti, suggerimenti per chi si avvicina al digitale sono inevitabili, l’essere guardinghi talvolta è un controsenso se si considera che la tecnologia che ci circonda, ascolta i nostri pensieri ad alta voce senza farci neppure accorgere. Persino le strade rimangono segnate, in modo luttuoso, dinanzi agli effetti dell’uso sconcertante e smodato della tecnologia dove i protagonisti “YouTuber” rimangono non solo i protagonisti della piattaforma ma gli artefici di crimini efferati a spese di vite umane: un bambino di soli 5 anni è stato strappato alla vita mentre in auto, fra la guida spericolata e l’euforia di un cocktail drug , gli autori di video estremi e sfide social, “lavoravano” per incrementare le simpatie e le migliaia dei propri followers.
Ma si può definire “lavoro” postare una challenge di 50 ore al volante, rendere virale una canzone, un ballo o una ricetta? Ancora più eclatante, si può definire “lavoro” postare persone in sovrappeso ironizzando sul tema o esibire come trofei un bacio in discoteca con la ragazza più in carne? Circolano fra i creator di TikTok espressioni così colorite:” Vince chi limona la ragazza più obesa”, la cosiddetta sfida Boiler Summer Cup, che sta generando una nuova sindrome osservata dagli psicologi, l’ansia da discoteca. Repetita iuvant, postare foto, video e live può davvero essere definito un lavoro? La risposta è sì! Trasformare la passione per i social in una professione è possibile e genera incassi apprezzabili, basta uno smartphone, una telecamera e il sorriso per riuscire ad affermarsi online ed avere una carriera invidiata e ben avviata. Siamo consapevoli che il tempo trascorso online aumenta esponenzialmente, in media ognuno possiede 5 o 6 profili per chattare, alla luce del giorno o in incognito, per aumentare il numero dei like, dei followers e andare alla ricerca di immagini, GIF o video da condividere tra gli amici.
Youtuber o Instagrammer o diventare un TikToker professionista, è a tutti gli effetti una professione social che consente di ottenere popolarità: consente di lavorare in modo divertente e indipendente, definendo in autonomia orari e aziende con cui collaborare e “grazie ad un passatempo” avere successo in termini di guadagno personale. Ma diversamente dall’Ice Bucket Challenge, la sfida del secchio ghiacciato, ideato per sostenere la ricerca contro la sclerosi laterale amiotrofica, possono gli stessi partecipanti mettere a repentaglio la propria vita e quella di milioni di giovani che sui social network emulano i comportamenti dei propri fan a colpi di fantasia e capacità immaginativa a volte insana?
Dare fuoco a oggetti e giocare con le fiamme, legarsi corde al collo per mettere alla prova la propria resistenza, mettere lo sgambetto a scuola fra ragazzi simulando un balletto “spaccacranio”, generare scintille da un caricatore del cellulare sono solo alcune delle sfide in voga tra i giovani frequentatori di TikTok. L’ultima sfida, la cosiddetta “Cicatrice francese”, è l’ultimo gioco autolesionista nato in Francia e arrivato anche in Italia diventato di gran moda: procurarsi uno o più ematomi sugli zigomi lasciando segni evidenti. La Polizia Postale ha affermato che “l’intento è quello di assumere un aspetto più rude e temerario, mostrando i segni di una fittizia colluttazione” perché deturpare il volto ottendo più like fa apparire degni di rispetto ed è cool!
Forme di autolesionismo, insicurezza, solitudine e bullismo reale o fittizio sono sentimenti drammatici ed episodi di cronaca che convivono con i ragazzi di ogni età, piccole e grandi generazioni che si affidano alle piattaforme virtuali invitando ad emulare comportamenti incomprensibili e difficili da monitorare per il sistema scolastico e maggiormente per la realtà genitoriale, nel nostro mondo sempre più complesso e poco incline alla semplicità e alla soddisfazione. Gli adolescenti hanno un bisogno fondamentale di socializzare e di esternare i propri stati emotivi che non riescono a tradurre in parole in famiglia, l’ambiente in cui avvertono il principale disorientamento perché i genitori si riscoprono spesso in difficoltà di non saper proteggere la crescita dei propri ragazzi in un contesto poco monitorabile come quello dei social che permette loro di esprimersi liberamente, di ampliare le proprie conoscenze aiutando a rafforzare l’autostima.
Il Commento generale n. 25 sui “Diritti dei minorenni in relazione all’ambiente digitale”, adottato dal Comitato delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Infanzia riporta l’intervista di un minorenne :“Quando sei triste, Internet può aiutarti a intravedere qualcosa che ti dà gioia”. Viste le opportunità fornite dall’ambiente digitale che rivestono un ruolo sempre più cruciale nello sviluppo dei minorenni già in tenera età, i minorenni possono essere discriminati se viene loro impedito l’uso delle tecnologie e bisogna assicurare che tutti abbiano un accesso uguale ed effettivo all’ambiente digitale secondo modalità per loro utili, garantendo l’uso consapevole delle tecnologie digitali nei contesti educativi e in famiglia. L’ambiente digitale non è stato originariamente progettato per i bambini o gli adolescenti minorenni, ma gioca tristemente un ruolo sempre più dominante nella loro vita riuscendo a plasmare lo sviluppo cognitivo, emotivo e sociale delle giovani menti al punto che, grazie al web, riescono ad inventare il lavoro del proprio futuro col beneplacito di genitori consenzienti o inconsapevoli di video che generano pericoli e degenerazione.
L’ambiente digitale offre un’opportunità unica per accedere alle informazioni ma, quando la cattiva informazione assume sembianze a mò di bravate stereotipate, incoraggiando a mettere in atto comportamenti estremi, illegali o pericolosi, bisognerebbe vietarne l’accesso impedendo l’inserimento di contenuti personali: la libertà di espressione creativa non autocelebra forme di violenza subliminali per ottenere consensi a spese di giovani menti indifese. Nel già complicato rapporto genitori-figli, smartphone, tablet e pc hanno aggravato le dinamiche facendo emergere un quadro d’autore…al ristorante o tra colleghi, per poter parlare liberamente, si affidano le richieste o i capricci dei propri figli al primo oggetto che si possiede in mano: lo smartphone.
E se da un lato i genitori affidano ai device le veci di babysitter perché è personalizzabile per ogni occasione di svago o di rimprovero, dall’altro i genitori contribuiscono alla celebrità dei propri figli sui social network. Che i contenuti siano di youtuber accreditati o di blogger di fama, la tendenza è di condividere ciò che si guarda, già a partire dagli adulti! Tuttavia non esistono formule magiche o ricette per aprire gli occhi dei “veri protagonisti dell’educazione dei minori” ma invece di raccontarsi e di raccontare le vicende della propria famiglia online postando le foto dei propri figli, bisognerebbe aiutare a costruire l’identità di piccoli e grandi attraverso il dialogo e l’attenzione perchè Luì e Sofì non osservano ciò che accade dall’altro lato dello schermo.
Nel panorama educativo c’è ancora tanto da scoprire, ognuno deve fare la sua parte ma non chiedendo consiglio a influencer o youtuber dalle logiche talvolta perverse e prive di giudizio. Laddove le relazioni diventano sempre più rarefatte non dovremmo stupirci se un giorno o l’altro l’ultima challenge fosse quella della trasfigurazione alla stregua di Draco Malfoy, per gli appassionati di Harry Potter, o pubblicizzare per “lavoro da youtuber” un ectoplasma genitore da seminare in giardino per riempire distanze e fossati difficilmente colmabili.