
LUCIO TUFANO
Sempre tornano gradevoli i sapori
dei giorni lontani, in quella luce si perdono
le nostre grida e i colori.
Eravamo scolari col pennino impegnati
in un perenne discorso
di resa calligrafica.
Le rondini sfrecciavano garrendo,
nei trapezi delle piazze, la gioia della estate,
Un ramo di ciliegio in fiore
la scure minacciosa
la visione inventata
pei nostri giovani sogni,
una tenera primavera.
Eravamo scolari e ci chiamavano balilla
e la voce calava sulle piazze di luglio
allagate di sole,
il sole di cui si parlava, il sole d’Africa.
La nostra emigrazione aveva il casco,
calzava gli stivali,
e tra i bagliori le aquile, le aquile grigie,
sui ruderi bianchi di Roma imperiale.
“Duce, duce chi non saprà morir …?”
nei vicoli lunghi con le grondaie,
nei loro piccoli spazi di cielo,
cantavamo, spavaldi
del caldo giorno meridionale.
Eravamo i balilla
e nessuno ci disse di come scorreva la vita,
puntuali alla stagione che non era finita.
Ai rioni giungevano motivi di arie campagnole.
Era la sera dei fazzoletti
che si accendevano nelle trecce contadine.
Dai finestroni aperti
si proiettava il sole sulle lavagne.
I temperini scolpivano
sui logori banchi inchiostrati
i nostri nomi e le battaglie navali,
e tra i grembiuli,
le mosche nei calamai,
gli odorosi tepori
dei fioriti lillà.
Ma dove era infissa la ringhiera
vi nacque la malva,
ci perdevamo nel buio
ai richiami del “tingolo”.
Al verde sentimento
sfilava il reggimento.
Se ne andava il sorriso
dalla grigia tovaglia, la minestra cadeva
nel piatto dal piccolo mestolo,
intenti eravamo al bimbo
disegnato sul libro.
Ci sentivamo colpevoli per avere schiacciato
la lucertola verde e screziata,
la coda frenetica ci scagliava maledizioni:
“non sono stato io è stata la vecchia”
la vecchia che imprimeva
al nostro corpo smagrito i segni del malocchio.
Zanardelli dalla piazza
sui nostri giochi serali:
“Lucciola, lucciola vieni vicina
che ti dò il pane,
il pane del re e della regina
la scolastica cucina,
il pane del duce, la befana che cuce,
duce duce
come ci hai fatto arriduce
il giorno senza pane
la sera senza luce”!
Eravamo scolari e cantavamo
nell’ultima sera delle siepi.