CRONACHE DI CARTA – VIAGGIO NELL’UNIVERSO DELLA SCRITTURA – MARIA PINA CIANCIO E TRE FILI D’ATTESA
Il dono prezioso
Un dono che giunge prezioso Tre fili d’attesa di Maria Pina Ciancio, prezioso in ogni sua parte. Si presenta come un gioiello già con il rosso timbro di ceralacca e quel filo doppio che lega e nello stesso tempo libera l’emozione dell’attesa. Il rito dell’aprire quella sottile teca di parole è già un viaggio, perché essa, sì, la lettura, si nutre di altri tempi prima di divenire atto, uno di questi tempi, il prima, è, appunto, la curiosità e l’attesa, l’altro, il dopo, è l’acquietarsi dell’emozione prima che essa possa distendersi in parole che dicono parole. E’ in questa sospensione del tempo, nel prima e nel dopo, che la scrittura fattasi lettura e di nuovo scrittura incide come stilo acuto sulle nostre moderne tavolette, le pagine digitali segnate da inchiostri digitali, ma sempre pagine, che, così come ci ricorda il primo testo scritto nel nostro volgare, seminano e fanno germinare parole e insieme immagini, idee, valori, e tanto altro ancora: «se pareba boves / alba pratalia araba / et albo versorio teneba / et negro semen seminaba».
Tanto più pertinente questa citazione in relazione a Tre fili d’attesa, perché l’autrice volutamente ci rimanda alle lingue possibili dalle quali è scaturita la nostra lingua italiana, le lingue tagliate, le lingue rimandate ai margini, quelle che avrebbero potuto e dovuto rimanere lingue e invece sono oggi dialetti, per l’uso dei quali occorrerebbe addirittura cercare giustificazioni quando si arrogano il diritto di intrecciarsi alla lingua italiana in un contesto non colloquiale, ma letterario; certo non è il caso di Maria Pina Ciancio, che, nell’andirivieni di affondi nel passato e di ritorni al presente e fughe neppure tentate, ma possibili, nel futuro sulla “via che ci incontra”, non cerca giustificazioni a quest’intreccio, anzi ne esalta l’essenzialità espressiva e comunicativa nella sua naturalezza, laddove la situazione-immagine richiede d’essere tradotta nelle uniche parole possibili, quelle, appunto, della lingua affiorante dalle pieghe più profonde della propria identità.
La copertina del libro e l’illustrazione di Stefania Lubatti
Le undici pagine di Tre fili d’attesa sono scrigni di immagini fisse nelle memorie di un’infanzia e di un’adolescenza non individuali, ma collettive, i protagonisti e le protagoniste di queste avventure minime sono attori di eventi cosmici, la coperta rossa che fa da scena alla morte di Giacomino e al seccarsi del livato non è forse la metafora della nostra società, che, arcaica e primitiva da un alto, ipertecnologica e ipercolta dall’altro, è pur inchiodata all’inevitabilità della fine, la fine, oggi tanto più precoce, della nostra madre Terra, di cui neppure sappiamo assumerci la responsabilità.
Le immagini dolenti, a volte, crude, altre volte, sempre appassionate, sempre coscienti del dolore, della rassegnazione, della solitudine dei vecchi con la schiena stanca / appoggiata al muro delle case, che si raccontano storie condivise/di veglie e sogni mai saziati, incontrano la consapevolezza che tempi diversi non potranno mai incrociarsi: Padre e figlio s’incontrano a cena / intorno al tavolino / uno mastica lento, l’altro va di fretta / per non inciampare in quel tempo dilatato / e fermo negli occhi di suo padre /che straripa sul cuscino / disegnando rivoli di storie / e ombre inquiete sul suo viso
Questi tempi, dunque, non potranno mai incontrarsi, il tempo lento del passato mai incrocerà il tempo incalzante del presente?
La scrittura può farlo. Può farlo la poesia. Rendere possibili epifanie, visioni, dove domande e risposte attese o inattese si incrociano per “riannodare gli orli / sfilacciati del pensiero” è la motivazione profonda di “Tre fili d’attesa”, tre fili annodati al calendario del camino / : a bona sciorta / nn’u lavoro ca cunta / u capattiempo ca vene sempre chiù luntano” si annodano al altri fili, soprattutto a quello più tenace e indistruttibile nelle intenzioni della scrittrice: la memoria.
La buona sorte, un lavoro che vale, l’autunno che arriva sempre più tardi, – scrive nell’Introduzione Anna Maria Curci – espressi in tre versi nel dialetto del paese natale di Maria Pina Ciancio, San Severino Lucano, disegnano le coordinate del tempo dell’attesa tra destino, fatica, alternarsi delle stagioni. All’interno di queste coordinate, il balzo del cuore si volge avanti e indietro.
San Severino Lucano è lo scenario di queste storie minime, che ingigantiscono mentre le si legge, facendo scoprire l’eroico e l’epico de “i paesi d’inverno” lucani, ma anche di tanta parte del mondo.
Mai oleografiche le vie e le piazze di San Severino Lucano, mai retoriche le iuncturae poetiche, sempre dinamico il ritmo che scandisce il coro dei silenzi e delle voci che accomunano le persone, gli oggetti, gli animali. Maria Pina Ciancio presta la scena della sua terra d’origine, così come quella della sua sensibilità di poeta, al perenne e troppo spesso invisibile dramma della marginalità.
Tre fili d’attesa è anche una sfida editoriale, quella di Lucaniart, che dal digitale torna al cartaceo, pienamente in linea con il senso di questa raccolta poetica: sovvertire i concetti di minimo e massimo, di alto e basso, di grande e piccolo, di lontano e vicino, di possibile e impossibile: questo piccolissimo libro, infatti, arricchito da un’illustrazione di Stefania Lubatti, contiene un universo di umanità che chiede voce e cerca ascolto, pur consapevole della babele contemporanea.
Non escludo che queste mie parole possano rischiare di apparire retoriche a chi non ha letto Tre fili d’attesa, ma assolutamente non lo sono, e corro volentieri questo rischio.
Maria Pina Ciancio
Maria Pina Ciancio, di origine lucana, è nata in Svizzera nel 1965. Trascorre la sua infanzia tra la Svizzera e il Sud dell’Italia e da qualche anno vive nella zona dei Castelli Romani.
Viaggia fin da quand’era giovanissima alla scoperta dei luoghi interiori e dell’appartenenza, quelli solitamente trascurati dai grandi flussi turistici di massa, in un percorso di riappropriazione della propria identità e delle proprie radici. Ha pubblicato testi che spaziano dalla poesia, alla narrativa, alla saggistica. Tra i suoi lavori più recenti ricordiamo Il gatto e la falena (Premio Parola di Donna, 2003), La ragazza con la valigia (Ed. LietoColle, 2008), Storie minime e una poesia per Rocco Scotellaro (Fara Editore 2009), Assolo per mia madre (Edizioni L’Arca Felice, 2014), Tre fili d’attesa (Associazione Culturale LucaniArt 2022). Nel 2012 ha curato il volume antologico Scrittori & Scritture – Viaggio dentro i paesaggi interiori di 26 scrittori italiani. Suoi scritti e interventi critici sono ospitati in cataloghi, antologie e riviste di settore. Recentemente è stata inserita nelle collettive: Orchestra (a cura di Guido Oldani) LietoColle 2010; Il rumore delle parole – 28 poeti del Sud (a cura di Giorgio Linguaglossa), Edizioni EdiLet 2015, Sud – Viaggio nella poesia delle donne (a cura di Bonifacio Vincenzi) Edizioni Macabor 2017.
Con il libro “Storie Minime e una poesia per Rocco Scotellaro” nel 2015 ha vinto la X Edizione del Premio Letterario “Gaetano Cingari”; nel 2014 il Premio Internazionale della Migrazione – Attraverso L’Italia e il Premio Letterario Città di Cerchiara – Perla dello Jonio (con un testo tratto dalla raccolta); nel 2009 il Premio “Tremestieri Etneo” (Targa Antonio Corsaro).
Ha fatto parte di diverse giurie letterarie, è presente in numerosi cataloghi e riviste di settore.
Dal 2007 è presidente dell’Associazione Culturale LucaniArt ONLUS e su internet cura lo spazio web lucaniart.wordpress.com.