CRONACHE DI CARTA – VIAGGIO NELL’UNIVERSO DELLA SCRITTURA – DA “CI0′ CHE DICONO CHE IO SIA” A “CI0′ CHE DICO CHE IO SIA”, UN PERCORSO DI LUCIANA GALLO INSIEME A DONNE DEL MITO E DELLA LETTERATURA
Lorenza Colicigno
“Voci di donne” di Luciana Gallo, Edigrafema 2024, ci propone un percorso su un doppio binario, da un lato ciò che la tradizione iconografica e testuale ci ha consegnato della figura femminile, Chi dicono che io sia, dall’altro lo sguardo nuovo che si sta consapevolmente costruendo dal primo Novecento ad oggi, Chi dico che io sia; da una visione della donna, dunque, come specchio dell’uomo, dall’uomo stesso deformato, a una visione della donna dall’interno del suo essere, quindi non funzionale ad altro che a delinearne l’identità autentica e autonoma.
La copertina del libro “Voci di Donne” di Luciana Gallo
Per costruire questo percorso Gallo sceglie alcune figure esemplari: Eva, la serpenta; Lilith: la prima moglie di Adamo; Elena: la traditrice; Aspasia: l’etera; Penelope: la fedele; Didone: l’innamorata; Cleopatra: la lussuriosa; Beatrice: l’angelicata; Francesca da Rimini: l’infedele; Laura: l’indefinita; Fiammetta: l’adultera. Gallo apre la sua pubblicazione “Voci di donne” con una citazione significativa, da R. May, The cry for Myth: Il mito è un modo di portare senso in un mondo privo di senso. I miti sono strutture narrative che danno significato alla nostra esistenza. (…) I miti sono come le travi di una casa: non si vedono dall’esterno, ma costituiscono la struttura che la tiene in piedi e la rende abitabile.
E certamente in questa struttura, che va ben oltre il mito, continua a dominare la rappresentazione negativa della donna, rappresentazione che attraversa tutta la cultura pagana greco-romana e quella cristiana per parlare alla nostra cultura contemporanea nella quale, conseguentemente, non risulta per nulla acquisito, magari accettato in modo diffuso ma non profondo, che la donna in quanto essere umano abbia tutti i diritti, tra i quali quello di liberarsi dagli stereotipi, dai pregiudizi che la condizionano nello svolgimento dei ruoli sociali e privati; che la sua strada sia ancora lunga nel percorso verso il diritto reale e concreto di avere una voce propria e di essere ascoltata e rispettata nella sua autonomia, è l’idea diffusa che la colpevolizza ulteriormente, e cioè che sia sua la responsabilità, per molti la colpa, della cosiddetta “crisi del maschio”, e non piuttosto che tale crisi sia la conseguenza della difficoltà degli uomini a cedere parte del loro potere in nome di equilibrate relazioni di genere.
A chi vorrà leggere il libro senza condizionamenti ulteriori che possano nascere dal mio commento, propongo solo qualche spunto di riflessione da due ritratti particolarmente emblematici: quello di Eva e quello di Penelope.
Quello di Eva è il primo profilo che Gallo affronta, prendendo le mosse dalla cultura greca per affermare senza mezzi termini quale fosse l’idea della donna che l’ha attraversata, con le parole di Euripide nell’Ippolito: (…) Possiate morire! Non sarò mai sazio di maledire le donne, anche se qualcuno dice che lo ripeto sempre: esse infatti sono sempre scellerate.
Gallo riporta una documentazione che va oltre i miti greci, ripresi e resi ancora più rigidi dalla civiltà romana, approdando alla cultura cristiana. Significativo il riferimento a Tacita Muta, la ninfa Lala, che per il suo “troppo” parlare fu punita con il taglio della lingua da Giove, irritato dal fatto che avesse rivelato alla sorella Giuturna e a Giunone le mire che nutriva su di lei. Significative le parole di San Paolo, nella Prima lettera a Timoteo, Nuovo Testamento: “La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo a essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. Essa potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia. O ancora “Tu sei la porta del Demonio! Tu hai mangiato dell’albero proibito! Tu per prima hai disobbedito alla legge divina! Tu hai convinto Adamo, perché il Demonio non era abbastanza coraggioso per attaccarlo! Tu hai distrutto l’immagine di Dio, l’uomo! A causa di ciò che hai fatto, il Figlio di Dio è dovuto morire!”.
Tra le tante riflessioni e citazioni con cui Luciana Gallo dà voce ad Eva, che proclama il suo non riconoscersi nella visione costruita dalla tradizione patriarcale, meritano particolare attenzione sia la citazione da Oriana Fallaci: Avrai da batterti per spiegare che il peccato non nacque il giorno in cui Eva colse una mela; quel giorno nacque una splendida virtù chiamata disubbidienza, sia l’autorevolezza di Margherita Hack che scrive: La colpa di Eva è stata quella di voler conoscere, sperimentare, indagare con le proprie forze le leggi che regolano l’universo, la terra, il proprio corpo, di rifiutare l’insegnamento calato dall’alto. In una parola Eva rappresenta la curiosità della scienza contro la passiva accettazione della fede.
Adamo ed Eva nella rappresentazione di Tiziano, fissa nel gesto di Eva il destino dell’umanità. Ma, ci dice Luciana Gallo, è possibile un altro sguardo
Per quanto riguarda Penelope, significativi i versi dell’Odissea che pongono le basi della costruzione del topos della moglie fedele: (…) sì, dunque, tu hai fatto tua una sposa dotata di grande virtù: tanta saggezza di mente ha l’irreprensibile Penelope, figlia di Icario, così presente ebbe nella sua mente Ulisse, suo legittimo sposo. (Omero, Odissea, canto XXIV).
Penelope – scrive Luciana Gallo, rifacendosi anche a Pietro Citati (La mente colorata) – cresce all’ombra della cugina Elena, osannata fin da piccola per la sua bellezza. Ciò determina in lei una sorta di complesso di inferiorità che le impedisce di godere appieno delle gioie della giovinezza. La contrapposizione tra le due donne diventa uno stereotipo: Elena è incantevole e distruttrice, quanto Penelope, meno avvenente, saggia e accorta. È, però, meritevole di lode perché incarna l’ideale di donna, di moglie perfetta e fedele. “sono tua, devo essere considerata tua: io, Penelope, sarò sempre la sposa di Ulisse.”.
Penelope tesse la sua tela, immagine in wikimedia commons
Gallo sottolinea anche come lo stesso Omero proponga altri sguardi su Penelope, cogliendo la dimensione della sofferenza che la condizione di donna sola le comporta: “Oh se una morte così mite la pura Artemide subito ora mi desse, perché io non consumi ancora la vita con animo afflitto, rimpiangendo le tante virtù del caro marito, perché tra gli achei eccelleva”. (Omero, Odissea, XVIII, vv. 202-205).
Il nome di Penelope resta comunque ormai saldamente legato ai topoi della furbizia e della fedeltà, perché è in quest’ottica che il testo omerico ne propone la complessità psicologica, ad esempio, è la donna che si vergogna di andare da sola tra gli uomini (Omero, Odissea, XVIII, vv. 182-184), ma è anche colei che ha l’energia per redarguire i Proci che sperperano i beni della casa senza alcun rispetto, richiamandosi alla tradizione: “… non era questo una volta il costume dei pretendenti, che volevano fare la corte a una donna di nobile stirpe e figlia di un ricco, e tra loro competere, sono loro che portano i buoi e le pecore grasse ai parenti della fanciulla per il convito, e danno splendidi doni: ma non mangiano senza compenso la roba di un altro.” (Omero, Odissea, XVIII, vv. 275-280).
Nel dare voce a Penelope Gallo prosegue nel svelarne la complessità, sia attraverso il poeta Ovidio che nelle sue Heroides ci presenta l’immagine di una donna diversa da quella fedele e rimasta giovane per circa venti anni, grazie all’intervento di Atena, Ovidio, infatti, la rappresenta come una qualsiasi donna che fa drammaticamente i conti con lo scorrere inesorabile del tempo che modifica il suo aspetto fisico. Questo rivelarsi del tempo si ritrova anche nella riscrittura che della vicenda di Ulisse e Penelope ne fa Ghiannis Ritsos.
Nel componimento ‘La disperazione di Penelope’ – scrive Gallo – l’autore dà voce alla delusione che la donna prova nel rivedere dopo lungo tempo il marito. Evidente e deludente la differenza tra l’Ulisse atteso, rimasto nel ricordo ai vent’anni dalla partenza, e il vecchio che si trova di fronte. Sono l’uno specchio dell’altra: vent’anni perduti e irrecuperabili, ovviamente. Ritsos così interpreta la diffidenza o la prudenza o la freddezza di Penelope nel momento in cui le si presenta davanti, interpretazione che Gallo condivide: I suoi sogni, l’uomo che aveva atteso per tanti lunghi anni non esistevano più. Davanti ai suoi occhi c’è un uomo imbruttito dall’inesorabile scorrere del tempo ‘Per lui, dunque, aveva speso vent’anni, venti anni di attesa e di sogni, per quest’infelice, per questo vecchio grondante sangue?’.
Concludo queste note di commento, ma soprattutto di invito alla lettura di “Voci di donne” di Luciana Gallo, editrice Edigrafema, con una dichiarazione dell’autrice in relazione alle motivazione da cui il libro nasce, motivazioni che sono anch’esse un invito a leggere il libro, utile anche e soprattutto, a mio parere, nella logica del dialogo con le nuove generazioni su una rilettura critica della cultura greco-latina: Questo libro nasce per caso. Per quella forza che solo la creatività, la fantasia, la scrittura sono in grado di attivare. Comincia tutto in un uggioso pomeriggio di novembre. Ludovica, mia nipote, ultimo anno liceo classico, con fare disincantato, mi chiede: nonna cosa posso dire in un’intervista impossibile a Beatrice? E con quella sfrontatezza, che solo i ragazzi hanno, conoscendo il mio amore per la letteratura, mi dice: “Mamma, questi poeti! Per un semplice saluto sono capaci di imbastire un romanzo! Che poi siamo proprio sicuri che Beatrice fosse contenta di tutto questo amore angelicato?”Sollecitata da questa osservazione, comincio anch’io a pormi con insistenza la domanda. E se la storia che ci hanno sempre raccontato non fosse andata proprio così? L’idea, allora, era quella di cercare verità alternative, di cambiare punto di vista, di dar voce a dieci donne celebri che, ora in maniera ironica ora con lunghi flussi di coscienza, offrissero delle loro vicende un’interpretazione assolutamente personale, scrollandosi della patina arcaica di cui il mito le aveva ricoperte. Così Eva, Elena, Penelope, Aspasia, Didone, Cleopatra, Beatrice, Francesca da Rimini, Laura, Fiammetta, raccontano la vita che non è stata, il loro controcanto dettato dalla fantasia e dalle parole. Una storia antica, eppure ancora moderna, fatta di uomini che scambiano l’amore per il possesso, e di donne che ancora oggi faticano a costruirsi un’identità sociale e culturale.
Il libro è stato recentemente presentato nel Polo Bibliotecario di Potenza
e sarà presentato l’8 marzo a Pignola.
Luciana Gallo
Luciana Gallo in occasione della presentazione del suo libro a Potenza
Biografia
Già docente di materie letterarie nella Scuola Secondaria di primo grado. Esperta in metodologia e didattica, ha pubblicato vari saggi per i quali ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti, tra cui ScuolaProgetto, (Spaggiari, Parma, 2007); Indicazioni per il curricolo. Che fare? (Spaggiari, Parma, 2008). Le Nuove Indicazioni nazionali, (Spaggiari, Parma, 2013). Per la casa Editrice Simone ha pubblicato Lezioni di Italiano, storia e geografia per la prova orale del concorso a cattedra (2016) e curato il Manuale delle Metodologie e tecnologie didattiche (2024) È autrice di Ora di lettura, Antologia di Italiano per la Scuola Secondaria di primo grado, (Bulgarini, Firenze, 2011) e di Moda e mode, Model Edizioni, Potenza 2016 e del romanzo Ora come allora (Edigrafema, Matera, 2019).