IOLANDA CARELLA E SALVATORE SEBASTE
ABRIOLA
Dal latino medioevale brolium, selva circondata di muro o di altro, chiuso per l’esercizio della caccia del feudatario e quindi da Briolia, codesti parchi da caccia. Abriola risale al VI-V secolo a.C., durante l’immigrazione sannitica, ma sul territorio ci sono rarissime tracce d’epoca arcaica e romana per i danni del tempo e la noncuranza degli uomini. Fu roccaforte araba. Fu occupata dai Goti, dai Saraceni (che eressero la torre quadrata) e nel 907 dai Longobardi. Nel 1150 faceva parte della contea di Tricarico. Fu feudo di Gaimaro da Capaccio e, alla metà del XII secolo, passò ai Filangieri fino al 1519. Appartenne successivamente ai Caracciolo, al principe d’Oranges Filiberto Chalon, ad Antonio de Leyva, ai Sangro; di nuovo ai Caracciolo che nel 1758 lo cedettero ai baroni Federici di Montalbano, che dominarono fino all’eversione feudale. La storia, però, che si preferisce raccontare al forestiero, è quella legata al periodo del brigantaggio. Il paese, il 29 luglio 1809, fu assalito dalla banda di Scozzettino, che ammazzò il barone Federici, i suoi familiari e molti membri della corte perché schierati col governo francese di Napoli, contro i Borboni. I briganti decapitarono le vittime: esposero le teste nella piazza e bruciarono i loro corpi. Le persone anziane sostengono, ancora oggi, che nelle notti di fine luglio si sentono i lamenti degli estinti che ogni anno ritornano sul luogo dell’eccidio alla ricerca dei loro corpi.
Pochi resti mal conservati (fig. 1) rimangono del castello feudale.
Abriola è nota per aver dato i natali a Giovanni Todisco, pittore murale che emerse nel panorama artistico della regione alla metà del Cinquecento. Di matrice tardo-gotica, interpretò la cultura locale, ricercando la profondità e la costruzione dello spazio in un rapporto luce-colore, influenzato da Giovanni Luce e Simone da Firenze. Allievo di Aiello, ampliò le sue capacità attraverso la conoscenza delle stampe artistiche, forse studiate nella biblioteca del convento di Santa Maria d’Orsoleo, ove decorò nel 1545 il chiostro e firmò i suoi lavori.
Nacque ad Abriola anche Girolamo Todisco, figlio o nipote di Giovanni (pitt. doc. 1616- 1634). Molti dipinti non si sa se attribuirli a Giovanni o a Girolamo.
Interessante è la Chiesa Madre di Santa Maria Maggiore, edificata forse nel Duecento e ricostruita parzialmente nel Settecento. La facciata mostra un bel portale in pietra con la Porta di San Valentino (1998), in bronzo, realizzata da Antonio Masini. È caratterizzata da venti formelle raffiguranti episodi della vita di S. Valentino.
Nell’interno, a destra, si notano subito la tela dipinta ad olio del 1797 Madonna della Grazie, di Francesco Maugieri e in una nicchia la splendida scultura lignea policroma Madonna col Bambino del sec. XV. Raccolta è la figura della Madonna che prega, mentre il Bambino, disteso sulle ginocchia della Madre, consapevole della missione da svolgere come uomo sulla terra. É questa una realizzazione possente e grandiosa nella struttura di moderato equilibrio, senza esasperazioni formali tipiche del gotico; è un’opera in cui sono evidenti l’influsso poetico dell’artista e la suggestione delle forme classiche. Ancora a destra è l’acquasantiera, a vaschetta sostenuta da una mano, con due protomi di cherubini, spartite da un’aquila bicipite, attribuita recentemente a Francesco Antonio da Sicignano (il maestro di Noepoli, scultore lapideo XV-XVI secolo) o alla sua bottega. Quest’opera evidenzia un nitido senso del rilievo plastico, risolto da immagini che si colgono nei singoli particolari in un chiaro equilibrio compositivo. Sempre a destra sono la settecentesca scultura lignea policroma del protettore del paese (fig. 4) S. Valentino e la tela dipinta ad olio da Giovanni De Gregorio, detto il Pietrafesa.
Questo grande dipinto del 1622 Donazione della stola a S. Idelfonso, evidenzia la luce distribuita saggiamente in contrasto coll’addensarsi delle ombre, che sfiorano le superfici dei corpi. La luce ci fa pensare al Caravaggio, ma le esperienze naturalistiche e i valori luministici sono riproposti in una larga sintesi, con l’aspirazione di una composta eleganza formale e un raffinato cromatismo, inteso a rilevare ricercati accenti di grazia sentimentale.
Dietro l’altare centrale spicca un coro ligneo del XV secolo, d’autore ignoto, d’ottima fattura e ben conservato.
Alla sacrestia si accede dal portale in pietra dell’Ottocento, proveniente dal Convento dei Cappuccini. Dopo il restauro, effettuato dalla Soprintendenza ai Beni artistici della Basilicata, nella sacrestia è stata collocata la scultura del XIII o XIV secolo Madonna di Monteforte, benedicente, che ha in braccio il Bambino. Proviene dal Santuario di Monteforte. D’epoca bizantina, è in legno policromo dorato ed è inserita su un magnifico altare barocco (decorato anch’esso in oro) in un leggerissimo ed elaborato trono, arricchito lateralmente da teste d’angeli.
La figura imponente e severa della Vergine s’impone non come astratta figurazione simbolica, ma come vera presenza umana. La studiata articolazione della figura della Madonna e la morbida delicatezza del panneggio, decorato in oro, fanno emergere un’immagine elegante con un certo preziosismo formale.
All’ingresso, a sinistra, si trova la tela dipinta ad olio del Settecento Immacolata e Ss. Vito, Giovanni e Francesco, d’ignoto autore, ma di buona fattura. La Madonna sta, in alto e al centro, isolata dagli altri personaggi, con lo sfondo di un paesaggio. La luce illumina con forza la figura dell’Immacolata che schiaccia il maligno, mentre si attenua sul paesaggio e sui corpi dei santi che si trovano in basso, in primo piano.
Da visitare è l’antica Chiesetta di S. Gerardo. Nell’interno a sinistra, si notano gli affreschi del 1566: Madonna con Bambino (entro una piccola edicola) e (in alto e lateralmente) Eterno, due profeti e S. Elena, realizzati da Giovanni Todisco su affreschi medioevali, non ancora portati completamente alla luce. La Madonna col Bambino forse fu avviata da Giovanni e completata da Girolamo Todisco. Le delicate immagini sono dipinte con estrema vivacità e con commossa vena poetica. La studiata articolazione delle figure e la morbida delicatezza dei panneggi indicano un gusto, che si compiace dell’eleganza e di un certo preziosismo formale. Todisco, in questa opera, spazia nel tardogotico, inserisce segni leonardeschi – i riccioli del Bambino – ed evidenzia esperienza artistica e conoscenza della storia dell’arte.
Sull’altare centrale domina la scultura del periodo medioevale di S. Gerardo, in pietra, con la testa e le mani ricostruite in cartapesta e restaurato recentemente ‘alla buona’ dai giovani della parrocchia. Su un pilastro, a destra, v’è il dipinto murale di S. Antonio abate, realizzato da Rosaria Calcagno. La giovane pittrice di Abriola ha dipinto la figura eretta del santo e ai suoi piedi ha messo un porcellino in posa frontale. Le forme sono statiche e simmetriche, plasticamente dipinte, esposte alla luce cosmica.
Il Santuario di Monteforte sorge sulla sommità del monte omonimo. Originariamente la struttura muraria ed architettonica comprendeva un solo vano rettangolare, poi ampliato nel Cinquecento.
Nell’interno custodisce affreschi di Giovanni e Girolamo Todisco e di altri pittori locali di epoche diverse. Questi affreschi sono una raffigurazione simbolica dell’umanità, resa “creatura nuova” dal rapporto con Dio. I volti scavati, le figure scarne sono immobili, poiché la forma statica è segno della pace, mentre il movimento indica il legame con la terra. Il più antico di questi affreschi è il Christo Pantocrator, del 1050 nel catino absidale, ripreso da Giovanni Todisco. Gli affreschi da lui realizzati in questa chiesa fanno parte della sua produzione giovanile e costituiscono il ciclo mariano, tra cui l’Incoronazione della Madonna col Bambino e l’Annunciazione. In dette opere “innesta recuperi iconografici e stilistici da Simone da Firenze” ed inserisce le sottili vibrazioni delle spettacolari montagne abriolane.
Meravigliosa è la Chiesa dell’Annunziata che custodisce trentasei metri quadrati di affreschi, dipinti da Giovanni e Girolamo Todisco e da altri ignoti pittori. Bellissimo è pure il Paliotto, magnifica tarsia lignea del Settecento.
Bibliografia
- Giacomo Racioppi, Storia della Lucania e della Basilicata, Roma, Ermanno Loescher & , 1889. Ristampa anastatica, Matera, Grafica BMG.
- Angelo Lucano Larotonda e Rosario Palese, Potenza, una provin- cia di cento comuni, Milano, Arti Grafiche Motta, 1999
- Anna Grelle Iusco, Arte in Basilicata, Roma, De Luca Editore, 2001.