by ROCCO ROSA
A Scanzano andammo in centomila. Ci andammo perché molti di noi lucani sentivano sulla pelle il pericolo di una compromissione del territorio lucano, ma soprattutto perché la classe dirigente di allora aveva fatto di quella protesta l’occasione della vita per tornare ad affacciarsi sulla scena nazionale. La capacità di mobilitazione che ha la classe dirigente lucana è straordinaria: perché ,in una regione piccola dove le persone si conoscono ad una ad una, tutto è intrecciato con la politica. Non fai un segretario sindacale se non c’è il placet dei partiti che ci sono dietro, non fai un presidente di una Pro Loco o dell’associazione bocciofili, se non c’è l’ok da qualche parte. Le cose da allora ad oggi sono un po’ cambiate , non nel senso che la politica non è più invasiva nel tessuto sociale, ma perché la politica, allora rappresentata da un partito in piena sintonia con le istanze di cambiamento, oggi non è più la stessa e, divisa e rissosa, recita l’epilogo di una stagione che sta per finire. Queste divisioni però vengono percepite come il più grande pericolo al buon esito del Referendum antitrivelle del 17 aprile, perché c’è la sensazione che più che compattare il popolo, fare da guida, portarlo a votare, ci si voglia fermare a fare di quella giornata una occasione per saldare i conti interni . Se l’ottanta per cento dei lucani aventi diritto al voto non si reca alle urne , vuol dire che parte della classe politica ( istituzionale o partitica o associazionistica) ha messo in atto il vecchio adagio” andate avanti voi che a me vien da ridere”. Ed il bello di una regione piccola piccola è che essa è come un vicolo di comari: si sa tutto di tutti. E dunque si sappia che il popolo è ben disposto ad andare a votare per dire chiaro e forte che questo territorio non può essere più tormentato, vilipeso, stuprato. Non prendere in mano, da subito, il senso di un dovere di rappresentanza di questo sentiment popolare significa fare un grosso, grosso errore politico.