BERNARDINO DA BALVANO: IL “MARTELLO DEGLI ERETICI”

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Vito Telesca

DI VITO TELESCA

Nella prima metà del XVI secolo, tra Basilicata, Calabria e Puglia, si segnalava la presenza di un frate cappuccino che con il dono della parola riusciva a convertire e a disperdere gli eretici. Il suo nome era Bernardino, ma non sappiamo se questo fosse  il suo vero nome oppure il nome “da religioso”. Di lui si sa qualcosa grazie ai numerosi testi scritti che ci hanno tramandato la sua attività spirituale. Tra questi cito un documento contenuto nel carteggio relativo ai cappuccini della Provincia d’Otranto (1616-1659), ossia “Raccolta per le Croniche Cappuccine della Provincia d’Otranto” e numerose biografie scritte da frati cappuccini pugliesi come Emanuele da Francavilla Fontana (morto nel convento dei Cappuccini a Martina Franca nel 1770) e Salvatore da Valenzano (più recente, scritto nel 1935 circa). Nato a Balvano in provincia di Potenza, pare tra il 1490 e il 1495, dal suo paese natale prese la seconda parte del suo nome identificativo, ovvero Bernardino da Balvano. Dopo una prima infanzia passata nel suo paese decise di entrare a far parte di frati minori osservanti, presenti fin dal 1514 nel territorio potentino, probabilmente nel convento di Tito tra il 1520 e il 1530. La prima data certa relativa alla sua vita è datata 1533, anno del suo ingresso nell’Ordine impiantato in Terra d’Otranto ad opera di Tullio da Potenza. In questo periodo infatti si segnalano diversi transiti di frati dagli ordini classici di vecchia osservanza verso le congregazioni dei frati cappuccini. Per circa 10 anni Bernardino si dedicò alla predicazione mendicante ed itinerante nelle regioni del sud Italia, promuovendo e diffondendo la riforma francescana in corso. Il 17 ottobre 1543 fu eletto a Gravina quale ministro provinciale della provincia di San Gerolamo, ovvero l’organizzazione dei minori osservanti che univa parte della Puglia e la Basilicata orientale. La sua figura era ritenuta idonea a fronteggiare una grave crisi che si era abbattuta sull’ordine a causa dell’apostasia di Bernardino da Siena, ovvero il passaggio del vicario generale dell’ordine dei cappuccini (1542) che si trasferì tra i Calvinisti a Ginevra. Un terremoto che gettò nello sconforto l’intero ordine che quindi andava reindirizzato con personalità di sicuro affidamento. Bernardino da Balvano era uno di questi. Durante la sua attività alla guida della congregazione provinciale furono fondati tre conventi in Terra d’Otranto: a Galatina (1544), a Grottaglie nel 1546 e a Martina Franca (1546). Svolse l’ufficio di predicatore a Messina dal 1552-1556 e produsse opere mistiche, tra cui lo “Specchio di oratione”, sul modo di meditare i misteri di Cristo (1553) e l’ “Operetta nuova”, comprendente alcune prediche sulla predestinazione e sulla Concezione della Vergine (1561). Nel capitolo provinciale del 1554 tenutosi forse a Gerace, Bernardino fu eletto vicario provinciale di Reggio Calabria, carica che portò avanti solo per due anni perché decise di rinunciare per dedicarsi alla predicazione e alla lotta verso le eresie, venendo appellato come il “martello degli eretici”. Il 9 agosto 1560, durante il capitolo celebrato a Potenza, fu confermato in quella carica nella nuova Provincia della Lucania che contava allora 8 conventi e mantenne l’ufficio di vicario provinciale fino al 1562. Durante il periodo di provincialato, Bernardino si occupò del progresso di espansione territoriale e di sviluppo della Provincia. Da questa data in poi, oltre alle biografie nelle vite devote, si sa ben poco di lui. Durante una delle sue visite a Lecce, la cui data risulta ancora incerta per via di alcune abrasioni sui documenti di archivio (pare comunque nel 1553), Bernardino subì un agguato portato avanti dal capo di una setta eterodossa alle porte della città. Lo scontro si concluse con la vittoria del frate e l’estinzione del focolaio eretico con la dispersione della setta dal circondario. L’episodio è molto ben narrato, non senza enfasi miracolistica, da un documento conservato presso l’Archivio di Stato di Milano. Il testo narra che il “Priore” (Bernardino appunto) era di ritorno da una predicazione fatta a Lecce e stava rientrando in convento, quando “su la strada à punto in quella Cappella più vicina al luogo, e ventandosegli adosso con la spada sguainata per offenderlo gravemente, rimase come piacque à Dio, confuso, poiché opponendosegli il suddetto Priore virilmente benchè nõ fosse huomo d’armi, pur gli tolse la spada dagli mani, e compunto colui gli chiese poi perdono in ginocchioni, e fù caggione il sudetto Priore che la suddetta Congregatione nõ caminasse più avanti, anzi si distrusse poi, essendone stati castigati di molti“. L’aggressore pare si chiamasse Mastro Piutraro, che potrebbe anche essere un termine identificativo dialettale. All’epoca nel sud Italia il fenomeno eretico non era diffuso come nel centro nord d’Italia. Ma in compenso c’erano alcune aree, come in capitanata, dove agli eretici era garantita incolumità anche se non era consentito esporsi apertamente. Ad esempio uno dei nuclei più consistenti di valdesi giunti al Sud Italia si era stabilito nei primi anni del Cinquecento a Volturara Appula e aveva ottenuto uno statuto, emesso nel 1532, dalla duchessa di Ariano Beatrice Carafa e controfirmato nel 1536 da Carlo V. Essi vivevano nascondendo la loro fede e si confondevano con la popolazione cattolica locale, ben protetti dai signori del posto. Al di là delle ipotesi sul campo, piuttosto che Valdesi pare che l’aggressione leccese al frate lucano sia stata compiuta da un capo della comunità greco-ortodossa e greco-albanese in lotta con il clero latino per la propria sopravvivenza (vedi i numerosi scritti del Rodotà sull’argomento) nel sud Italia. Resta molto dubbiosa, infatti, la presenza valdese nel Salento nel XVI secolo. Bernardino da Balvano dopo questo episodio di miracolosa conversione e “dispersione” venne considerato un santo e durante la sua attività di predicatore gli vennero attribuiti  altri miracoli e il dono della profezia, purtroppo miracoli non citati da fonti certe. Morì in fama di santità a Potenza tra il 1568 e il 1570 riponendo nel cassetto della storia il suo “martello”.

 

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