LA BASILICATA DEI DIALETTI E LA REGIONE CHE NON HA MEMORIA

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ANNA MARIA SCARNATO

Passeggiando per le vie di Matera o attraversando Piazza Vittorio Veneto, non si può non notare gruppi di due o più persone che, sotto l’ombra di un albero o seduti alle panchine, parlino tra loro in dialetto materano. Rimbalzano le parole come note gravi. Risuonano per i passanti, paesani, turisti, gente della provincia. “M’foscn mel u jomm” (mi fanno male le gambe), diceva un uomo molto anziano ad un altro che rispondeva: “a maj na dì m’sona acchie’ sp’zzet da minz”( un giorno mi devono trovare spezzato a metà). Se sei della zona potresti cavartela a tradurre sapendo che nel dialetto materano c’è un cambio vocalico in cui le “i” si pronunciano “u” , le “u” “i”, le “a” diventano “e” oppure “o”. E allora ti diverti, a notare che jomm sta per jamm nella lingua dialettale magari bernaldese in cui la stessa espressione si pronuncerebbe così: ”m’ facn mal l’ jamm”. Per chi la lingua dialettale ce l’ha nella mente, sulla punta della lingua e nel cuore, udire voci in un altro vernacolo, è un piacere poiché racchiudono le radici di quel territorio, suscitano curiosità, ricordano il suono della voce di una mamma, ascoltata per prima alla nascita, della nonna che ”t’affassav” (ti fasciava) appena nato in modo da farti stare rigidamente disteso per impedire ogni movimento e impostare il corpo in posizione diritta, che “t’annacav”( ti cullava), recitando…”addurmisct, figgh, addurmisct nda cun, addurmisct ca’ bona frtun. Ven u’ suonn, non vol tardà, u’ figgh mij vol rpusà”(Addormentati, figlio, addormentati nella culla, addormentati con la buona fortuna. Viene il sonno, non vuole tardare, il figlio mio vuol riposare). Quante storie dietro i proverbi dialettali, quanta filosofia arcaica rimasta permanente nella struttura linguistica di un popolo tramandata
al di là del variare dei fenomeni! E quanta diversità all’interno di una stessa Regione! In Basilicata sono 131 i dialetti, quanti sono i comuni. A studiarli ci ha pensato la prof.ssa Patrizia Del Puente, docente di Glottologia e Linguistica dell’Unibas, la quale ha pubblicato il primo Atlante linguistico
della Basilicata nel 2007 per salvaguardare i dialetti lucani e, portandoli alla conoscenza di un Comitato scientifico mondiale, ha inteso ”portare il mondo in Basilicata”. Si potrebbe riassumere il suo impegno riconosciuto a livello nazionale e internazionale nelle parole dalla stessa Direttrice “il futuro della Regione è nel destino della Cultura”. Ovviamente non tutti avranno compreso l’importanza di queste parole che sono il cuore del C.I.D (Centro internazionale di Dialettologia) di cui la prof.ssa è Direttrice, la fortuna di avere tra le risorse dell’Ateneo lucano una professionista del suo livello. Ma 96 i comuni che chiedono al governo regionale di istituzionalizzare il CID e che hanno proposto su iniziativa popolare la legge per procedere all’istituzionalizzazione, al finanziamento e per porre fine alla precarietà della condizione dei docenti e ricercatori universitari, prima della scadenza del contratto. Possibile ci si chiede, seduti a bearsi dell’ascolto musicato di parole che nella città dei Sassi, Matera, capitale della cultura, non sono sprecate se accreditano il valore di un luogo riportato al riconoscimento del riscatto storico-culturale dei suoi luoghi e della sua gente, possibile che qualcuno sia recalcitrante all’iniziativa intrapresa dai comuni e delle 2 province? Come non finanziare un Corso di Studi e Ricerca linguistica se i dialetti sono la Cultura di un popolo, il respiro più intimo, l’orecchio del cuore che sussulta al suono delle parole che evocano tradizioni, contesti umani e cose? Da 4 anni il CID aspetta di essere “stabilizzato” e il percorso lungo costellato di successi riconosciuti non trova l’ arrivo. Il CID, questo ”Ponte tibetano”, lo definirei, grande “attrattore culturale” capace di dare emozioni, un legame con il tempo, una congiuntura cognitiva tra la Basilicata e il mondo, tra territori che parlano dialetti diversi, ma uniti da una forte identità culturale, quella lucana e non solo. Si sono svendute le risorse di questa terra, acqua, petrolio, ed ora, a fronte di poche migliaia di euro, tocca svendere uno tra i migliori prodotti della nostra cultura identitaria? A qualcuno non fa specie che il CID sparisca ed emigri anch’esso come i nostri figli? Il CID è orgoglio lucano che ha bisogno solamente di una giustificazione economica sicura e non più precaria, un degno posto nelle voci di un bilancio regionale. Più che vivere di sussistenza grazie ad una cordata condivisa dai Comuni proponenti e dalle due Province, più simile alla raccolta fondi per le emergenze con chiamate al 455….., Il CID merita un riconoscimento da parte della Regione Basilicata e la condivisione dello stesso Ateneo. Ormai, anche fuori dal territorio lucano, la questione è conosciuta. Qui sotto si riportano due dei tanti commenti a riguardo e che convincono sempre più che la lingua dialettale non è morta, è viva nelle case, nelle piazze e nelle scuole che la prof.ssa Del Puente ha raggiunto con sacrificio e per amore verso la nostra terra e la sua cultura. Il
dialetto…. ponte tra i territori da “attraversare”, da conoscere per scoprire le caratteristiche linguistiche, per scoprire che la “callara” è lo stesso recipiente che in Galles è “Kallar”, a Terni è “callaru” e a Treviso è “Calara”, per scoprire che nel tempo le lingue volgari dei popoli si sono contaminate e appartengono in parte a tutte le genti. I dialetti sono “fratelli, o meglio definibili fratellastri. Ai giovani va trasmesso il ricco patrimonio linguistico (131 dialetti) di cui la Lucania può vantarsi. Con la speranza che l’operosità al di sopra dei colori politici di appartenenza dimostrata sempre dalla consigliera regionale Dina Sileo, il suo amore per la cultura e la nostra terra, “contamini” gli altri nella volontà vera di affrontare seriamente questo tema importante. A tutto questo penso, bevendo un amaro caffè in piazza Vittorio Veneto a Matera. Sulla spalla di un anziano signore scende qualcosa dai rami di un albero tra i tanti che ornano la bellissima piazza, una
macchia sulla giacca è subito notata. Il vecchietto ride e dice: ”O Crst’m, non sapav addov jer affrnasc chessa frtn. Prepri ncudd a ma” (O Cristo mio, non sapeva dove andare a finire questa fortuna, proprio addosso a me), riferendosi alla cacca di uno dei tanti uccelli che abitano la piazza, incuranti della gente e i cui escrementi che colpiscono sono ritenuti portafortuna. E il dialetto continua ad essere …..il mio diletto. E l’avvenimento porti realmente un esito positivo.

Prof.ssa lucana Nada Fugaroli
“In passato, ho consultato con gli alunni l’Atlante dei dialetti lucani e lo consideravo un prezioso scrigno di
valori celati dietro le parole. Anche ora mi piace rovistare in quello scrigno alla ricerca di termini familiari
che mi riportano indietro nel tempo, mi ricordano cose, situazioni, esperienze di vita. Non si tratta solo di un nostalgico ritorno al passato, ma è un rivivere le usanze, le tradizioni, è un ritrovare le proprie radici, le voci di chi non c’è più. Quanto ho apprezzato la prof.ssa Del Puente che ha sapientemente lavorato per custodir  l’anima della Lucania salvando il patrimonio linguistico della mia terra! E quanto ora mi sbalordisce chi, pur potendo, non si adopera per far crescere iniziative culturali legate al dialetto o addirittura le ostacola. Che pensare!? So soltanto che da lucana mi sentirei ferita, impoverita, tradita……se si dovesse perdere l’opportunità di Istituzionalizzare il Centro internazionale di dialettologia all’Università di Basilicata, già punto di riferimento di Ricercatori e Università internazionali”.

Prof.ssa Maria Grazia Aurini -Antropologa culturale- Presidente Accademia dei Filomartani-Terni

Sono in pensione dal 2009… ma mi sono interessata di dialettologia perché negli anni di Università ho seguito con molto interesse i corsi di Antropologia Culturale, disciplina in cui poi mi sono laureata con una tesi sperimentale sui problemi della scuola dell’obbligo nella realtà ternana al termine di quel primo triennio 1963-66, che suscitò polemiche e perplessità. Vivo in questa città da quando avevo 2 anni…ma ho radici sparse in molte regioni d’Italia…(ed anche oltre) delle quali posso dire di comprendere quasi tutti i dialetti..Dico comprendere e non “parlare”..perchè si tratta di 2 abilità molto diverse. La stessa cosa mi è capitata nei miei frequenti soggiorni presso altre scuole europee per i Progetti Comenius/Erasmus..nei quali spesso il tema di ricerca verteva proprio sul recupero dei dialetti, sui diversi registri linguistici e sui linguaggi settoriali (quest’ultimo tema per i ragazzi delle Superiori, perché richiede competenze più elevate anche nella lingua madre). Ho fatto parte della Commissione Ministeriale per l’Istruzione condivisa di un Portfolio europeo, che è stato, poi, validato a Bruxelles. Tutto questo per far capire come io sia abituata a considerare ogni dialetto come una ricchezza che non deve andare perduta, perché ha una dignità, spesso anche letteraria, una freschezza e una spontaneità che la comune “lingua d’uso” non può avere. Non vorrei che i vostri politici interpretassero lo studio dei dialetti come una sorta di ritorno al passato, tout-court, senza operare confronti con la lingua ufficiale, senza riflessioni sulla grammatica che pure ogni dialetto possiede per guidare i ragazzi ad una continua comparazione con la lingua italiana e con altre lingue europee… Il mio prof. d’inglese del Ginnasio si appassionò allo studio delle varie migrazioni dei Celti in Europa e in Italia, fino ad elaborare una teoria che proponeva origini celtiche per la città di Terni (che l’Università di Perugia bocciò), partendo dalla constatazione, fatta durante un suo viaggio in Galles, che la famiglia che lo ospitava chiamava Kallar il recipiente che in dialetto ternano si chiama callaru…cioè il paiolo dove si cuoce la polenta al fuoco del camino!.Questo avveniva negli ani ’60…ma l’estate scorsa,trovandomi in provincia di Treviso da parenti di mio genero Luca, ho sentito la signora definire Calara lo stesso recipiente. Allora i dialetti uniscono o dividono?!! A proposito voi lucani come chiamate quel recipiente?…Stabilita l’importanza e la validità della conoscenza e dello studio del proprio dialetto, va ribadita la capacità di esprimersi in corretto italiano scritto e parlato che deve essere l’obiettivo primario di ogni ordine di scuola per tutta la popolazione, altrimenti si torna alla Torre di Babele. Questo spunto è sempre presente e, sicuramente, offre ad alcuni politici di mentalità ristretta l’opportunità di respingere ogni tentativo di coltivare lo studio dei dialetti…., soprattutto quando alluvioni, cataclismi, terremoti, prosciugano la gran parte dei fondi pubblici e di fronte all’urgenza dei soccorsi, la cultura passa sempre all’ultimo posto. Posso aggiungere che anche la Società Dante Alighieri nelle sue linee programmatiche per il 2023 ha indicato a tutti i suoi Comitati nazionali e internazionali (io faccio parte di quelo di Terni) di coltivare lo studio approfondito dei dialetti, come patrimonio culturale da non disperdere. Io ho proposto al Direttivo un progetto dal titolo ”Chi non ha memoria non ha futuro”, per le Scuole di ogni ordine e grado. I progetti di ricerca non devono essere bloccati né considerati “non socialmente utili”. Favorire i professionisti che sono persone soddisfatte del proprio lavoro e desiderose di farlo conoscere ed apprezzare dagli altri, favorire il ”benessere” della popolazione dovrebbro essere obiettivi su cui investire. Il mio contributo per la bellissima vostra terra di Basilicata” M.G.Aurini

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