CRONACHE DAL METAVERSO – CON MATTEO MALATINI NAVIGHIAMO TRA INTELLIGENZA ARTIFICIALE, RELAZIONI INTERGENERAZIONALI E CONNESSIONI CON L’ARTE
Lorenza Colicigno
Con Matteo Malatini parliamo di Intelligenza Artificiale. Matteo è consulente in comunicazione e innovazione digitale per aziende ed enti pubblici. Entrando subito nella questione, cominciamo col dire che, mentre plaudiamo alle potenzialità dell’IA o AI (in Inglese) negli ambiti scientifici e medici, per il supporto alla formazione dei chirurghi e per le applicazioni in interventi operatori di particolare difficoltà, e al contempo non ci meravigliamo se l’IA ci rende possibili viaggi nelle profondità del cosmo o se favorisce il progresso dell’industria e del marketing in generale riducendo il “peso” fisico del lavoro, quando entra in gioco la “creatività” tutto cambia. Prima di affrontare questo aspetto specifico del tema IA, chiediamo a Matteo Malatini di parlarci un po’ di sé e del suo lavoro in merito all’intelligenza artificiale.
Matteo Malatini
Mi occupo di comunicazione digitale e, soprattutto negli ultimi anni, sto approfondendo molto tutto ciò che concerne lo sviluppo del cosiddetto web 3.0. Mi interessa quindi esplorare come, ad esempio, la realtà virtuale e la realtà aumentata possano essere di concreto aiuto per la promozione delle aziende (anche delle piccole aziende), o come queste tecnologie possano essere impiegate per raccontare e valorizzare la cultura, il turismo e il territorio. Sto sperimentando anche soluzioni che coinvolgono il nascente, e per molti aspetti controverso, metaverso. Per quanto invece concerne l’utilizzo dell’intelligenza artificiale sono molto operativo nel settore della AI generativa, ovvero di tutti quegli strumenti che consentono la creazione di contenuti multimediali, in modo particolare immagini e video.
Quali sono, secondo lei, le conseguenze della possibilità di “affidarsi” all’IA per cercare la soluzione a qualunque esigenza?
Almeno per il momento, e aggiungo per fortuna, siamo ancora lontani dal poter delegare qualsiasi esigenza all’intelligenza artificiale, ma è certamente un tema che va considerato con estrema serietà e attenzione. Personalmente credo che l’approccio corretto da esercitare nei confronti delle nuove tecnologie sia quello di mantenere un sano equilibrio critico, ovvero valutare in maniera onesta pro e contro, rischi e opportunità. Questo perché se da un lato sono innegabili i vantaggi offerti dall’evoluzione digitale, dall’altro lato è altrettanto vero che il digitale presenta delle criticità, perciò come individui e come società è necessario interrogarsi a fondo su quale sia la strada migliore da percorrere, soprattutto per ciò che riguarda l’intelligenza artificiale. Quello che forse, più o meno consapevolmente, spaventa dell’intelligenza artificiale (almeno di quella generativa) è la capacità di creare delle immagini altamente verosimili con estrema facilità e velocità. Gli esseri umani basano il proprio vissuto sulla creazione e condivisione di immagini: la nostra memoria, la nostra comunicazione, la storia, finanche le nostre emozioni si basano su immagini. Ecco allora che trovarsi di fronte a macchine, a software capaci di sostituirci in questo atto creativo spaventa perché mette fortemente in discussione la nostra umanità.
Locandina evento virtuale organizzato da Museo del Metaverso
Come ci si può allora tutelare nei confronti dell’intelligenza artificiale così da “sfruttarla” nel migliore dei modi?
Una cosa è certa: l’intelligenza artificiale è qui per restare e la sua evoluzione andrà sempre più velocemente. Restando nel terreno che mi compete, ovvero il settore della comunicazione digitale, nel giro di un paio d’anni sono nate centinaia, se non migliaia di app di intelligenza artificiale, app che sono a disposizione di chiunque e che permettono, in maniera gratuita o con costi decisamente abbordabili, di svolgere compiti e funzioni creative complesse in pochissimo tempo e con relativa facilità. Perciò di fronte a questa velocità e a questa diffusione di massa dell’intelligenza artificiale diventa urgente la necessità di darci delle regole comuni di utilizzo e di educarci a un uso consapevole della tecnologia digitale. È fondamentale che tali strumenti restino, per l’appunto, strumenti al servizio dell’uomo, un mezzo e non un fine, perché certamente non è auspicabile un quotidiano in cui il pensiero creativo e critico sia totalmente delegato alle macchine. L’umano deve restare al centro. L’intelligenza artificiale offre orizzonti di grandi opportunità, orizzonti in cui è però imprescindibile che la tecnica viaggi di pari passo con l’etica.Se come società saremo capaci di trovare questo equilibrio allora riusciremo a usare il digitale e l’intelligenza artificiale in maniera prudente e costruttiva.
Matteo Malatini in versione avatar durante l’evento virtuale organizzato da Museo del Metaverso
Lei è impegnato anche nel mondo della formazione e della divulgazione tramite corsi ed eventi come nel caso del recente incontro intitolato “Intelligenza Artificiale, verso l’umano ma non troppo”, promosso dall’Accademia di Belle Arti e Design di Ancona, con il coinvolgimento dell’Ordine degli Psicologi delle Marche e dell’Ordine dei Giornalisti delle Marche, o come nel caso dell’evento virtuale promosso da Museo del Metaverso a cui relatori e pubblico hanno partecipato sotto forma di avatar 3D. Qual è l’atteggiamento dei più giovani nei confronti delle nuove tecnologie digitali? C’è il rischio che si crei una incomunicabilità insanabile tra nuove e vecchie generazioni?
Parlando in termini generali, le difficoltà che spesso un adulto incontra nell’approccio alle nuove tecnologie digitali sono difficoltà di tipo tecnico, cioè difficoltà nell’utilizzo pratico di certe funzionalità. I più giovani ovviamente dimostrano una maggiore naturalezza nell’approcciare il digitale, poiché quest’ultimo fa parte del loro quotidiano praticamente da quando sono nati. La differenza sostanziale però, che vale la pena di approfondire, tra nuove e vecchie generazioni nell’avvicinamento al digitale, non è tanto una differenza dal punto di vista di utilizzo pratico, quanto piuttosto di consapevolezza. Volendo sintetizzare il concetto in maniera semplice, mentre un adulto (chi come me è nato prima del 1990) ha consapevolezza di un mondo precedente alla diffusione di Internet, un giovane (un nativo digitale) non ha, per ovvi motivi anagrafici, questa consapevolezza. Ciò significa che nuove e vecchie generazioni hanno una grammatica di riferimento diversa, e dunque adottano un linguaggio di riferimento diverso. Certamente tale diversità di linguaggio si traduce in un differente modo di interpretazione della realtà e può altresì tradursi in difficoltà di comunicazione tra differenti generazioni. È necessario quindi sensibilizzare ed educarci alle buone pratiche di utilizzo del digitale, così da sviluppare a livello collettivo un atteggiamento sano e costruttivo verso le nuove tecnologie.
Ultimamente si parla molto di intelligenza artificiale applicata all’arte. Qual è secondo lei il rapporto tra IA o AI e arte?
Mostra d’arte virtuale ideata da Matteo Malatini su piattaforma Voxels con opere di Marco Marilungo
Nel rispondere a questa domanda esco un po’ dal mio ambito di competenza, ma provo comunque a dare il mio punto di vista. La storia della AI art risale ai primi anni Novanta con le sperimentazioni proposte da artisti come il britannico Harold Cohen (creatore del software AARON). Cohen ha ideato il progetto “Dreamscape” durante il quale ha generato arte basata sui sogni delle persone grazie all’utilizzo di reti neurali artificiali. Un esperimento tra arte e tecnologia riproposto nel 2018 dall’artista giapponese Hachimaki che, utilizzando programmi come Google Deep Dream Generator e TensorFlow, ha addestrato l’intelligenza artificiale a “sognare” una serie di immagini surreali intitolata “Deep Dream Art”. Sicuramente il connubio tra intelligenza artificiale e arte è un tema molto controverso e divisivo. Nel dibattito pubblico noto una forte polarizzazione tra chi categoricamente rifiuta di considerare l’intelligenza artificiale una forma d’arte e chi, al contrario, ne esplora le potenzialità artistiche. Non entro nel merito di questa polarizzazione, ma mi limito a osservare quelle che sono alcune interessanti provocazioni sollevate dal connubio arte-AI: ad esempio, se l’immagine è generata da un software, chi ha più diritto di essere considerato “artista”, colui che ha programmato il software capace di generare immagini, o colui che ha scritto il prompt (il comando da inserire nel software)? O addirittura, estremizzando il concetto, potrebbe essere considerato “artista” il software stesso che ha compiuto l’atto generativo? O ancora, è possibile per un artista comunicare le proprie emozioni tramite l’utilizzo di una macchina che crea immagini? L’arte è emozione. Certamente la macchina non mette emozione in ciò che fa. L’emozione certamente però la mette (potremmo dire la crea?) chi guarda l’opera. Allora magari si potrebbe affermare che c’è un rovesciamento dell’atto artistico, dove il gesto artistico non è compiuto dal creatore dell’immagine ma da chi prova emozioni osservandola? Forse ben presto ci stancheremo della “perfezione” delle immagini generate da intelligenza artificiale, ne saremo assuefatti. Del resto è già successo nella comunicazione pubblicitaria: negli ultimi quindici/venti anni, agli spot pubblicitari patinati e poco credibili, abbiamo iniziato a preferire la comunicazione “sporca” e “imperfetta” dei social media e degli influencer. Anche in questo caso allora, a mio modo di vedere, l’atteggiamento migliore è quello di continuare a considerare l’intelligenza artificiale un mezzo e non un fine e utilizzarla come uno dei tanti strumenti a nostra disposizione con cui fare ciò che ci rende umani: raccontare storie per condividere emozioni. Una macchina, per quanto evoluta, non sarà mai capace di emozionarsi. Nella migliore (o peggiore?) delle ipotesi potrà imparare a simulare, a rappresentare una emozione, ma non potrà emozionarsi davvero.
Mostra fotografica virtuale ideata da Matteo Malatini con fotografie di Henry Ruggeri,
fotografo ufficiale Virgin Radio
Dopotutto “intelligenza”, dal latino “intus legere”, significa letteralmente “leggere dentro le cose, leggere in profondità” e una intelligenza artificiale, per definizione, non può esprimersi in una lettura autentica del mondo e dell’umano, ma può piuttosto soltanto “leggere in superficie” ciò che artificialmente è stata addestrata a riconoscere. Insomma, gli strumenti e i linguaggi messi a disposizione dalle nuove tecnologie sono tantissimi, strumenti molto potenti e da maneggiare sempre con grande cura. Senza paura, ma con consapevolezza!
Grazie a Matteo Malatini per le sue considerazioni sui rapporti tra generazioni diverse in relazione alle nuove tecnologie e su arte e intelligenza artificiale. Argomenti interessanti che coinvolgono tutti e tutte noi. Chi volesse contribuire con le proprie riflessioni su tematiche specifiche relative al metaverso può comunicarmelo, in questa rubrica troverà sempre un ambiente aperto alla discussione.
2 commenti
Interessantissima intervista, gli spunti di riflessione sono molti, particolarmente importante per me il rapporto fra Art e IA. Sembra che la legislazione attribuisca la proprietà dell’opera e il diritto d’autore al creatore e non al proprietario del programma AI, tuttavia La Cassazione ha messo un paletto, riconosce il diritto d’autore di un’opera generata dall’AI a patto che nell’opera vi sia stato un significativo intervento dell’artista stesso. Per fare un esempio, l’artista che rielabora l’immagine generata mediante un programma di grafica oppure anche manualmente, si può definire autore dell’opera.
Grazie, Rosanna Galvani, per il riferimento alla corrente legislazione in merito al diritto d’autore si immagini Ai.