Si fa spesso confusione: Stefano Fassina non è rossobruno. Non è sovranista la sua nuova associazione, Patria e Costituzione. Non è populismo di sinistra, insomma, rilanciare una critica all’Europa e ai temi dell’austerity. Checché ne dica la stampa più gettonata.
Stefano Fassina è stato eletto con il Partito Democratico nel 2013, uscendone tempo dopo (con un’esperienza da viceministro dell’Economia all’attivo). Nel corso degli anni ha rielaborato le sue posizioni sull’euro e sull’Europa, spostandosi verso una critica sempre più definita dei trattati europei. Fassina d’altronde è un economista di rilievo e intrattiene da tempo rapporti con gran parte del mondo neosocialista europeo: fu lui a firmare, assieme a Varoufakis e Melenchon, il primo appello internazionale per un Piano B.
Ma si fa presto a confondere, affogati dallo champagne e dal caviale, l’impegno di questa nuova corrente con la politica giallo-verde. D’altronde la carta stampata più raffinata e le parti più alte dell’economia sembrano ignorare tutti i campanelli d’allarme che tanti economisti di rilievo lanciano in continuazione. La costruzione dei trattati europei crea squilibri macroeconomici e ha esasperato le disuguaglianze continentali. Questo quadro preoccupante crea disagio e malessere nella società, che la sinistra rifiuta di interpretare.
Che il perimetro europeo eroda le competenze degli Stati, gestite da Parlamenti democraticamente eletti, trasferendole a istituzioni tecnocratiche e fuori dal controllo dei cittadini, questo è vero. Dopotutto la concezione economicistica dell’UE si fonda proprio su questo. Togliamo potere ai cittadini e alla dialettica democratica, che si basa spesso su sbandate demagogiche e su interessi di parte. Allochiamolo invece a personalità indipendenti che saranno capaci di fare la cosa giusta in base a leggi scientifiche economiche. Peccato che Barroso sia stato assunto alla Goldman Sachs, la Troika chieda scusa alla Grecia e la BCE abbia ammesso che tutti i moltiplicatori (stimati vicini allo 0) coi quali aveva calcolato gli effetti negativi della contrazione della spesa pubblica erano sbagliati. Di indipendenza, bene comune e scientificità, c’è ben poco.
Tante volte l’abbiamo detto: normale che il popolo si aggreghi a un’opzione sovranista quando ha paura del potere catturato dalla tecnica, normale che il popolo si aggreghi a un’opzione nazionalista quando la tecnica sfrutta la dimensione sovranazionale per aggredire il popolo.
Ma Fassina e la sua Patria e Costituzione non rappresenta nulla di tutto questo. La proposta politica di Fassina non è mai stata rosso-bruna: cioè non ha mai coniugato socialismo e nazionalismo. Siamo bel lungi da una revisione del «socialismo in un solo Paese», trasfuso in logiche identitarie e politiche estere pragmatiche.
Fassina, come molti altri politici di sinistra d’Europa, si propone di recuperare il senso patriottico che serve agli italiani per sentirsi comunità. Sentirsi comunità è un presupposto ineludibile per costruire politiche di solidarietà e mutualismo. Politiche che ovviamente si fondano sulla Costituzione, «la più bella del mondo», di gran lunga più progressista di tutti i Trattati europei. Basta dare uno sguardo agli articoli 41, 42 e 43 per capire che la disciplina di dettaglio imposta a livello continentale contrasta con un impianto di politica economica interventista e pervasiva delineato dalla nostra Costituzione.
In sintesi, Patria e Costituzione non propone nulla di nazionalista o di sovranista. Si propone di diffondere in Italia una proposta politica tesa a creare un’Europa democratica, governabile dalla politica e dai cittadini, in cui sia possibile ripristinare un’alternativa tra socialisti e conservatori al posto del dogma neoliberale in cui nessuno crede più. Patria e Costituzione è il tentativo di costruire una proposta di sinistra che sgonfi ed elimini il cancro del neonazionalismo dal palcoscenico politico attuale, ridando alle classi medie e basse la speranza di credere in un mondo migliore senza per questo sfasciare l’Europa esistente.
L’alternatività tra Piano A e Piano B la spiega benissimo Jean-Luc Melenchon, leader popolarissimo di France Insoumise. L’idea di base è costruire questa nuova Europa al servizio dei popoli, nella quale le opzioni socialdemocratiche tradizionali trovino di nuovo il posto che meritano. E in caso si riceva un no in risposta, «lo faremo lo stesso». Il Piano B dunque diventa una nuova rivoluzione politica, un nuovo canale di emancipazione delle folle e delle masse che nulla ha a che vedere con i piani folli dei sovranisti di destra. Un’arma potentissima che può rovesciare il tavolo delle trattative politiche e affermare un’idea di sinistra, di Paese e di Europa in cui si possa davvero credere e sperare.
Gli unici a non capirlo sono coloro che, dall’alto del loro drink alla papaya, blaterando di società aperte, virtù del mercato libero, totale arbitrio dell’individuo svincolato dalla società e fronti repubblicani e progressisti di varia natura, continuano a credersi di sinistra e a fare gli interessi dell’1% e di tutte le classi alte. Dei padroni, insomma.