LA DEMOCRAZIA È PANE PER QUALI DENTI?

LUCIO TUFANO
Non valga lo sfottò dei mangiapreti rossi, dei primi Mefistofele in abito grigio. Che il ricavato delle feste salvi anche le loro anime e le loro botteghe. Due sono le vergini eteree, la libertà e la giustizia, cui non si può accoppiare l’inganno e la bugia, la demagogia della mancata pietà e la tavola di salvezza delle Leghe.
La democrazia è pane per quali denti?
Sulla scia di tale interrogativo, or mai altrove divenuto programma e azione della nascente vita dei partiti e del movimento dei lavoratori, uno sciopero della Società di illuminazione getta luce oscura (dipende dai punti di vista) sui giorni della vita quotidiana e della condizione collettiva. In discussione sono i denti di carie per via di una errata, privata o opulenta supernutrizione o per via di un cattivo funzionamento dello stomaco e dell’apparato. Ma potrebbe essere la pancia, la tasca, il desco, il muro, il bancone, il cartellino dei prezzi e quello del qui non si fa credito, le foto infilate sulle bacchette che reggono lo specchio arruginito del comò.
Per don Giustino è una purga l’emigrazione che, scemato quaggiù di un quarto il numero degli omicidi, ha reso meno frequente l’abigeato, ha liquidato la vergognosa piaga del brigantaggio, ha reso via via più rade le sanguinose rivolte dei ceti rurali, mentre è invece ancora e solo tracoma, infezione oftalmica che minaccia la vista di gran parte del Mezzogiorno ed è desiderio insoddisfatto, bisogno impellente di alfabeto, del grado infimo del potere: la vista, la conoscenza dei problemi, primo stadio di un potere delle masse per giungere a quello della denuncia.
Il dibattito dunque prende le sue mosse dagli occhi malati di fame e che non riescono a vedere neppure la graduale trasformazione del loro stesso lavoro. L’emigrazione non ricicla la misera economia del risparmio, non investe in un progetto diverso da quel piccolo podere della zappa e della vanga, servitù del fitto e dell’acquisto, e che ha costituito, per generazioni, la destinazione dei sogni e la ubriacatura del riscatto: l’utopia della vigna. È questa che li vede far ressa nelle cantine, imbambolati dalle botti grandi come case, dove, ossessionati dalla impotenza fisica di diventare padroni, tentano, di bicchiere in bicchiere, di tracannare gli ettolitri di sudore, convinti di ridiventare d’un tratto i padroni. Un rito che li pone al riparo anche dalla malaria e dalle molte anemie.
Per questo agli elettrici saltano le valvole, così, sic et simpliciter, anche se qualcuno su La Provincia, per evitare un corto circuito, ricorre agli isolanti, alle minacce e all’arma a doppio taglio.
In teatro Le bufere. «Non ci si potrà lamentare, se lo si diserta, che poi non ci sono divertimenti, anche perché si sono pressoché eseguiti tutti i lavori di trasformazione dell’impianto di illuminazione».
Concittadini, amici, funzionali, politici, senza distinzioni di classe o di partito, al di sopra di ogni idea, brindiamo tutti, tutti e centotrenta i coperti, in onore del prof. Ettore Ciccotti, figlio di Potenza e di tutti coloro che lavorano e lottano con sincera convinzione per il trionfo della giustizia e il bene del paese. Tutti insieme al banchetto dell’Appennino per le ostriche, la brandiniera d’erbe, la spi- nola con salsa tartara, gli asparagi all’inglese, l’arrosto di dindo con insalata verde, per la bontà della cucina che risponde a tutte le esigenze.