
Marco Di Geronimo
Votare No al referendum del 20 e del 21 settembre è una scelta di responsabilità che respinge al mittente le proposte demagogiche di una classe politica incapace e impone al Parlamento di dedicarsi a riforme più serie, più ragionate e più condivise. Il taglio dei parlamentari non risolve né attenua alcun problema della nostra democrazia: rischia invece di aggravarne i preesistenti, senza alcuna garanzia di un bilanciamento successivo.
Queste in sintesi le ragioni che spingono milioni di elettori a votare No e che consigliano a tutti i partiti di non spendersi in una inutile quanto sgarrupata campagna per il Sì. Oltre alle figure barbine dei sostenitori della riforma che disertano i confronti televisivi, non siamo riusciti a ottenere molti argomenti sensati nel dibattito pubblico di questi mesi dai favorevoli al taglio.
La spiegazione in fondo è molto semplice: non esiste un argomento ragionevole a favore del taglio, e questa è una posizione basata su fatti difficilmente contestabili. Tutti gli auspici che i sostenitori del Sì diffondono nell’etere sono fondati su interventi successivi che non è detto vadano davvero in porto.
In un Paese che attende ancora la legge attuativa della riforma del 2001, chi sostiene il Sì a questo referendum sostiene che il Parlamento ne guadagnerà in efficienza. Mente sapendo di mentire, visto che l’organizzazione dei lavori del Parlamento dipende dai regolamenti parlamentari – che non solo non sono stati toccati (non potevano, per legge costituzionale) ma la cui riforma non è nemmeno prevista da una disposizione transitoria e finale! Una riorganizzazione dei lavori del Parlamento italiano si poteva disporre a organico invariato. Invece, nonostante sia passato quasi un anno dall’approvazione della riforma, né alla Camera né al Senato sono state presentate proposte organiche di riforma dei regolamenti parlamentari. Ciò dimostra che la nostra classe parlamentare non si è neanche posta il problema di risolvere le grosse difficoltà che il taglio imporrà alle Camere: meno parlamentari significherà più lavoro per i singoli, specie nelle Commissioni (la cui dotazione di cervelli si riduce significativamente a poco più di venti unità).
Incredibile anche la superficialità con cui il DDL Fornaro intende ridurre simmetricamente il numero dei delegati regionali nell’elezione del Presidente della Repubblica. Questi personaggi locali, eletti one-shot per contribuire all’elezione del Capo dello Stato, già di per sé non incidono più di tanto sugli equilibri dell’assise parlamentare. In un’epoca in cui tutti i politici sono federalisti (a parole) non si capisce perché il contributo delle Regioni a un evento tanto importante, che questa riforma finiva per valorizzare senza accorgersene, vada mantenuto a tutti i costi in una certa soglia percentuale, addirittura imponendo una riforma costituzionale correttiva.
Che dire anche della base circoscrizionale con cui il DDL già citato vuole sostituire l’attuale base regionale per l’elezione del Senato? Se è già di per sé assurdo che le due Camere debbano essere elette per Costituzione su due basi diverse – avrebbe avuto molto più senso eliminare questa inutile differenza e rendere più semplice la nascita di maggioranze omogenee in entrambi i rami del Parlamento – è senz’altro ancora più assurdo imporre una base circoscrizionale variabile, cioè travalicare i confini regionali con una semplice legge ordinaria per procedere all’elezione dei senatori. Traduciamo in italiano? Ogni 5-6 anni noi lucani saremo sbattuti sempre con una Regione diversa (Campania, Calabria, Puglia): a ogni cambio di legge elettorale rischiamo di dover pesare i nostri voti in contenitori molto più grandi di noi, in cui convergono anche i voti delle altre Regioni vicine, e in cui i nostri candidati correrebbero tra mille svantaggi. La situazione si colora di ridicolo quando si scopre che questo correttivo… non abolisce i commi che assegnano i senatori direttamente alle Regioni! Nel nostro gergo regionale, è la famosa pezza a colori… assai peggiore del “buco” che vorrebbe coprire.
Ancora: ci dicono che non esisteranno problemi di distorsione della rappresentanza perché faranno una legge elettorale proporzionale. Gli enormi sprechi di voti con cui si falsano le elezioni grazie al maggioritario sarebbero così corretti. Peccato che questa legge andava approvata già prima e che questa riforma costituzionale rappresenti soltanto un «a maggior ragione» e non certo la causa unica di questa impostazione. Utilizzare sistemi elettorali poco democratici e indegni di un grande Paese come l’Italia è un vizio originale e non certo un piccolo sacrificio che possiamo permetterci perché abbiamo trecento parlamentari in più o in meno.
E comunque nel DDL Brescia, la bozza (ormai nel congelatore) su cui voleva accordarsi la maggioranza, mancano ancora le preferenze: il grande problema della classe politica attuale, cioè la sua autoreferenzialità e il suo rapporto morboso con le Segreterie politiche andrebbe disinnescato restituendo il diritto del cittadino a scegliersi il suo rappresentante. Silenzio imbarazzato sul punto. Inutile dire che se si concretizzasse il rischio di approvare la riforma costituzionale senza quella elettorale, la riduzione dei parlamentari si tradurrebbe in automatico in una perdita secca di voti (cioè di rappresentatività) nei meccanismi di trasformazione in seggi. Cioè in un vero e proprio taglio della democrazia, come tanti del No provano a spiegare da tempo.
Forse andrebbe fatto notare anche che questa riforma ha trasformato la Costituzione in merce di scambio al servizio dei politicanti di turno. Già approvata in fretta e furia altrimenti non si fa il Conte 2, oggi sentiamo la minaccia della caduta del Governo in caso di vittoria del No. Peccato che la Costituzione è di tutti e non del Governo o della maggioranza e che certe battaglie sul suo sacro testo non si possono e non si devono fare. Ci provò già qualcuno a trasformare un referendum costituzionale in un voto di fiducia, e all’epoca i cittadini preferirono la Costituzione della Resistenza alle minacce di paludi.
Magari potessimo fermarci alla mera propaganda: l’intero iter di approvazione è stato indegno di una legge costituzionale. Fatta passare tra mille forzature, come dimenticare l’emendamento S2.100 con cui Calderoli ha tolto un senatore a Umbria e Basilicata per regalarli al Trentino-Alto Adige. (Non dovrebbe sorprendere scoprire che la Sudtiroler Volkspartei è favorevole alla riforma). Il testo originale prevedeva quattro senatori per Regione, mentre il testo definitivo li riduce a tre per Regione o Provincia autonoma. Scorrendo la graduatoria dei seggi le uniche Regioni che si trovano a quota tre sono appunto Umbria e Basilicata (le uniche quindi ad aver perso il senatore dopo questo emendamento). E scopriamo anche che il Trentino-Alto Adige sale a quota 6 (3 a Trento e 3 a Bolzano), contro i 4 precedenti. Alla rapina di rappresentanza nazionale si aggiunge anche un furto da rubagalline ai danni della nostra terra…
C’è altro? Ovviamente. C’è l’incredibile proposta di parificare elettorato attivo… e passivo delle due Camere. Ovverosia le età per votare ed essere eletti. Se ovviamente ha senso consentire a tutti gli elettori, anche più giovani, di votare per il Senato, è assurdo che i senatori (letteralmente i più anziani, cioè i più saggi) possano avere… la stessa età dei deputati! Una questione di forma, di puro stile? Forse, ma comunque una spia di superficialità che è davvero pacchiano trovare in contesti in cui la forma è sostanza.
In definitiva la principale differenza tra chi vota Sì e chi vota No è che il favorevole compie un atto di fede e non di ragione: spera, nel Paese in cui aspettiamo ancora l’attuazione della riforma del Titolo V di vent’anni fa, che a questo referendum seguano leggi attuative e correttive adeguate. Spera, nel Paese che conserva caro caro da vent’anni un errore all’art. 123 Cost. per mera dimenticanza, che arrivino i correttivi a controbilanciare questo taglio (parliamo del riferimento al soppresso Commissario di Governo nelle Regioni, ancora impropriamente citato in Costituzione e che nessuno sembra avere intenzione di espungere dal testo fondamentale della Repubblica).
Noi contrari non siamo affatto disfattisti, ma crediamo che le riforme siano cose serie e che vadano ponderate prima d’essere approvate, anziché corrette dopo la votazione. Troviamo odioso l’atteggiamento alla tocco blu non gioco più, secondo il quale o viene approvata questa (ennesima) riforma fatta male, o un ciclo di riforme nel nostro Paese non si può avviare. Troviamo inoltre pericoloso regalare un assegno in bianco a una classe politica che si rivela incapace non solo di risolvere, ma anche di capire i principali problemi del nostro assetto istituzionale. Cosa accadrà se i correttivi non verranno approvati? Nulla: e ci avremo rimesso noi cittadini.
Il problema del bicameralismo perfetto non è il numero dei parlamentari. È semmai la base di elezione delle Camere, che nulla c’entra col numero. È semmai l’esistenza dei decreti-legge che sottraggono spazio di discussione alle Camere e ne scombinano la programmazione (negli altri Paesi strumenti simili, in genere, non esistono). È semmai l’istituto della questione di fiducia, con cui si blindano le votazioni e si ammutoliscono le Camere. È semmai l’esigenza della doppia conforme, che impone ai DDL su cui la maggioranza ha trovato l’accordo un secondo passaggio inutilmente lungo e che andrebbe sveltito (ma si potrebbe agire sui Regolamenti parlamentari imponendo la votazione in Commissione deliberante o redigente). È semmai l’inesistenza di una Commissione speciale di conciliazione quando le due Camere non concordano su un certo testo, l’inesistenza di un termine massimo d’esame dei DDL approvati da una Camera che consente di insabbiare i testi di legge senza conseguenze, l’inesistenza di una corsia preferenziale per i DDL governativi che ha generato la prassi mostruosa dei maxi-emendamenti e dei canguri. Il numero dei parlamentari è una variabile indipendente da tutti questi problemi che serve soltanto a stabilire l’indice di rappresentatività, cioè il livello di ascolto tra Piazza e Palazzo.
Ci fa sorridere – nei momenti peggiori ci manda in bestia – sentire ignorati tutti questi problemi. Il sostenitore del Sì in genere segue un ragionamento banale e semplicistico, secondo il quale meno parlamentari produrrebbero meno impicci e sveltirebbero il Parlamento. A parte che abbiamo già uno dei Parlamenti più produttivi d’Europa, visto che approva più legge che altrove (sempre più svilito ovviamente a ruolo di passacarte)… ma il mestiere del parlamentare è appunto rallentare il Parlamento! Un Parlamento troppo veloce a decidere è un Parlamento che fa da passacarte al Governo e non discute su nulla. Il parlamentare invece, se fa bene il suo mestiere, produce molte carte sue: DDL, emendamenti, o.d.g, mozioni, etc.. Lo fa perché con queste carte alimenta il dibattito e pone l’attenzione sui problemi dei suoi elettori. Ah già, che sciocchi: oggi i parlamentari sono nominati, e nessuno si pone il problema di reintrodurne l’elezione davvero diretta tramite voto di preferenza.
In conclusione, è vero: noi sostenitori del No riteniamo che il taglio dei parlamentari determini solo un taglio della democrazia. Però non vogliamo essere paragonati a dei complottisti, tutt’altro, anche perché i dati ci consegnano il ritratto di una realtà ben diversa. Una realtà in cui a farla da padrone non è la malafede, bensì l’ingenuità della classe politica, l’ingenuità dell’ignorante che si balocca dei suoi problemi senza comprenderli fino in fondo e senza risolverli, sempre ben disposto a farsi circuire da chi può guadagnare dalla sua ingenuità. I fantomatici poteri forti hanno tutto da guadagnare da questo Sì e niente da questo No, e se non approfittassero dell’ingenuità dei nostri parlamentari che hanno approvato questa riforma significherebbe che i poteri forti italiani non sono tutto questo concentrato d’intelligenza. Ci preoccupiamo moltissimo, noi sostenitori del No, invece dell’ingenuità dell’elettore, l’ingenuità di chi magari spera di dare con un Sì una bella batosta a questa massa di politici incapaci, l’ingenuità di chi finirebbe per darsi la zappa sui piedi.
Non diamoci la zappa sui piedi. Non rinunciamo alla democrazia. Non rinunciamo a riforme migliori. Votiamo No, votiamo contro chi pensa di poter giocare con la Costituzione.
L’autore è il coordinatore provinciale di Potenza di NOstra – Comitato giovanile per il No al Referendum costituzionale.
1 commento
TAGLIAMO E POI PAGHIAMOLI DI MENO SULLA LEGGE ELETTORALE LE DICO PERCHE NON ‘L’ ANNO FATTA PRIMA . MENO DEMOCRAZIA ?? ma per favore IL 30 % HA IL 60% DI PRESENZE.