di Teri Volini
È indubbio oggi che l’arte, considerando superate le sue attribuzioni esclusivamente estetiche
o decorative, si volga ad essere pienamente interprete di percezioni e istanze dell’essere umano
e del mondo di cui fa parte.
Un segmento importante di questa peculiarità le deriva dalla sua forza premonitrice, che le permette di pre-vedere in primis, e di mostrare poi, delle “esigenze” sotterranee, e di esserne la speciale segnalatrice visiva e concettuale, prima che esse diventino situazioni emergenziali.
Questa dimensione “iper-temporale” dell’opera è preziosa, perché induce anche i più “distratti” a un’attenzione anticipativa di problematiche personali e planetarie, relative ad esempio. alla Pace, alla preservazione dell’ambiente, ai diritti umani e simili.
Una simile qualità fa sì che l’opera d’arte (se lavora in tal senso) abbia una valenza unica, che le permette di rigenerarsi di continuo, offrendo sempre nuove sollecitazioni, che vanno anche oltre quelle stabilite dall’artista al momento della prima realizzazione, integrandole alle precedenti o addirittura superandole per sostituirle con stimoli e significati inediti, in un arricchimento estremo e con un intrinseco survalore comunicativo.
A questo punto, ci si potrebbe porre questioni riguardo a una supremazia dell’Opera sull’Artista: se l’Opera ha tanto potere, ed è in sé stessa un’entità autonoma, dominante, allora qual è il ruolo dell’artista? Quello di un semplice, seppur privilegiato “portatore”, oppure qualcosa di più, capace di decidere, direzionare, programmare l’opera stessa?
Al di là dell’antropocentrismo
Certo, in una visione antropo – centrata, che vede l’essere umano sempre e comunque al centro di tutto, quest’ultima ipotesi è difficile da accettare; eppure, la dicotomia è solo apparente, perché quella indipendenza dell’opera, quel suo “dominio”, quel suo procedere per vie a volte razionalmente incomprensibili, rappresentano per l’artista coinvolto un sommo privilegio, un dono che la Musa ha deciso di concedere, e che lo rende la “persona prescelta” per una forma privilegiata di comunicazione.
Parte da lì il compito dell’Artista di portare adeguatamente a buon fine l’Opera che ha in affido, e lì giocano definitivamente la sua maturità, una superiore umiltà che permette la massima ampiezza della sua visione e conoscenza; la sue personali capacità di osservazione della realtà e quelle di auto – sondaggio, che lo renderanno capace di prevedere, presentire ed esprimersi su ogni problematica.
A quel punto, l’opera e l’artista saranno un tutt’uno, al servizio di uno scopo più grande di entrambi: in team, potranno non solo mostrare i problemi. ma invocare soluzioni, in merito alle urgenze presenti e a quelle che – se non si pone immediato rimedio – si presenteranno, centuplicate, per l’umanità: in merito alla improrogabilità della pace, ai crescenti drammi umanitari, alla fame, all’inquinamento, alla salute, all’economia, alla globalizzazione sfrenata, al rispetto delle diverse identità culturali, all’etica nei comportamenti, all’amministrazione della polis, etc.
Così l’Arte ci appare per quello che è fondamentalmente: un invito a riflettere e ad agire, divenendo essa stessa l’esempio di ciò che intende comunicare, e, tout court, con l’essere portatrice di precise responsabilità. Spazzando via ogni pigrizia, interesse e nichilismo, l’Arte prende posizione, si serve della sua autorevolezza per adempiere a un improrogabile obbligo sociale.
*Immagine: Marcia Silenziosa per la Libertà dei Popoli e delle Minoranze oppresse – 22 ottobre 2011, Roma Opera: Carta d’Identità Tibetana
The Social Sculpture – La (S)cultura Sociale https://issuu.com/terivolini/docs/the__social_sculpture_e_book_agg_to