In qualsiasi società per azioni l’assemblea nomina gli amministratori per la gestione dell’impresa, dà loro le regole e l’indirizzo gestionale, e, ogni anno, discute ed approva un bilancio sulla base della relazione degli amministratori, promuovendo gli stessi se hanno fatto bene e sostituendoli in caso di bilancio negativo. Così inizialmente funzionava anche la società politica chiamata partito. Poi, a cominciare dalla Dc negli anni 80 , dal Pci negli anni 90 e dal Pd nei due decenni dell’anno duemila, gli amministratori hanno esautorato l’assemblea, hanno messo in soffitta il collegio dei probiviri e hanno annullato la rendicontazione agli azionisti. Si è mutuata l’appropriazione di potere che alcune grandi società , ad azionariato diffuso, hanno esercitato a danno dei soci, creando cartelli di controllo e annullando la partecipazione degli azionisti che non entrano nei giochi di potere. Se valutiamo in quest’ottica anche quello che sta succedendo nel Pd, dobbiamo parlare di un consiglio di amministrazione che ha cambiato il suo presidente , al quale ha dato il mandato di rinverdire il brand della società, ma curando di non alterare il pacchetto di controllo, e cioè i capi corrente che da sempre fanno il bello e cattivo tempo in una società che perde anno dopo anno il suo valore . In una società ad azionariato diffuso, il comportamento corretto di amministratori che sono responsabili di una situazione fallimentare dovrebbe obbligarli a dare la parola all’assemblea e farsi da parte. Questo comportamento si chiama responsabilità sociale nelle aziende e democrazia nei partiti, Cosa che è lontana dai propositi del gruppo dirigente del Pd ( ma altri hanno fatto di peggio) il quale, anziché presentarsi dimissionario e aprire subito un congresso straordinario ha dato due anni di tempo al nuovo amministratore delegato per vedere se lui riesce a mettere una zeppa sotto un partito traballante. Il neo resuscitato uomo della provvidenza non è tipo da miracoli però e lo stesso fatto che ha accettato di spostare l’appuntamento congressuale al 2023,significa che non ha in animo la rivoluzione ma più modestamente una ricomposizione societaria con un passaggio di quote da una mano all’altra. Nel frattempo l’informazione taroccata si preoccupa di cogliere piccoli particolari per ingigantirli nella rappresentazione della novità, come quella di fare di una sostituzione di genere dei capigruppo una battaglia enfatizzata, da vittoria dei buoni sui cattivi. Che l’on.Letta sia una brava persona non c’è dubbio, che abbia un ottimo profilo, è anche questo indiscutibile, ma che possa rivoltare il pd come un calzino, c’è da scommetterci che non tenterà di farlo o farà finta di volerlo fare. Perchè la condizione per rivoltare un partito è un congresso senza tessere, con il richiamo di tutti quelli che hanno una visione riformista e progressista, con l’azzeramento di tutte le cariche, con l’approvazione di nuove regole che portino in orizzontale i livelli di decisione e non in verticale ( nel senso che il partito a livello centrale ha come orizzonte solo il parlamento ed il governo e non già la proprietà di tutta la filiera di comando a tutti i livelli, compresi i governatori, i sindaci delle città e tutti gli incarichi nella galasisia delle società di riferimento. Riportare ad un comportamento democratico il Pd significa attribuire responsabilità precise al partito organizzato ai vari livello, senza interventi dall’alto e rtspettando la volontà delle assemblee locali. Non c’è partecipazione quando non c’è decisione. E la gente chiamata solo a votare le persone decise a Roma si è rotta le scatole di essere strumentalizzata e considerata pecora da latte. No partecipazione ,nò latte, dice la “pecora” incazzata. Rocco Rosa
LA CARTA LETTA NON FA… SCOPA
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