BY SEVERINO LAPOLLA
Dalle nebbie del tempo emerge ancora una volta una storia incredibile a riprova che i Lucani, gente semplice, paziente, rassegnata è anche gente che non manca di risorse. Antonio Raffaele Giannuzzi, nato a Matera nel 1818 e combattente della Prima guerra d’Indipendenza, è un personaggio di tutto rilievo. Componente del contingente napoletano, prima inviato dal Borbone per sostenere Carlo Alberto e poi richiamato indietro per il timore che la Rivoluzione prendesse la mano a danno dei governi costituiti.Giannuzzi seguì il generale ribelle Guglielmo Pepe disobbedendo agli ordini e partecipando a tutti gli avvenimenti che seguirono.
Fece parte della Legione Veneto-Napoletana, (1848-49) distinguendosi nella difesa di Venezia ( espugnata poi ,alla fine di agosto del 1848 dagli austriaci) arrivando anche ad ottenere la promozione a sottufficiale. -matricola numero 13-. La sconfitta disperse per il mondo la gran massa di rivoluzionari e il Giannuzzi, ormai iscritto nelle liste dei ricercati (il più illustre tra questi era Garibaldi) , seguendo la sorte di molti altri esuli espatriò clandestinamente e scelse di dirigersi in Grecia. Unitosi ad un gruppo comandato da un ufficiale calabrese di Lamezia Terme, Francesco Matarazzo, s’imbarcò sul brigantino Buona Sorte il 21 agosto 1848 alla volta di Atene dove fu avvicinato , insieme tanti altri, da agenti britannici (finanziati dai vari governi del medioriente) incaricati di reclutare gente già addestrata ai combat timenti e, nel 1850 ,insieme ad altri fuorusciti, fu inviato a Costantinopoli dove fu ricevuto dall’am basciatore Lord Stradfort de Rédcliff. A lui ed ai compagni fu proposto di entrare a far parte dell’esercito ottomano senza l’obbligo di abbracciare la fede islamica ma, siccome il Corano vietava di obbedire a soldati stranieri, avrebbero dovuto assumere il cognome musul mano. La cosa non fu gradita e , per tramite della Legazione di Persia a Costantinopoli, accolsero la proposta di far parte dell’esercito persiano dal momento che la realtà prospettata loro non imponeva condizioni umilianti al loro status di esuli.
Forse a seguito di questa inconsapevole scelta non immaginavano di andare ad immergersi in quella realtà , così ben descritta dallo scrittore britannico Rudyard Kipling nel suo libro “Kim”, dove si praticava “il grande gioco” (leggi spionaggio) questa parola magica che a noi ragazzi dell’altro ieri affascinava tanto (tra l’altro, all’epoca l’autore era stato per davvero per un certo tempo un agente britannico ). Era uno scenario fatto di guerre non dichiarate, di accordi tra le Grandi Potenze stipulati in mala fede e subito disattesi; di lotte tribali, spalleggiate ora da una Potenza ora da un’altra, che tendevano a tenere sempre accesi tutta una serie di conflitti (che, in verità, duravano già da un secolo) per mantenere quello scacchiere mondiale in perenne stato di anarchia e che non rappresentano altro (specie per quanto riguardava il fronte afgano) che il prologo di quella che, ai giorni nostri, ognuno conosce come la“questione mediorientale”. In buona sostanza si trattava di azioni messe in piedi da personaggi occulti delle cancellerie delle grandi potenze europee ( oggi li definiremmo “gli addetti ai lavori”) per perseguire una politica avente il solo scopo di realizzare l’accaparramento territoriale a scapito degli stati locali, per lo più deboli ed arretrati.
Già nel 1828 la Russia aveva assoggettato le provincie caucasiche e , nel 1848, l’Impero Ottomano (allora la potenza predominante in quello scacchiere) si era impadronito dello Shatt al Arab mentre, sul restante territorio persiano regnava la dinastia Quajar Questo era lo scenario che quegli esuli trovarono quando si trasferirono a Teheran; un paese che,proprio tramite la dinastia Qajar, si stava aprendo all’occidente e furono ingaggiati come istruttori del regio esercito, facendosi ben presto valere. Giannuzzi nel 1856 ottenne il grado equivalente a “maggiore” e, nel 1860, fu promosso colonnello mentre, alla morte di Luigi Pesce, ne prese il posto assumendo la carica di comandante in capo degli istruttori europei della fanteria regia, fino a giungere al grado sertipe , equivalente a quello di generale. Sul trono persiano dell’epoca sedeva uno dei più importanti governanti di quella dinastia, lo Scià Nasser ad-Din che, almeno agli inizi del suo regno, si rese protagonista della vivacità culturale dell’Iran dell’epoca; aperto alle innovazioni tra le quali vi fu l’istituzione del politecnico Dar al Funoon, la prima università moderna di Teheran. fu il primo regnante persiano a visitare l’Europa dove,tra le altre cose, fu impressionato da una tecnologia in quegli anni agli albori, la fotografia, e pensò di sfruttare questa nuova tecnica per documentare, non più solo con disegni e relazioni scritte, lo stato di salute della sua terra facendo ampio uso di un mezzo fino ad allora sconosciuto nel suo paese e che riportava fedelmente la realtà dei fatti. Nel 1858 organizzò una serie di missioni sul territorio con a capo Luigi Pesce e Antonio Giannuzzi che, come tanti altri viaggiatori ed esploratori di quell’epoca, con i loro scatti contribuirono a mostrare per la prima volta città, siti archeologici e luoghi sacri quali Teheran, Tabriz, Qom, Isfahan, Shiraz, in quella regione che oggi è l’Iran e che, a distanza di un secolo, nel corso del 2010 sono stati l’oggetto di una mostra allestita presso l’ Istituto Nazionale per la Grafica- Calcografia di Roma e presso la La Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia
Il corpus delle oltre cento immagini esposte, di cui fanno parte anche i lavori di Luigi Montabone -1827 ca.-1877- ( realizzati durante una spedizione patrocinata dal governo italiano nel 1862) è stato allestito attraverso un ampio lavoro di ricerca in archivi e collezioni pubbliche e private non solo italiane, dalla Biblioteca Reale di Torino alle raccolte dei Fratelli Alinari, dalla Bibliothèque National di Parigi alla Collezione Herzog di Basilea.
Inconsapevolmente, era stato realizzato il primo reportage fotografico moderno, per molti versi in anticipo sui tempi, a cavallo tra narrazione per immagini e documentazione scientifica, che comprende vedute ed edifici e credo che, fino alla sua morte ( avvenuta a Teheran nel 1876) Antonio Giannuzzi forse di questo non se ne sia reso completamente conto.