LO SVILUPPO DEI BAMBINI NELLA CONVENZIONE INTERNAZIONALE SUI DIRITTI DELL’INFANZIA

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Dott.ssa Margherita Marzario

Nella crescita dei figli ci si preoccupa più della statura che della levatura. Nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si parla distintamente di “crescita” e di “sviluppo” (che è il contrario di “inviluppo” ed è diverso da “crescita”) e vi è il divieto di “interferenze” (si veda l’art. 16). Basilare è il capoverso del Preambolo: “Riconosciuto che il fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione”. Quel pieno ed armonioso sviluppo della personalità cui fanno continuamente riferimento la giurisprudenza e la dottrina quando si discute dei bambini e dei loro diritti. In particolare, poi, nell’art. 27 par. 1 della Convenzione si legge: “Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo ad un livello di vita sufficiente atto a garantire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale”. Enunciazione in cui si usa l’aggettivo possessivo “suo” per rimarcare che lo sviluppo è un processo strettamente proprio del bambino, corrisponde alla sua libertà, alla sua integrità psicofisica, alla sua persona e alla sua personalità. Inoltre lo sviluppo è aggettivato come “fisico, mentale, spirituale, morale e sociale”, in un processo progressivo e ascendente dall’aspetto fisico (personale) a quello sociale (interpersonale), e di questo devono tener conto innanzitutto i genitori. Questa descrizione di sviluppo corrisponde allo svolgimento della personalità di cui si parla nell’art. 2 della Costituzione. “Il figlio ha bisogno della parola “Vai!”. […] Non avere progetti sui figli, altrimenti i figli hanno
dei destini e sono destini infelici” (lo psicoanalista Massimo Recalcati nella lectio magistralis a Matera il 15-02-2020). I genitori, pertanto, non devono rivestire o investire il figlio con i loro sogni infranti, progetti irrealizzati o altro ancora. “Quello di cui hanno più bisogno i figli: vivere davanti a loro, piuttosto che dire solo che cosa devono fare. Viviamo davanti a loro! Mettiamo davanti a loro una tale attrattiva che possano essere sfidati dalla bellezza che vedono vibrare in noi, così da poter aderire liberamente, non con il calzascarpe. Tante volte noi siamo preoccupati che aderiscano, ma non della loro libertà. Siete preoccupati per i vostri figli? Vivete da adulti, testimoniando loro tutta l’attrattiva della vostra vita. […] Senza questo genereremo solo luoghi dove i figli soffocano, invece che luoghi dove respirano, con il desiderio di coinvolgersi e di partecipare” (cit.). Come si ricava pure dal par. 2 dell’art. 27 della Convenzione, i genitori sono i primi a dover assicurare lo sviluppo dei figli: sviluppo è togliere gli inviluppi e, per questo, è fondamentale esserci e stare davanti per tirare, proprio come è nell’etimologia di educare, da “ex-ducere”, tirar fuori. Aiuto e autonomia, un binomio su cui si gioca l’educazione: “promuovere lo sviluppo della personalità del fanciullo, dei suoi talenti, delle sue attitudini mentali e fisiche, in tutto l’arco delle sue potenzialità” (lettera a art. 29 par. 1 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). Il pedagogista Daniele Novara ribadisce: “Maria Montessori […] se fosse ancora tra noi continuerebbe a ricordarci che la libertà è sempre formativa e che ad aver fiducia nei bambini non si sbaglia mai!”. Educare alla e nella libertà e fiducia è togliere gli inviluppi interni ed esterni, promuovere lo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale. Educare è posare lo sguardo su quel bambino per fargli volgere lo sguardo da se stesso all’altro e al mondo intorno, proprio come nella progressione degli obiettivi educativi enucleati nell’art. 29. L’educazione non è tanto un innesto quanto una potatura: comporta sofferenza per la pianta e fatica, maestria e scelte per il contadino. La potatura serve per favorire lo sviluppo ed evitare l’inviluppo. Come l’albero dell’ulivo che ha bisogno di essere potato affinché i rami non si aggroviglino e si possa procedere, poi, alla raccolta delle olive per ricavarne l’olio. Ada Fonzi, esperta di psicologia dello sviluppo, precisa: “Gli studi psicologici ci hanno fornito alcuni concetti fondamentali che possono aiutarci a comprendere meglio i problemi educativi. Tra questi, due in particolare mi sembrano utili: quello dei «periodi sensibili» e quello dello «sviluppo prossimale». In base al primo, ogni abilità, ogni acquisizione possono avvenire soltanto in un
periodo relativamente fisso dello sviluppo, durante il quale l’ambiente che attiva un comportamento che è sì geneticamente predisposto, ma non fruibile senza adeguate stimolazioni. Passata quell’opportunità, è assai difficile che l’organismo riesca a recuperare il tempo perduto. C’è un tempo per esplorare, un tempo per arrampicarsi, un tempo per leggere, un tempo per fare l’amore, un tempo per… Quanto allo «sviluppo prossimale», questo sta a indicare l’aumento di prestazioni rispetto allo sviluppo «naturale» che un bambino può presentare se viene supportato e orientato con mezzi adeguati dall’adulto, la cui azione risulta particolarmente decisiva intorno ai 7-8 anni”. La prima forma di rispetto nei confronti del bambino è tener conto dell’età, delle capacità e della maturità (come più volte indicato nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). Lo psicologo e psicoterapeuta Osvaldo Poli spiega: “L’immaturità consiste esattamente nel pretendere che il mondo intero si comporti come la mamma, che “fa sparire” le difficoltà della vita. Per tale ragione la ferita del padre coincide con la separazione simbolica dalla madre e con tutto ciò che ella garantisce in termini di aiuto, facilitazione, mediazione con le durezze della vita. Ma perché questo accada è necessario che il figlio attraversi l’esperienza della prova, termine messo al bando
da una cultura che ha gettato nel discredito la sensibilità educativa maschile. Oggi è possibile riconoscere solo qualche vago simulacro dei “riti di passaggio” dall’infanzia all’età adulta, il cui elemento qualificante consiste da sempre nel superare una prova, nell’affrontare una situazione pericolosa, a dimostrazione della raggiunta maturità. Una vaga reminiscenza di essi può essere oggi riscontrata nel superamento delle prove per il conseguimento della patente, del diploma di maturità, della laurea, ma con significati simbolici ormai estenuati e depotenziati” (in “Cuore di papà. Il modo maschile di educare”). Ogni sviluppo passa attraverso tappe che comportano cambiamenti, scelte, perdite e novità e i genitori non possono evitare tutto ciò, altrimenti i figli crescono solo fisicamente ma non negli altri aspetti necessari per vivere e sopravvivere. “La vita, anche con tutto il suo dolore, è piena di meraviglie: nascita e morte sono miracoli e al di sotto delle ondate di nascita e morte giace la meravigliosa realtà suprema” (da “Insegnamenti sull’amore” di Thich Nhat Hanh, pensatore vietnamita). Educare alla vita, alla totalità della vita, e non solo a stare in vita.

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Sull' Autore

Insegnante, giurista, con la passione della lettura, della scrittura, della fotografia e di ogni altra forma di arte e cultura. Autrice di tre libri per Aracne Editrice (Roma) – fra cui “La bellezza della parola, la ricchezza del diritto” (2014) menzionato nel sito dell’Accademia della Crusca –, di oltre 150 pubblicazioni giuridiche citate in più sedi (testi giuridici, convegni, università, siti specializzati, tesi di laurea) e di altri scritti, già operatrice socioculturale nel volontariato (da quello associativo a quello penitenziario). Nata a Salandra (MT), vive a Matera.

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