L’OMOFOBIA DI NOIALTRI: UNA GUIDA ALLA CACCIA ALLE STREGHE

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Marco Di Geronimo

Incredibile ma vero: Lucanianews24 pubblica un articolo titolato Come riconoscere un gay: ecco i consigli da seguire. A pochi giorni dalla Giornata internazionale contro l’omobitransfobia, il post pubblicato dal blog lucano testimonia in modo plateale quanta strada resta ancora da fare nella nostra Regione, tanto accogliente e solidale eppure ancora in difficoltà nel metabolizzare alcuni dei temi più importanti del nostro tempo. E c’è anche del paradossale: è del tutto evidente che l’articolo sia stato scritto con le migliori intenzioni (senza però cogliere nel segno…).

I fatti. Dopo un paio di settimane di silenzio, il 13 maggio scorso compare un nuovo post sulle pagine di Lucanianews24. È un articolo firmato da Maria C. (il cognome è puntato nell’originale), che esordisce con questo paragrafo: «Un discorso un pochino spinoso è quello che riguarda riuscire a capire se un uomo o una donna e [sic!] gay. Se l’interessato o l’interessata non ha mai fatto “coming out”, potrebbe essere difficile farli uscire allo scoperto. Sottolineiamo che la scelta di dichiarare il proprio orientamento sessuale è privato, ma ci sono alcuni casi “particolari”. Molti gay e lesbiche si sposano e creano una famiglia “normale” per camuffare questa tendenza».

Insomma, l’intento è chiaro: capire se il proprio partner è omosessuale e, quindi, sta fingendo di amarci. La nota omofoba è clamorosa. Tanto clamorosa che l’articolista cerca più volte di correggere il tiro («Riuscire poi a parlarne con una persona vicina, ebbene potrebbe essere di aiuto per fare coming out»), anche suggerendo che scoprire l’orientamento sessuale dei propri figli potrebbe essere uno strumento utile per garantire loro supporto in un «passaggio di vita importante che potrebbe essere decisivo».

Ma il beneficio del dubbio non può resistere alla bufera di insinuazioni, espressioni abusate, luoghi comuni e a un atteggiamento inquisitorio che anima tutto l’articolo. Non è un post in cui si suggerisce il confronto e l’ascolto: è un post in cui si mette in guardia. L’omosessualità non è certamente vista come un pericolo o una piaga. Però è vista come qualcosa da verificare, da scoprire perché è meglio non avere sorprese.

Insomma, l’atteggiamento dell’articolo tradisce quell’approccio provinciale all’omosessualità, ancora molto tipico delle nostre parti. Il post trasuda tutta quell’aria di controllo sociale che è tipica dei nostri bellissimi paesini, in cui nel giro di cinque minuti una notizia si diffonde da un capo all’altro della cittadina. Le signore che guardano dappertutto e si fanno i fatti altrui, e che colorano le nostre zone, e che lo fanno perché sostanzialmente non c’è null’altro da fare.

Ecco quindi che tra i tanti “buoni consigli” spunta un setaccio delle cronologie di computer e telefoniNel rispetto della privacy occorre dire che non è proprio un’azione “legale” [sic!], ma tuttavia può essere uno spunto per chiarire la situazione»). Non bisogna neanche dimenticare una serie di «segnali “vedo non vedo”», addirittura certificati «dall’Università di Oxford», ai quali bisogna prestare particolare attenzione. L’articolista infatti, in uno dei suoi maldestri tentativi di allontanare cattive impressioni, così ci mette in guardia: «Eliminiamo immediatamente i luoghi comuni che è facile riconoscere un gay. Oltre ad essere una convinzione sbagliata e anche una forma di “razzismo”». (Il razzismo vero, quello senza virgolette, è affar dei neri. Ecco, forse occorrerebbe anche ricordare che l’omofobia non è un razzismo di serie B, ma un comportamento odioso che va estirpato dalla nostra comunità, proprio come il razzismo). Comunque, «per eliminare ogni dubbio» (ma comunque, sia chiaro, solo quando ormai «avete accumulato indizi, prove e quant’altro») la strada è chiara: «l’unica cosa da fare è chiederlo».

Sì, diciamo che l’intero articolo poteva riassumersi in quest’unica frase. L’unica cosa da fare è chiederlo, sempre, con educazione ed empatia. Non si fanno indagini, ricerche, investigazioni: non si gioca con l’intimità degli altri.

È per questo che l’articolo che vi abbiamo voluto riportare ci è parso molto inopportuno. Ci sembra una cartina tornasole di un modo di pensare assai pericoloso e purtroppo ancora comune, troppo comune per il terzo millennio e per una società che si finge progressista. Potete immaginare da soli il cumulo di sofferenze che dovrebbe provare una persona che si trova in questo modo sotto inchiesta. E vale poco dire che poteva parlare chiaro: si ricade nella solita retorica omofoba, secondo la quale la colpa dell’emarginazione, della discriminazione, è dell’emarginato.

Ci sono troppi elementi che andrebbero singolarmente commentati. Per esempio il fatto che il post, benché tenti ogni tanto di coinvolgere nel discorso anche le lesbiche, sia scritto pensando soltanto ai gayatteggiamenti effemminati», «ricerca di compagnia maschile e di continui contatti»), il che evidenzia il solito stigma maschilista che colpisce più gli uomini (rei di abbandonare la prospettiva machista) che le donne (le quali, in quanto oggetto, possono essere trascurate). E forse si potrebbero scrivere frasi intere su quel «potrebbe essere difficile farli uscire allo scoperto», in testa all’articolo.

Il post ha avuto scarsa diffusione, e dev’essere per questo che non ha suscitato polemiche. Ma ciò che più colpisce è che sia figlio dell’ignoranza più dell’omofobia. In coda all’articolo resuscitano alcune moine apprensive (i «Consigli da non dimenticare») in cui, finalmente, si legge che: «se una persona non vuole dichiarare la sua omosessualità, non bisogna essere aggressivi» e che serve trovare un approccio rassicurante. «Accettate quello che vi dice, senza giudicare e magari [sic!] cercando anche di capire i punti di vista». Insomma, la classica chiosa da mamma amorevole che spesso si trova nel mondo della Rete, popolarissima tra gli utenti che cercano rassicurazioni in articoli esplicativi.

Ci spiace, ma dobbiamo dirlo: la signora C. dev’essere una brava persona, ma il suo articolo è francamente inaccettabile nel 2020 e bisogna chiarirlo. Il pensiero maschilista ha fatto la fortuna sulla moglie che spia e sull’omosessuale che si nasconde: è tempo di abbandonare questa favoletta. È tempo che anche in Basilicata si facciano passi in avanti nella direzione dell’emancipazione di tutti.

Vale davvero la pena interrogarsi su un articolo di un sito così piccolo? Sì, senz’altro ne vale la pena. «Questo blog non è una testata giornalista» tiene a precisare il sito, secondo una formula comune nel mondo di Internet «non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale» ai fini della relativa legge. Ma qui non interessa discutere la qualità del giornalismo locale. Questo triste episodio va dibattuto e denunciato perché dimostra che tanti, tantissimi modi di pensare, all’apparenza del tutto innocui e in realtà assai discriminatori, siano ancora radicati tra noi.

Questo articolo è stato uno spunto per ricordarci un concetto: il maschilismo vive e lotta insieme a noi. Non è un’ideologia passata che non esiste più: continua a contraddistinguerci e a produrre dolore e sofferenza nella vita degli emarginati. Anche inconsapevolmente. E quindi ciò che conta davvero non è uno studio antropologico dell’università di Oxford: è proprio quella comprensione che riecheggia, un po’ sorprendentemente, in coda all’articolo della nostra confusa Maria C..

 

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Sull' Autore

Classe 1997, appassionato di motori fin da bambino. Ho frequentato le scuole a Potenza e adesso studio Giurisprudenza all'Università degli Studi di Pisa. Ho militato nella sinistra radicale, e sono tesserato all'Associazione "I Pettirossi". Mi occupo di politica (e saltuariamente di Formula 1) per Talenti Lucani. Scrivo anche per Fuori Traiettoria (www.fuoritraiettoria.com), sito web di cui curo le rubriche sulla IndyCar e sulla Formula E. In passato ho scritto anche per ItalianWheels, per Onda Lucana e per Leukòs.

1 commento

  1. caro Marco, no, sei stato troppo buono, la “signora” Maria non è confusa, è solo Tanto ma Tanto subdolamente OMOFOBA, e nella maniera più pericolosa, quella della pseudo-delicatezza dell’impostazione generale, che non le impedisce tuttavia di essere quello che è: la rana che vive nel fondo del suo pozzo, e crede sia quello IL MONDO.
    Si potrebbe commentare con un “poveretta” , se non fosse che tale impostazione è fonte di rassicurazione per quanti la pensano ignorantemente come le , e fanno prosperare le iniquità e i pregiudizi degni di un mondo che dovrebbe essere ormai SCADUTO …
    teri volini

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