Margherita Marzario
Matera non è solo la città dei Sassi o nei Sassi ma la città in cui si può vivere una nuova emozione in ogni sasso o in ogni passo, perché roccia incisa da antropologia e poesia (anche “nonsense”) in ogni angolo, perché ricca di macrostoria (dall’era paleolitica) e microstorie. Davanti a un centro di fisioterapia un figlio fa tanta fatica per far uscire la mamma, non autosufficiente, dall’automobile. Mentre lei mantiene maldestramente l’ombrello, lui afferra le braccia della madre e la mantiene tra le sue braccia per non farla barcollare. Quel figlio restituisce così un po’ della fatica che la mamma ha provato per metterlo al mondo e sollevarlo tante volte. Quell’amore madre-figlio che è iscritto nella natura stessa di Matera, in particolare nel complesso rupestre della Madonna dell’Idris che fa venire in mente Maria ai piedi della croce o quando raccoglie Gesù tra le sue braccia come nella Pietà di Michelangelo. Dopo l’allentamento delle restrizioni dell’emergenza sanitaria, in pieno centro si vede un’artista di strada come una farfalla uscita dal bozzolo: vestita di bianco con ali d’angelo, viso cereo per il trucco, senza identità, seduta su uno sgabello con uno strumento antico in mano che sembra un liuto. La vita è così: seppure emaciata, torna a emozionarsi e a emozionare. A ciascuno l’arte del vivere come insegna Matera dalla notte dei tempi! In una strada centrale della città (e, quindi, alla vista di molti) un operatore ecologico svolge meticolosamente il suo lavoro tanto che si piega e tira a mani nude le erbacce, di centimetro in centimetro, lungo il marciapiede: sorprendente in un’epoca in cui sembra che non ci si sorprenda più di niente. Magistrale, esemplare, dignitoso più di categorie professionali tanto ambite: ognuno di noi potrebbe o dovrebbe farsi operatore ecologico della vita! Nella stessa strada tre operai dovrebbero sistemare un metro quadrato circa di marciapiede sprofondato e in mancanza di un mattone lo vanno a togliere dal marciapiede del lato opposto tamponando il vuoto con un pezzo di cemento armato caduto dal muretto. È questo il modo di svolgere i lavori pubblici? E, poi, ci lamentiamo dei disastri in caso di calamità naturali! Non abbiamo imparato niente dagli antichi Romani! L’educazione delle nuove generazioni passa anche attraverso il modo di esercitare il proprio lavoro. In un angolo della città, tra buste di abiti dismessi e sotto una coperta che sembra svolazzante, in realtà si muove per raggomitolarsi e difendersi dal freddo invernale una persona senza fissa dimora e dall’identità non riconoscibile perché ha perso pure l’identità. Quello stesso clochard, raggomitolato su stesso in un vicolo di una strada trafficata, tra le buste di quello di cui vive, sembra un gatto nero che rovista tra i rifiuti e, quindi, da evitare o scansare. Non abituiamoci a queste scene di non vita, e anche se non ci fermiamo, almeno soffermiamo il nostro sguardo, così rimaniamo un po’ umani! Alla fin fine non siamo un po’ tutti erranti “sullo stretto marciapiede della terra” come barboni, clochard o senzatetto o senza fissa dimora? Siamo pronti a oggettivizzare l’altro senza renderci conto che siamo tutti “personaggi in cerca d’autore”, e Matera si presta bene per ogni rappresentazione teatrale sotto la volta celeste come il presepe vivente. Di prima mattina: il sole si va imponendo dietro le nuvole che prendono riflessi particolari, dall’altra parte un accennato arcobaleno; una lumachina cerca di attraversare la strada e d’istinto ti pieghi per prenderla e metterla in salvo tra l’erba; persone sparute dedite alla camminata o corsetta tonificante e rinvigorente; muratori già all’opera in lavori di ristrutturazione; uccelli di ogni tipo in volo verso le loro mete ignote… Dopo ogni buio, la vita riprende e sorprende ma lo coglie solo chi la comprende e da lei apprende. In un buco di un marciapiede c’è un mazzo di fiori freschi in memoria di una giovane vita, recisa anni prima in quel punto della strada. Facciamo attenzione a non recidere vite lungo la nostra strada, in particolare con l’uso tagliente della lingua con cui scaviamo fosse alla dignità e alla reputazione altrui. Domenica mattina, quando la città è ancora lenta ad avviarsi: una sorella anziana, tanto affettuosa e premurosa, si avvia speditamente verso la casa coniugale dell’anziano fratello non vedente, lo prende a braccetto per accompagnarlo verso dove deve andare. Avere un fratello (o sorella) è avere un “fra” della e con la vita. Mentre il telegiornale trasmette continuamente notizie di delitti familiari! Prima di entrare in ospedale una donna e un ragazzo (forse madre e figlio) si fanno il segno della croce. Una signora anziana, ancor prima di varcare la soglia della sala d’attesa, dice in maniera educata e stentorea un “buongiorno” che supera l’ovattamento della mascherina. Un’altra con la cannula alla gola, stando in piedi, fissa la statua della Madonnina, con tante coroncine “ex voto” al collo, richiamando alla mente le immagini di vecchie cartoline o di vecchi santini. Un anziano chiude una telefonata rispondendo in dialetto “Va bun” (altro che OK!)… Lungo la via del ritorno, una piuma bianca (ritenuta popolarmente un segno) svolazza sul marciapiede. Quanto c’è da imparare in un ospedale se si conserva o si riscopre uno sguardo umano! “Ci eleviamo quando solleviamo gli altri” (cit.). In una fredda domenica preinvernale, dopo la messa un gentiluomo ultraottantenne, nonostante i suoi anni e i suoi problemi, aiuta la cognata, altrettanto anziana e malferma, a coprirsi per non prendere freddo nell’uscire dalla chiesa. Il bene esiste, è solo che è silenzioso e riservato a differenza del male che è fragoroso e manifesto. In una fredda mattinata di un bizzarro inizio di primavera una giovane mamma porta il figlio di pochi mesi in braccio alla sua sinistra e con la destra fuma, mentre la nonna spinge con una mano il passeggino e con l’altra parla al cellulare. La mancanza di rispetto, di considerazione, di educazione si rivela già nei piccoli gesti. Perché la vita e l’amore per la vita non richiedono gesta ma semplici gesti. Alzarsi e uscire di primo mattino fa cogliere dettagli che sfuggono nella routine quotidiana, come notare che sul balconcino della casa di colui che era il più anziano del quartiere è rimasto tutto intatto anche dopo anni dalla sua morte, per cui lo si rivede e lo si sente vivo attraverso quegli oggetti. Dovremmo alzarci e uscire di primo mattino più spesso, non solo da casa nostra ma anche dalla nostra chiusura. Di prima mattina le rondinelle, eleganti e longilinee come ballerine dell’aere, volteggiano in ronda e gorgheggiano ignare di tutto quello che avviene intorno. E così si vivifica il concerto della Primavera di Vivaldi a cielo aperto! In un quartiere popolare di periferia un’anziana signora prende in braccio il suo vecchio cagnolino, colpito da una paralisi, lo fa scendere dal marciapiede e lo incita a camminare standogli dietro o accanto. Una scena che può passare inosservata ai più cui non può dire niente, ma che esprime tanto, anzi, tutto: empatia, fedeltà, accompagnarsi a vicenda, condivisione, rispetto, silenzio, amicizia… “Chi non crede nel magico, di certo non lo trova nella vita” (cit.). Siamo capaci di ogni magia se consideriamo già magia il risveglio al mattino e tutto quello che ci si può presentare, ancor di più nella magia di Matera. Nel tepore autunnale di una mattinata qualunque, una donna e un uomo, visibilmente attempati (e che mostrano piacevolmente i segni del tempo) e con indumenti e colori tipicamente autunnali, si tengono per mano per fare una camminata lungo la loro stagione autunnale. L’autunno della vita è la stagione più variegata di emozioni ed è bello continuare a mescolare i colori sulla tavolozza fin quando non saranno del tutto consumati. Sembra una passeggiata tra i boschi di acero in Canada o lungo un boulevard parigino. Matera è una città romantica che non ha nulla da invidiare alle altre italiane, da Venezia a Verona alla Via dell’Amore delle Cinque Terre. Nella bruma autunnale del primissimo mattino, quando sì e no albeggia, un cosiddetto “ragazzo di colore”, incappucciato per non prendere freddo, stende scrupolosamente il suo bucato colorato prima di recarsi al lavoro. Quanto c’è da emozionarsi e imparare se si guarda fuori dalla finestra della propria vita e si allontana lo sguardo dal freddo e piatto schermo di un qualsiasi dispositivo! “[…] noi non abitiamo solo gli indirizzi dove ci arriva la posta: abitiamo anche nelle storie che ci sono state raccontate sin da quando eravamo bambini. Meno ne abbiamo a disposizione, più angusta e cupa è la casa mentale in cui ci svegliamo ogni mattina” (la scrittrice Michela Murgia). La nostra vita è intrisa di storie e storia, degli altri e di altro: la vita a Matera è così ogni dì! “Una cosa che amo di più di questa vita è che non c’è un addio definitivo; sai, ho conosciuto centinaia di persone quaggiù… io non dico mai addio per sempre, dico solo: ci vediamo lungo la strada” (dal film drammatico “Nomadland”). Matera: vedersi, guardarsi lungo la strada e non dirsi addio!